L’ambasciatore del Giappone in Italia racconta un paese in lotta tra stagnazione economica e segnali di ripresa

In corrispondenza della visita di Mattarella nel paese del sol levante l’ambasciatore Satoshi Suzuki è stato invitato dall’Associazione Guido Carli all’Università Marconi per parlare delle sfide economiche del Giappone contemporaneo
Satoshi Suzuki, ambasciatore giapponese in Italia

Sergio Mattarella è in visita ufficiale in Giappone accompagnato dall’ambasciatore giapponese Satoshi Suzuki. Sono passati 16 anni dall’ultima visita di un presidente della Repubblica italiana e la missione nel Paese del Sol Levante sembra partire con buoni auspici a compimento di un biennio di intensi rapporti bilaterali. In preparazione di questo importante appuntamento, l’Associazione di cultura economica e politica Guido Carli el’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma hanno promosso un incontro con l’ambasciatore Satoshi Suzukinell’ambito del ciclo di conferenze “Il mondo nuovo”. Un dibattito per discutere dell’economia giapponese e riflettere sui punti di contatto con quella italiana.

Gli effetti della bolla speculativa giapponese

«Rispetto agli altri paesi del G7, il Giappone negli ultimi anni è rimasto indietro» ha affermato Suzuki. Con un’economia stagnante e Pil a livelli minimi, indice dei prezzi al consumo, salari nominali e investimenti fermi, tra il 1991 e il 2021 il Giappone ha vissuto una fase di crescita zero. Mentre negli ultimi tre anni i prezzi per gli altri paesi del G7 salivano, in Giappone hanno mantenuto una sostanziale stabilità. «La deflazione o la “zero inflazione” sono diventate la norma», ha spiegato l’ambasciatore: per non alzare i prezzi di vendita, le aziendehanno scelto di tagliare i costi di produzione, rinviando aumenti salariali e investimenti. Con gli stipendi immobili, le famiglie non hanno aumentato i consumi, mentre le aziende, sempre meno competitive, non erano incentivate ad accrescere la produttività. «Negli anni ‘90 Tokyo era tra le 5 città più care del mondo, oggi, a causa di questa tendenza, è la ventinovesima» ha raccontato Suzuki.

Le ragioni della stagnazione economica

Le cause di questo fenomeno unico nel suo genere sono molteplici, tutte imputabili agli effetti a lungo termine delle manovre di contenimento messe in atto dopo lo scoppio della “bolla speculativa” degli anni 1986-1991. Da una parte il paese manifestava scarsa propensione a spendere e a investire, dall’altra non aveva la possibilità di farlo a causa della lunga paralisi o del collasso degli istituti di credito. Un ruolo determinante fu giocato dal forte apprezzamento dello yen tra gli anni ‘90 e l’inizio del XXI secolo, seguito all’Accordo del Plaza del 1985 sui tassi di cambio. L’accordo, sottoscritto dai ministri delle finanze e dai banchieri centrali dei Paesi dell’allora G5 (Francia, Giappone, Regno Unito, Repubblica Federale Tedesca e Stati Uniti) e dal Canada, aveva l’obiettivo di contrastare attraverso interventi coordinati sul mercato dei cambi il persistente apprezzamento del dollaro registrato nella prima metà degli anni Ottanta. Nel giro di un anno il tasso di cambio yen/dollaro passò da 250 a 150; in soli 10 anni, nel 1995, scese a 79. I prezzi triplicarono, mentre le aziende esportatrici faticavano a vendere i propri prodotti all’estero. Anche gli stipendi, calcolati in dollari americani, crebbero di tre volte e le aziende iniziarono a ridurre gli investimenti in Giappone, costruendo i loro stabilimenti di produzione all’estero per sfruttare la forza lavoro a basto costodell’Asia Nord-Est o della Cina. Senza investimenti interni e sul “capitale umano”, allo scopo di mantenere un’adeguata situazione finanziaria, le aziende iniziarono a perdere competitività. La sfida a tagliare i costi dei prodotti con le economie emergenti dell’Asia (Cina, Corea, Tailandia e Vietnam) portò a penalizzare la qualità. «Anziché lanciarci in una gara del genere, avremmo dovuto prendere esempio da Germania e Stati Uniti e concentrarci nella produzione di beni dal forte valore aggiunto. In questo modo la nostra economia non è cresciuta» ha riferito Suzuki.

