Tempi di guerra, tempi brechtiani

“Anche chi in questi tempi foschi si avventura a stabilire certe consonanze storiche con il passato tralascia di ricordare il distico famoso tratto dal grottesco dramma Arturo Ui: Non cantiamo vittoria troppo presto:/ il grembo da cui nacque è ancora fecondo”

Da mesi, ma soprattutto dal diffondersi di una nuova smania bellicista, mi chiedo perché nessuno ricordi l’esperienza e la scrittura di Bertolt Brecht; e mi sorprende che nell’altra smania comunicativa dilagante, che è quella della citazione usata anche a sproposito o artatamente decontestualizzata, il grande assente sia proprio lui, l’intellettuale “venuto dalla foresta nera”, il “poeta del soldato morto”.

Non c’è nessun altro la cui produzione letteraria abbia toccato temi tanto universali e ancora oggi nevralgici: la diseguaglianza sociale, la lotta tra bene e male, l’immigrazione, la condizione del profugo, la brutalità repressiva del potere, l’orrore della guerra, il dovere della denuncia soprattutto quando “il mondo è con il fiato sospeso”.

Gli scritti del drammaturgo

Anche chi in questi tempi foschi si avventura a stabilire certe consonanze storiche con il passato tralascia di ricordare il distico famoso tratto dal grottesco dramma Arturo Ui: Non cantiamo vittoria troppo presto:/ il grembo da cui nacque è ancora fecondo. Una sentenza sull’eroe gangster-Hitler estrapolata e diventata proverbiale.

Dalla vastità degli scritti di Brecht vorrei isolare qui un paio di opere forse meno note ma che sono focalizzate su due temi tornati di inquietante attualità e che furono centrali nella poetica brechtiana: lo smascheramento della retorica e dell’eroismo di guerra e la rivelazione del carattere mercenario di ogni impresa bellica.

Il primo, che è anche il grandioso tema di Madre Courage, si sviluppa nel maestoso radiodramma L’Interrogatorio di Lucullo,  per il secondo Brecht aveva pensato a un dramma su Giulio Cesare che sperava di far rappresentare a Parigi e che poi realizzò in forma di breve romanzo storico dal titolo Gli affari del signor Giulio Cesare.

In queste due opere, persuaso come sempre che le “avanguardie” della storia siano incarnate in personaggi grandi nel bene come nel male, l’autore sceglie nel primo caso il generale romano del primo secolo a. C., grande comandante ma responsabile della morte di migliaia di legionari, oltre che gaudente e sibarita; nell’altro addirittura Cesare, di cui smaschera i veri interessi affaristici e demistifica le idee democratiche.

Alle porte degli Inferi

Fintanto che restò la speranza di parlare contro la guerra Brecth parlò. L’interrogatorio di Lucullo fu scritto nel 1939 e trasmesso alla radio svizzera di Berna l’anno successivo. Probabilmente ispirandosi, per l’inventio della tragicomica avventura post mortem del protagonista, all’Apokokyntosis (Ludus de morte Claudii) di Seneca, Brecht descrive il processo intentato al generale Lucullo dopo la sua morte, alle porte degli Inferi.

Una statua di Bertolt Brecht a Berlino

Il giudizio verterà sul dilemma se egli abbia fatto più bene che male, se la sua vita sia stata utile per l’umanità. In un susseguirsi di araldi, personaggi, banditori, intermezzi corali, interventi di giudici e giurati, oltre alla voce del popolo (immancabile presenza brechtiana), il corteo funebre accompagna Lucullo che dovrà oltrepassare da solo l’ingresso del suo sepolcro e aspettare il suo turno come tutti gli altri. La giuria spettrale è composta da un contadino, un istruttore di schiavi, una pescivendola, un fornaio e una cortigiana. Lucullo cerca come suo avvocato Alessandro Magno ma scopre che nei Campi Elisi non c’è posto per gente come lui.

