Cultura

Dante e la cultura di Destra? Un dotto divertissement di Stefano Rolando

ll pittoresco spunto interpretativo fatto dal Ministro della Cultura del governo Meloni Sangiuliano – che annuncia prossimi ulteriori disvelamenti – attorno al Sommo poeta, da secoli riconosciuto patrono culturale dell’italica identità ma da ieri posto in cima alla catena di comando morale del post-fascismo italiano, ha messo in rapido movimento uno scomposto accaparramento di pari riferimenti nel quadro di un paritetico Cencelli delle radici di tutto il sistema della politica rappresentata in Parlamento. Di notte il primo sciorinamento sui social. Eccolo. Berlusconi pensa ovviamente che Boccaccio sia il primo grande ispiratore di Forza Italia (lo ha detto ieri sera Carlo Rossella ad una cena alla Terrazza Martini a Milano). Machiavelli è il fondamento del renzismo. Se ne parla anche in Arabia Saudita. Senza Guicciardini Calenda non avrebbe mai intuito il suo particulare. È l’opinione di sua madre, Cristina Comencini, che sa per cosa si riconosce lo scrittore fiorentino amico e nemico del Machiavelli (già prenotato da Renzi). Letta è tutto leggibile nello Stil Novo. È il commento del circolo pisano dei letterati studiosi del Guinizzelli. E Cecco Angiolieri è veramente l’archetipo di Beppe Grillo. Questa battuta è agli atti processuali del figlio del comico genovese in cui si legge che il ragazzo “fu dedito al gioco e ai vizi, subì processi per disturbo della quiete pubblica e dilapidò il patrimonio che gli aveva lasciato il padre” . Senza l’Ariosto, l’ex-ministro Orlando si sarebbe chiamato Brambilla. Ma anche Prodi rivendica l’ispirazione ariostesca (sono commenti anonimi sui social). Gentiloni ha trovato una carta di famiglia in cui è scritto “tanto gentilone e tanto onesto pare” e dice che il vero sonetto fa di Dante l’archetipo della sinistra moderata. Se ne parla a Bruxelles nella sala stampa del Palazzo Berlaymont. Pare infine che Salvini – saputo dell’exploit del ministro della Cultura – abbia assoldato un professore delle medie di Arcisate nel varesotto per indicargli rapidamente il suo archetipo nei letterati italiani dell’età del Carroccio. Gli hanno detto

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Politica

Politique d’abord, una categoria da riscoprire. | Sul Quirinale Draghi scarta le domande

Perdurante la crisi sanitaria, gli italiani non vorrebbero assistere a una corrida nel confronto sull’elezione del capo dello Stato. Ruolo che corrisponde oggi al più alto valore simbolico riconosciuto tra le istituzioni. Ma ci vorrebbe un ritorno alla qualità della politica che nasce da una seria visione del futuro. Per ora Draghi rassicura gli italiani che c’è almeno qualità delle scelte politiche del governo. Sarebbe bene poter rispondere alle domande semplici: “come va? cosa succederà?” L’impennata pandemica, che sta coincidendo con il nuovo anno, richiede, più che mai, qualche certezza contestuale.  Ma in questi giorni, non solo si rifugge da chiedere o rispondere alla parte più ardua della domanda (cosa succederà?). Ma si rifugge volentieri anche dalla parte più elementare (come va?). Certo si potrebbe rispondere come gli inglesi rispondono al classico How are you?.  Cioè con un’altra domanda. Infatti nei dialoghi e negli auguri di inizio d’anno pochi approfondiscono. Al massimo tirano un sospiro. Insomma pochi mettono la curiosità che c’è quando l’ipotesi migliore ha un volto rassicurante e dicibile. Se si tratta di parlare di casa propria, si vede ansia generata da qualche contagio in famiglia o nella cerchia di amici. Comunque da preoccupazioni connesse. Se si tratta di parlare della propria città, del proprio territorio, nemmeno il (modesto) commercio natalizio è stato liberatorio. E’ vero che le famiglie, nelle limitazioni, hanno risparmiato qualcosa, ma nessuno se la sente di fare veri progetti. Se si tratta di pensare al Paese, per tanta gente pare quasi inutile tornare a insinuarsi nei perenni e forse peggiorati conflitti. Sembra che per molti sia meglio accettare ancora la soluzione emergenziale. In fondo la nave non è senza nocchiero. Sarà deresponsabilizzante, ma la maggioranza dei cittadini ha scoperto in questi mesi più fiducia nelle istituzioni e spenderebbe i propri pensieri anche volando basso.

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Politica

Draghicom – Mario Draghi e la comunicazione

Dopo i silenzi della discontinuità, un forte consolidamento comunicativo. Con alcuni problemi aperti. Parliamo del premier, della sua comunicazione e di quella del sistema che lo circonda, lo accarezza, raramente lo graffia, lo racconta. Faccio questa investigazione dal primo giorno. Incuriosito dall’invocazione di una platea di esperti che, percependo scollamento e baratro del Paese, ne ritmavano il nome, ancora in posizione remota, incuranti dei suoi dinieghi, ovvero delle sue disponibilità che al tempo venivano descritte solo per scalare il Colle. Stimolato anche a capire – se possibile un’ora prima di veder spiattellato il fatto sulle prime pagine – quale sarebbe stato l’incidente di sistema che avrebbe fatto precipitare la chiamata di Mattarella con il suo ragionevole consenso. Completamente all’oscuro, però, circa l’evoluzione che avrebbe avuto non tanto il suo profilo razionale – ben descritto dalle biografie, adattabile alla domanda internazionale e nazionale di un governo competente e con i piedi per terra – quanto quello, ben diverso, emozionale e connesso all’immaginario pubblico. Ho così scritto, all’inizio, del suo esprit républicain, in raccordo non solo alla modernità laica della rivoluzione francese, ma anche alle nostre culture risorgimentali e costituzionali. Ho poi scritto del suo benefico silenzio, da intendersi come un fattore di discontinuità – almeno per un po’ di tempo – rispetto al vociare, rissoso e generico, della politica italiana, dai balconi e dalle piazze, più che dagli scrittoi e dai luoghi della sobrietà istituzionale. E poi ho fatto un garbato colpo di tosse quando questo silenzio poneva domande di fondo. Va bene togliere di mezzo la comunicazione politica (ovvero politico-elettorale) da luoghi che devono soprattutto spiegare intenzioni, processi, rischi, opportunità nell’interesse generale. Ma non bisogna togliere del tutto il microfono al diritto-dovere di questi luoghi, appunto, di esplicitare questa non eludibile e non rinviabile “spiegazione”. In quella fase i giornalisti cominciavano

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