Ucraina, Alberto Negri: per Putin è già una sconfitta arrivare a Kiev e non conquistarla

Alberto Negri, oltre ad essere saggista e documentarista, consigliere dell’Ispi, docente in varie università, è tra i giornalisti italiani più esperti di politica internazionale. Ex inviato di guerra per il Sole 24 Ore, adesso scrive per il Manifesto ed è spesso ospite della trasmissione Piazza Pulita su La 7.

È specializzato in Medio Oriente, Asia centrale, Africa e Balcani. Ha seguito sul campo i principali conflitti degli ultimi quarant’anni cominciando dalla guerra civile in Libano, la guerra Iran-Iraq, l’Afghanistan, la prima guerra del Golfo nel 1990-91, le guerre civili in Somalia, Mozambico, Angola, Algeria (1992 -2000) Kurdistan (1991-2017), oltre a Eritrea, Etiopia, Senegal e Mali.

È stato testimone della liberazione di Nelson Mandela in Sudafrica e della fine dell’apartheid. Nella ex Jugoslavia è stato all’assedio di Sarajevo e alla guerra in Croazia; ha coperto il conflitto in Kosovo, le rivolte in Albania, l’arresto di Milosevic. Negli anni Duemila ha seguito la guerra in Afghanistan prima e dopo l’11 settembre, la guerra in Iraq con la caduta di Saddam fino al ritiro americano, la guerra civile in Siria con reportage da Aleppo e Kobane, è stato sul fronte con l’Isis durante l’assedio di Mosul, ha raccontato il colpo di stato in Turchia. Ha visto la fine di tre autocrati: Ben Alì, Mubarak e Gheddafi.

Con “Bee Magazine” Negri parla della situazione in Ucraina, in occasione del Premio Federico Caffé che gli è stato conferito il 10 marzo alla Camera dei Deputati.

Il 24 febbraio scorso la guerra in Ucraina ha compiuto un anno. Che bilancio ne fa? 

Anzitutto, è una guerra che forse nessuno si aspettava, anche se le radici affondano nel 2014 quando Mosca si annesse la Crimea e con i successivi accordi di Minsk delineati ma non rispettati. In termini generali, per Putin è già una sconfitta essere arrivato alle porte di Kiev ma non averla conquistata né aver abbattuto Zelensky. Ha dovuto arretrare, anche se ha tenuto il Donbass e la città di Mariupol, che è la sua conquista più notevole. Da parte loro, gli ucraini non hanno riconquistato i due oblast del Donbass ma hanno ricacciato indietro i russi attestandoli lungo la linea del fiume Dnipro, possibile linea di un cessate il fuoco per ora assai futuro e non prevedibile. Questo è il bilancio sul campo dopo un anno di guerra.

E visto dal punto di vista di quello che si chiama scacchiere geopolitico, ovvero il resto del mondo?

Il mondo si è diviso in due. L’Occidente e la Nato si sono schierati decisamente con Kiev fornendo aiuti militari, economici, ed armamenti. Sul versante opposto si sono di fatto allineate con la Russia due enormi potenze come India e Cina, astenutesi anche da condanne in sede Onu. Con Pechino non c’è una vera alleanza – l’ambasciatore cinese in Italia l’ha definita “non alleanza” – ma allo stesso tempo vediamo che la sua mancata condanna di Mosca e l’assenza di sanzioni ha attirato altri attori internazionali fino a raggiungere quasi la metà degli Stati importanti. Penso a tutto il mondo arabo – Iran, gli Stati del Golfo, Nord Africa – che non ha preso posizione sul conflitto.

La Turchia dell’ambizioso Erdogan come si colloca in questo scenario?

Spicca fra tutti quei Paesi: dal 1953 fa parte della Nato, che ha condannato l’invasione e fornito droni a Kiev, ma continua a rifornirsi di gas e petrolio da Mosca. E nell’ultimo anno ha raddoppiato gli scambi con la Russia. Un atteggiamento che ha aperto grandi spazi a Erdogan, come la firma dell’accordo di forniture di grano per nutrire il mondo sotto l’egida dell’Onu.

Da un anno si dice che il telefono di Xi squilla a vuoto. La Cina ha presentato un piano di pace che non ha convinto Biden, e il nuovo ministro degli Esteri ha usato parole molto dure accusando gli Usa di “sgambetti”. Quali sono gli obiettivi di Pechino?

La posizione cinese è certo la più difficile da decifrare. Ma da un certo punto di vista è la più facile. Sono stati gli unici a presentare un piano di pace, seppur assai vago. Il loro è l’unico documento aperto alla cessazione delle ostilità ed è comunque un’indicazione forte di volontà sul piano diplomatico. Una diplomazia cinese che ha appena raggiunto un obiettivo assai importante mediando la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita. Non mi risultano altre proposte in quella direzione, al di là dell’appello del Papa. Una diplomazia cinese che ha appena raggiunto un obiettivo assai importante mediando la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita.

Washington non si fida.