A testimoniare delle imprese asiatiche del grande generale sono i vinti, le figure rappresentate nel fregio del corteo, gli schiavi che trasportano il dio d’oro preso come bottino insieme ai prigionieri. La pescivendola giurata rileva che al mercato del pesce non ne ha mai visto di oro e aggiunge “Tu non hai portato niente al nostro mercato, però ti sei portato via i nostri figli”. Figli che, come il suo Faber, da lei disperatamente cercato, non vogliono neppure parlare alle loro madri nel Regno delle Ombre, perché li lasciarono partire per guerre sanguinose. Alle proteste di Lucullo sull’inadeguatezza della giurata, la Corte replica che la donna è più che qualificata per parlare di guerra, visto che la conosce bene.

Secondo la leggenda

A difenderlo saranno invece un cuoco, che ebbe dal generale buongustaio la libertà di sfoggiare la sua arte culinaria, e un contadino felice per il ciliegio che – secondo la leggenda – egli aveva riportato dall’Asia: unica cosa “viva”, la migliore delle conquiste peraltro atroci dell’empia guerra e che sopravvivrà quando tutte le ricchezze predate diverranno polvere, anzi crescerà e darà i suoi frutti per le generazioni future.

Ma l’albero non basterà a salvare Lucullo, considerando che per esso sarebbe stato sufficiente un solo uomo, mentre non c’era bisogno di spedirne nell’oltretomba ottantamila. La nozione di eroismo viene totalmente demolita come inutile per la comunità, gli accusatori, come nel Galileo, sono non i potenti della terra e dell’aldilà, ma la povera gente ; su tutti pende come un assillo permanente ed esistenziale la domanda dell’autore inorridito: Quando gli uomini diventeranno così saggi da capire quali siano i loro veri interessi?

Da ben altri interessi, biecamente economici, è invece sospinto all’azione il Signor Giulio Cesare (quanta ironia in quell’epiteto borghese!), la cui biografia è affidata al diario del giovane segretario Raro, il quale osserva in lui  non l’eroe, ma il padrone afflitto dai debiti che l’ufficiale fiscale quotidianamente gli ricorda. Anche in questo che può dirsi un apologo più che un romanzo, scritto in stile aforistico e arguto, emergono le ragioni economicistiche e gli intrallazzi che ruotano attorno alle guerre asiatiche e ai bottini che coinvolgono trecento famiglie romane, tra cui quella di Cesare stesso.

Il mantello del generale

Agli occhi di Raro, il padrone è un imprenditore abilissimo nelle transazioni e nel valorizzare il denaro, nello scatenare avversari come Cicerone e Catilina gli uni contro gli altri e un grande affarista della speculazione immobiliare. D’altronde Si sa che non esiste abito che abbia tante tasche quante il mantello del generale! Quanto agli ideali aristocratici, questi appaiono desueti e inconcludenti, ma non per ragioni politiche e sociali, piuttosto perché i libri contabili devono essere conservati più che quelli gentilizi e gli ideali introdotti dal commercio nel mondo sono di gran lunga più alti! Si vede l’eroico soltanto nella guerra? E ammesso che sia così, il commercio non è forse anche una guerra? [..] Il commercio non è mai pacifico[..] Una guerra incruenta, questo sì, ma non di meno mortale.[..] Deve essere stato il commerciante a scoprire che da un uomo si può tirar fuori di più che le sole budella [..]

Quando tornerà dalla Spagna, in un trionfo prefabbricato, Cesare dovrà mostrare il bottino, cioè non solo tutte le cose raccolte, ma anche le concessioni nelle miniere di piombo spagnole. Così gli oggetti dovranno essere prodotti a Roma.Tra corruzione, questione agraria e slogan relativi a pace, libertà e democrazia, il racconto-diario dipana la matassa del potere  e rivela la spinta vera delle azioni di Cesare per poi sentenziare: “Cesare prese denaro ogni volta che ne ebbe l’occasione. Basta dare un’occhiata ai diari del suo segretario per capire  come egli si comportò.. Non aspettatevi di trovare in essi imprese eroiche nello stile antico, ma se li leggerete con mente aperta, potrete capire meglio come nascono le dittature e come vengono fondati gli imperi.

Mentre trascrivo questi pochi stralci testuali mi diventano chiare le ragioni del silenzio che da tanti anni si è colpevolmente disteso sul grande drammaturgo tedesco. Aveva messo a fuoco con le sue lenti perfette non solo il proprio tempo, ma anche quelli a venire. Soprattutto, e purtroppo, questo nostro tempo.

 

Caterina Valchera Docente e saggista

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide