Sri Lanka, il futuro dopo la fuga dell’ex premier Rajapaska. Neironi (T.wai): “Difficile prevedere le prossime tappe”

Il popolo cingalese si è ribellato al premier Gotabaya Rajapaska dopo un 2022 vissuto all’insegna di una crisi economica e sociale. Resta ora da capire quale potrebbe essere il futuro dello stato isolano a sud dell’India e quali insidie potrebbero celarsi nel breve e nel lungo periodo. Ne abbiamo parlato con Raimondo Neironi, ricercatore del Torino World Affairs Institute.

 

Cosa sta succedendo in Sri Lanka?

In Sri Lanka è in corso la più grande crisi politica ed economica dalla fine della guerra civile nel 2009, che vide contrapporsi le Tigri Tamil al governo di Colombo. Gotabaya Rajapaksa, il presidente che ha rassegnato le proprie dimissioni, si è recato a Singapore dopo aver lasciato le Maldive. L’ormai ex presidente è il fratello di Mahinda Rajapaksa, capo di Stato del Paese dal 2005 al 2015. I due fratelli furono gli artefici della vittoria del governo centrale contro il movimento separatista Tamil. Il Premier uscente, Ranil Wickremesinghe, ha oggi giurato come Presidente ad interim del Paese, e rimarrà in carica fino all’elezione di una nuova figura al vertice dell’isola.

 A cosa è dovuta la crisi? È solo economica?

La crisi nasce per motivazioni di carattere prevalentemente economico: l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità come la farina, la penuria di alcuni prodotti alimentari e di consumo e i ricorrenti black-out di corrente elettrica hanno condotto la popolazione, soprattutto della capitale, a scendere in piazza per manifestare la propria insofferenza. Perdipiù, lo Sri Lanka è da aprile in trattative con il Fondo Monetario Internazionale per l’ottenimento di un prestito finalizzato a riportare in equilibrio la bilancia dei pagamenti e a ristrutturare il proprio debito con l’estero.

Come tutti i piani di salvataggio predisposti dagli anni Ottanta in avanti in alcuni Paesi dell’Asia e dell’America Latina, il Fondo ha imposto al governo cingalese una serie di “adeguate rassicurazioni” ritenute essenziali per la concessione degli aiuti. Ciò ha costretto il governo ad allinearsi alle richieste del Fondo per approvare misure di austerità in ambito economico e fiscale.

Quanto ha contribuito la pandemia?

La pandemia da COVID-19 ha certamente contribuito ad aggravare una crisi di grandi dimensioni per il Paese di oltre 22 milioni di abitanti: le restrizioni al turismo, che incide in misura significativa sul PIL, e la progressiva diminuzione delle rimesse dei lavoratori all’estero durante la prima fase della pandemia hanno affossato le ambizioni di crescita su cui Rajapaksa fece affidamento per realizzare il proprio programma elettorale del 2019.

A cosa porterà la rivolta popolare?

È difficile fare delle previsioni sulle prossime tappe della crisi. Al momento, sappiamo che è stata soffocata, con metodi e modalità che ricalcano molto il copione visto in altre realtà del continente (si pensi all’Indonesia di Sukarno del 1998), ogni aspirazione della famiglia Rajapaksa di detenere le redini del Paese nei prossimi anni. Inoltre, è plausibile pensare che il prossimo leader del Paese sarà proprio Wickremesinghe, che nel corso della sua carriera politica si è spesso scontrato con i fratelli Rajapaksa. Con la sua nomina a Premier nel maggio scorso, il Presidente uscente immaginava di poter trovare una tregua con l’opposizione sullo sfondo della crisi economica e sociale.

C’è il rischio che l’isola finisca nella sfera d’influenza indiana e cinese?

Lo Sri Lanka è indubbiamente coinvolto nel sempiterno, e spesso velleitario, esercizio della “scelta di campo”, ovvero individuare la Potenza regionale con la quale allearsi o intrattenere una relazione prioritaria. Siamo abituati ad applicare questo principio ai Paesi del Sud-Est asiatico, ma vale anche per altre realtà dell’Asia. La necessità di uscire da una profonda crisi economica, credo, abbia reso ricattabile il governo cingalese che necessita ora di tutta l’assistenza necessaria per uscire da questo stato di profondo malessere.

Prima di rivolgersi al FMI, lo Sri Lanka ha chiesto e ottenuto da Pechino e da New Delhi prestiti, nonché la possibilità di ristrutturare il proprio debito con entrambi i governi. L’India è uno dei principali investitori del Paese ed esercita una rilevante influenza culturale. Per la Cina, invece, l’isola è uno snodo fondamentale sia della Belt and Road Initiative sia della “Via della Seta del XXI secolo” perché consente alle navi commerciali cinesi di raggiungere il Sud-Est asiatico insulare, il Medio Oriente e il Corno d’Africa.

Qual è il punto più importante in questo senso?

Il centro nevralgico dell’influenza cinese è il porto di Hambantota, il più grande del Paese dopo quello di Colombo. Il porto è di proprietà di un’azienda cinese dopo che il governo ne approvò l’affitto per 99 anni, in cambio di un allentamento delle condizioni del prestito concesso al governo dalla Cina. Questa decisione innescò diverse proteste popolari che costrinsero l’allora capo dell’esecutivo Wickremesinghe a rinegoziare i termini dell’accordo in senso più flessibile. L’esecutivo chiarì, inoltre, che nessuna nave militare o sottomarino cinese avrebbe ottenuto l’autorizzazione ad attraccare alla banchina. Tuttavia, il testo di quell’accordo non fu mai pubblicato.

C’è l’influenza di qualche potenza straniera dietro queste rivolte?

Non credo affatto che dietro le rivolte esista una macchinazione di qualche Potenza straniera, Cina o India che fosse.

 

Francesco Fatone – Giornalista

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