I fatti ci dicono che la Cina è l’unica potenza che si è esposta in modo chiaro per la cessazione delle ostilità. L’Occidente preme perché intervenga su Mosca, ma il punto di vista di Pechino è diverso: la Cina ufficialmente non si è schierata con nessuna delle due parti, mentre l’Occidente sì. Quindi Xi può esercitare una pressione su Putin ma serve un sostegno americano ed europeo – che al momento manca – perché abbia un senso. Al netto delle tensioni su Taiwan e i palloni spia, i cinesi non si stanno comportando male: sono stati gli unici a sbilanciarsi per un negoziato. Ricordiamoci che per il diritto internazionale la Nato è cobelligerante a fianco degli Usa perché fornisce armi.

In che senso cobelligerante? La Nato ha respinto molte richieste di Zelensky proprio per non superare un confine. E anche i rapporti Mosca-Pechino sul piano militare si sono intensificati. 

Basta leggere un sito importante come “Analisi Difesa”. È vero che la Cina fa manovre militari congiunte con la Russia ma non è diventata cobelligerante. Oggi la Nato è coinvolta nella guerra, Pechino ufficialmente no. E attenzione: Usa, Regno Unito e Ue forniscono all’Ucraina non solo armi ma intelligence.

Quali (e quante) prospettive ci sono per la fine della guerra?

Non attuali né in un prossimo futuro. In un’intervista del 17 febbraio al Financial Times il capo di stato maggiore americano, il generale Mark Milley, ha detto in sostanza: né Ucraina né Russia saranno in grado di vincere, questo conflitto può finire solo al tavolo negoziale. E’ impossibile per Putin conquistare l’Ucraina e per Zelensky riconquistare i territori perduti. Il Pentagono sta facendo l’inventario delle scorte: dovrà aumentare le spese militari per riempire gli arsenali vuoti.

Ma su quale base concreta si potrebbe negoziare?

Milley non ha delineato i confini dell’Ucraina, ovvero se con o senza la Crimea. Il punto principale rispetto ai due contendenti è proprio capire quali siano i loro reali obiettivi, indispensabili da conoscere per arrivare al cessate il fuoco. E’ difficile preconizzarli ora che il campo di entrambi è occupato dalla “vittoria totale” e nessuno ha fatto intravvedere un possibile spiraglio.

Nel frattempo le opinioni pubbliche di molti Paesi si stanno “stancando” del conflitto e delle conseguenze economiche. Le sanzioni funzionano o no?

Non ho mai visto in quarant’anni di guerre un regime crollare per le sanzioni. Ma sarebbe un obiettivo fuori portata. Non ho dubbi però che erodano l’economia russa: il giornale russo Izvestija ha scritto in prima pagina che il loro pil segnerà 1,5%, un numero sostanzioso anche se non da default come si ipotizzava. Le previsioni di Fmi e Banca Mondiale non si sono rivelate corrette: è vero che la discesa dei prezzi di gas e petrolio ha minato le entrate, ma questo vale per tutti i Paesi produttori. Mosca poi ha un sostanzioso fondo nazionale da 300 miliardi di dollari.

Molti analisti invitano ad aspettare il lungo periodo prima di giudicare fallimentari le sanzioni. Serve pazienza?

Se il conflitto continuerà le sanzioni eroderanno di più l’economia russa perché l’industria bellica assorbe centinaia di migliaia di lavoratori distolti da altri settori produttivi. Qui c’è un dato molto interessante: si sono messe in luce delle voragini proprio nel settore in cui Mosca era molto accreditata, quello dell’industria bellica. Che gli esperti considerano inadeguata per mezzi e apparati messi in campo a sostegno dell’esercito. Poco fa il capo del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha accusato il comando centrale di non fornire abbastanza munizioni.

Esiste un problema di aggiramento delle sanzioni? Si predica bene e razzola male?

In parte sì. Intanto dalla Turchia: l’aumento del 50% dell’interscambio con Mosca vuol dire che esporta non solo prodotti turchi ma anche europei e occidentali. Ma anche da altri Paesi come India, Cina, Iran (sospettato di inviare droni), un’ampia fascia di ex repubbliche sovietiche musulmane a partire dall’Uzbekistan, alcuni Paesi dei Balcani come la Serbia. Tutti mercati che possono essere usati dalle aziende italiane, oggi come in passato, per esportare in Russia. Del resto, alcuni prodotti di abbigliamento e lusso si trovano ancora su quel mercato. Tra quelli che avevano annunciato la chiusura di uffici e operazioni penso l’abbiano davvero fatto non più del 15-20%.

In Italia cambierà qualcosa con Elly Schlein alla guida del Pd? Potrà e vorrà davvero cambiare la posizione di ferreo atlantismo sulla guerra ereditata da Letta?

Credo anzitutto che su Schlein si stiano esercitando pressioni e aspettative forse un po’ troppo alte. Soprattutto in politica estera dove è più difficile cambiare posizione. Con Letta il Pd ha preso una forte postura atlantista che non sarà facile modificare. Ci si aspetta che la nuova segretaria dica qualche parola più significativa e forte verso il cessate il fuoco. Tenendo presente che i sondaggi vedono oltre il 50% degli italiani contrari all’invio di armi a Kiev, con quella che il think tank londinese ECFIR ha definito un’”anomalia europea”.

 

Federica Fantozzigiornalista

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