Si parla tanto di Europa e allora sarà bello ricordare il più grande libro di memorie europee fatto da un italiano. Senza ironia, e per stavolta senza panopticon ipermoderni. Niente padri nobili, ma un padre, forse, ignobile. Eppure, a proposito di “radici”, chi si voglia fare un’idea di cos’era l’Europa in limine tra epoche ed epiche diverse deve leggere la “Storia della mia vita” di Giacomo Casanova (lo notava lo scrittore Matteo Trevisani). Tre volumoni in formato Meridiani o due volumoni formato gigante della Newton Compton. Diecimila pagine che si leggono come in dieci minuti e che rubano l’anima in un attimo: chiacchiere, curiosità, equivoci. Fatti.
Non seduttore, non illuminista, non reazionario. La lite di Giacomo Casanova con Voltaire
Il Casanova di cui si ricordano i trecento anni non è un grande seduttore, ebbe solo un centinaio di donne, molte meno di Simenon, o Sgarbi, o Berlusconi. Non è un illuminista in senso tecnico e non è un reazionario come lo voleva Fellini nel più dimenticabile dei suoi film, tantomeno l’energumeno di demoni psicanalitici che voleva Schnitzler, o il krisiskultur di Zweig.
Casanova, veneziano, mediterraneo, levantino, scrive in francese quindi non nei programmi di letteratura italiana non c’è. Pensa, e agisce, in italiano quindi non nei programmi di letteratura francese non c’è. Vorrebbe essere un philosophe ma litiga con Voltaire, tra l’altro regalando la battuta anti-autoriale perfetta: “Lei quanti libri ha scritto” gli chiede il filosofo. “Non ne ho scritto nessuno, ma ne ho letti molti”. E infine come pensatore non tiene: si spegne dicendo: “ho vissuto da filosofo, muoio da cristiano”. Scrive magnifiche poesie (vedi la raccolta “Obbedisco all’amore”, appena pubblicata da De Piante, o la sua traduzione in veneziano dell’Iliade), parla di libero pensiero muratoriale mentre pratica la magia tradizionale. Fino a otto anni è un bambino che non sa parlare e non impara niente, viene “svegliato” dal rituale di una strega di Murano. Decenni dopo riuscirà a fuggire (unico nella storia) dai Piombi grazie, oltre che a un enorme piatto di maccheroni al burro (sic!), a una divinazione sulle pagine dell’Orlando Furioso.
Poi Casanova è un borghese che non ce l’ha fatta, un sine nobilitate che chiuderà i suoi giorni in un castello boemo, ospizio fornito da un signorotto locale, tiraneggiato da un maggiarodomo che gli imbratta i muri di feci.
E infine l’imbroglione-stregone Casanova è una creatura angelica. Riesce a “sistemare” con ottimi matrimoni le donne che ama, di cui rimane amico per tutta la vita. L’anti-mascolinità “tossica”.

Uno straordinario cronista, da Roma alla Russia
Questo è il paradossale e incoerente dispositivo che fonda l’unicità dello sguardo di Casanova. E proprio per questo Casanova è un cronista eccelso di paesi, culture, viaggi, passaggi. Da Venezia a Padova, dove si laurea, alla Calabria da dove scappa come un razzo, a Napoli, a Roma, dove approda giovanissimo per seguire la carriera ecclesiastica nella cordata del cardinale Acquaviva. “L’uomo che vuole fare fortuna in questa antica capitale -scrive- deve essere un camaleonte […] deve far sembrare di saper meno di quello che sa […] deve essere padrone dei muscoli del viso, freddo come il ghiaccio nelle situazioni in cui un altro brucerebbe […] se aborrisce questa finzione è meglio che vada a cercar fortuna in Inghilterra”.
Casanova perde la partita romana perché per una notte cede casa sua a due amanti (“potrebbero rinfacciarvelo fra 30 anni in Conclave”, gli dice Acquaviva) e da lì comincia la sua corsa, quarantennale, da picaro super-cosciente. Costantinopoli, Italia, Francia tanta Francia, compresa l’invenzione della lotteria, gli imbrogli alla marchesa D’Urfé e un riferito incontro con Luigi XV.
A Londra impazzisce per Marie Anne Geneviéve Augspurger, e dopo mesi di vessazioni di lei si libera del sentimento comprando un pappagallo che la prende a male parole e facendo ridere per prima la Augspurger, e la madre. E poi Spagna, Russia, Prussia, e in mezzo la miracolata fuga dai Piombi, fino al ritorno a Venezia come spia, dove però non riesce a restare.
Italia, spicchio di mondo crudele ma vivo
L’Europa conserva vezzi etichette, codici d’onore Ancien Régime, che malamente nascondono un consolidato fare (e patire) borghese. L’italia (le Italie) è uno spicchio di mondo crudele, castàle ma vivo, per dirla con Wittgenstein, come un formicaio.
Non esiste la repressione sessuale. Una ragazza a cui Casanova ha proposto il gioco di bere vino e mangiare ostriche dalla propria bocca racconta tutto al confessore, che commenta ridendo: “ma che schifo!”. L’omosessualità è praticata con quel minimo di discrezione non spiattellante, di Inquisizione non si sente l’ombra, meno che in Spagna dove si sente eccome.
Davvero le Memorie sono un libro osceno?
Vezzi e vizi, italiani, europei, sono sciolti nel fluido narrativo senza scogli ultimativi e senza summae morali. Senza nostalgie, con tante lacrime (nei secoli passati si piangeva molto, molto più che adesso) ma, vivat, senza sentimentalismi.
Quello di Giacomo Casanova è un Grand Tour al contrario: non si cercano fiori di limoni, non si fa filologia di sapienze perdute, non si sottolineano in modo orientalistico le differenze.
È un viaggio nel corpaccione di un’Europa che si fa la guerra ma che ha un codice culturale, dal Portogallo alla Russia. Non stupisce le Memorie siano state censurate per oscenità. Epistemica. Ecco, il termini di specificità di sguardo, o se si preferisce di identità culturale italiana, cosa c’è di più rappresentativo di questo trickster angelico, laico e in fondo già molteplice del suo basale politeismo? In termini pratici, effettivi, Giacomo Casanova è un padre (non troppo legittimo, ma fa differenza?) dell’Europa.