Denatalità e occupazione

Secondo i dati resi noti dal governo giapponese, nel 2023 il numero dei nuovi nati è sceso del 5,1%, segnando un nuovo minimo storico dopo quello del 2022. La vecchia generazione si ritira, ma il numero dei giovani lavoratori non è sufficiente a rispondere all’esigenza di manodopera necessaria alla crescita del paese. Se a questo si aggiunge la scarsa propensione delle aziendegiapponesi a distribuire utili e profitti tra i dipendenti, penalizzando in questo modo motivazione e occasioni di formazione per investire in altre aree, risulta evidente, ha spiegato l’ambasciatore, che la produttività non possa aumentare. In cambio della garanzia di un posto fisso che è possibile mantenere per tutta la vita, gli stipendi in Giappone vengono mantenuti bassi, specie per i giovani tra i 20 e i 30 anni. Una condizione generalmente accettata, che poggia sulla promessa che un giorno, tra i 50 e i 60 anni, otterranno redditi più alti dal loro lavoro. «Si tratta di una caratteristica unica del Giappone» ha sottolineatoSuzuki.

L’inversione di tendenza

A partire da febbraio 2022, con lo scoppio della guerra in Ucraina, la situazione sembra essersi sbloccata. I prezzi dell’energia e dei beni importati sono aumentati e l’indice dei prezzi al consumo ha raggiunto e superato l’obiettivo del tasso d’inflazione al 2% fissato dalla Banca Centrale del Giappone, mantenendolo per i 32 mesi successivi all’aprile 2022. «Un fenomeno nuovo, che ci ha dato la speranza di poter uscire dal circolo vizioso della stagnazione». All’aumento dei prezzi è seguito un aumento degli stipendi, con un incremento che si è rivelato il più alto registrato negli ultimi 33 anni. «L’economia giapponese in questo momentosi trova a un bivio» ha continuato l’ambasciatore citando unadichiarazione del gabinetto del governo giapponese del 22 novembre 2024: «potrebbe essere l’occasione per liberarsi dallalunga “economia del taglio-costi” e passare a una “economia orientata alla crescita ad alto valore aggiunto”, guidata dall’aumento degli stipendi e da attivi investimenti interni».

Come ricominciare a crescere

Per incentivare gli effetti positivi di quello che è stato definito un “circolo virtuoso”, il governo giapponese ha fissato come obiettivo per il 2023 l’aumento degli stipendi ad almeno 1,500 yenl’ora (circa 9,3 euro). Tra le priorità anche la riduzione del gender gap, che porta gli stipendi delle lavoratrici ad essere mediamentepiù bassi del 21,3% e il rispetto dell’Antimonopoly Act. Al fine di aumentare la manodopera, a partire dal 2031 l’età del pensionamento, prima fissata a 60 anni, è stata portata a 65 anni(in Giappone il 50,9% dei lavoratori tra i 65 e i 69 anni sono attualmente occupati, il 33,5% tra i 70 e i 74 anni). Tutti aspetti comuni anche all’Italia «sui quali i nostri due paesi potrebberocooperare», ha riferito l’ambasciatore. Nel prospettare grandi investimenti in infrastrutture, IA, robotica, tecnologie dell’informazione e semiconduttori, Suzuki ha affermato di vedere nella collaborazione tra Italia e Giappone un grande potenziale. I due paesi, ha ribadito, si prestano ad assumere un ruolo leader nella creazione di macchine caregiver per gli anziani, sistemi di autodiagnosi automatizzati e servizi medici online, che, se opportunamente valorizzati, potrebbero creare un nuovo modellodi assistenza all’avanguardia nel mondo.

Giulia Maria Giuffra

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide