Scuola, Settembre. Andiamo. È tempo di cambiare passo

Tornano gli annosi problemi della scuola. La professoressa Caterina Valchera riprende il discorso del professor Nistri, del quale abbiamo pubblicato un articolo la scorsa settimana

Settembre è arrivato. Si deve parlare di scuola, ma più che le sue inveterate disorganizzazioni e debolezze strutturali- che sarebbe cosa buona e giusta, ma non a Settembre – il rito settembrino riguarda le inesorabili esternazioni di provenienza ministeriale.

Vorrei dunque riprendere, tralasciando il tema dello jus scholae che richiederebbe una profonda riflessione politica, il discorso dell’illustre prof. Nistri sulle indicazioni fornite dal ministro Valditara in merito all’insegnamento dell’educazione civica nella scuola italiana. In quest’ultima, nei suoi livelli superiori ho speso quarant’anni della mia vita e ricordo ogni Settembre di tutti quegli anni come un momento altamente sgradevole per i docenti, invitati a tenere nel DOVUTO conto le indicazioni fornite dal Ministero sul piano didattico-disciplinare. Passaggio soprattutto noioso per quanti fossero davvero appassionati al lavoro educativo e a “in-segnare”, cioè a cercare il più possibile di lasciare il segno, di entrare in un rapporto profondo con i discenti per ricavarne reciproco vantaggio sul piano cognitivo ed emotivo.

Continuare a parlarne

Anche nel Settembre 2024 si DEVE parlare della scuola attraverso le solite formule generiche e sussiegose, perché il rito si deve ripetere: dichiarazioni di intenti, proclami solitamente retorici, indicazioni programmatiche e le tanto attese Linee guida ispirate da un appassionato filoneismo. Si sa, i docenti devono ogni anno essere “orientati”, devono subire una sorta di bonario catechismo da parte dei dirigenti che più di loro sanno dove la scuola deve dirigersi e quali sono i suoi obiettivi formativi per ogni ordine e grado.

Dunque entreranno in vigore – anche quest’anno per non peccare di immobilismo – NUOVE LINEE GUIDA attinenti però, e questa sarebbe la grande novità, all’insegnamento dell’Educazione Civica, materia già adeguatamente definita e valorizzata con DM n.35 del 22/06/2020. Mi preparo mentalmente a questo nuovo, a trovare nel documento qualcosa di inedito, di mai definito. Faccio un esame globale dei suggerimenti- non vincolanti- inviati al CSPI dall’attuale ministro di una scuola che “si conferma pilastro del futuro del nostro paese” (sento subito odore di retorica) poiché, nel rispetto del dettato costituzionale, pone al suo centro la persona, il rispetto dei suoi diritti, la responsabilità e la solidarietà.

Bene, questo principio è l’Ave Maria di tutti gli addetti ai lavori, con la sostanziale differenza che un tempo la suddetta persona era inserita in un contesto assiologico altamente democratico e che i valori portanti di riferimento erano libertà, uguaglianza, partecipazione e condivisione, oltre che diritti e responsabilità. Ma procediamo con ordine.

A questa centralità della persona- ovvia premessa- nel documento sono accostati come principi fondamentali il sentimento identitario (consapevolezza di appartenere a una comunità nazionale), il richiamo al valore del lavoro e dell’iniziativa privata ai fini di una crescita economica (prima che umana e  culturale?) volta a creare benessere e vincere le sacche di povertà, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita.

I problemi della scuola

Ma cosa può significare nel concreto della vita scolastica evidenziare questi problemi socioeconomici senza un corollario motivante e indicazioni operative? Punto primo, una scuola democratica ha la responsabilità di garantire a tutti, indistintamente, un’esperienza conoscitiva compiuta, per costruire e consolidare le basi e le competenze culturali senza dover prevedere salti, scorciatoie o precoci ipotetiche “vocazioni” al lavoro. Altrimenti si profila in modo subdolo l’idea di una scuola di serie B che collide con l’altro principio tanto sbandierato della formazione alla comune, pari cittadinanza.

Il passaggio in cui si avverte il NUOVO è piuttosto nel nesso aprioristicamente stabilito tra senso civico e sentimento di appartenenza alla PATRIA, agganciato- per assioma- all’apertura all’integrazione di studenti stranieri. Detto in soldoni, uno studente attraverso l’educazione civica, DEVE maturare il sentimento di nazionalità italiana – con potente richiamo allargato ai paesi della Comunità europea assimilabili per comunanza di valori – e che solo così potrà confrontarsi con altri alfabeti, lingue, culture. A casa mia questa si chiama costruzione di una “frontiera” che, per affermazione predittiva tutta da dimostrare, dovrebbe poi favorire la convivenza e il dialogo interculturale. Prima gli italiani, poi il resto.

Ma se per decenni nella scuola ci si è adoperati a superare nelle varie discipline proprio questo approccio nazionalistico e provinciale! A partire dallo studio della letteratura, che doveva diventare plurale e internazionale in un’ottica comparatistica e critica. Nel documento ministeriale si passa poi alla “carta dei doveri”: inderogabili di solidarietà politica economica e sociale attraverso l’ovvio rispetto delle regole perché prevalga il diritto e non l’arbitrio. Ma anche in questo territorio non bastano l’imperativo, la postura prescrittiva (assoggettamento), se non si premette che la scuola va concepita come luogo dove costruire consapevolezza, apprendimento e socializzazione, conoscenza riflessiva e d emotiva: un’esperienza quotidiana improntata alla ricerca, al dibattito e anche allo scontro di idee e pensieri liberamente espressi, dove l’Educazione Civica da sempre attraversa tutte le altre discipline, da intendersi come campi di significato da tradursi in operatività.

Poi arriviamo al clou del discorso dell’educazione alla civitas: promuovere la cultura d’impresa (ma perché un problem solving nelle varie materie non lo è già?) e valorizzare l’iniziativa economica privata e la proprietà privata come elementi essenziali della libertà individuale. Finalmente ci siamo. Questa è la chiave di volta di tutto il discorso formativo. Un approccio marcatamente individualistico ed egoistico artatamente coniugato con i dettami costituzionali di solidarietà. Una prospettiva meritocratica, un forte richiamo al risparmio e alla pianificazione previdenziale per la tutela del patrimonio privato, infilati dentro la doverosa litania delle Educazioni: contrasto alle mafie, alla criminalità e illegalità, alle dipendenze varie compresa la ludopatia e l’uso patologico del web, rispetto per l’ambiente e per tutti i beni pubblici, per la qualità della vita e per costumi alimentari corretti, educazione stradale e finanziario-assicurativa, educazione all’uso etico del digitale (stupenda proposta come dichiarazione d’intenti…) e all’uso responsabile delle tecnologie… et cetera. Contenuti tutti di tale complessità e rilevanza da riempire trattati di sociologia contemporanea.

Una scuola civile

Nell’elenco delle Educazioni, una riga è dedicata alla promozione del rispetto per la donna, che viene dopo quello del patrimonio privato, dell’educazione imprenditorial-economico-finanziaria, del risparmio e – tutto sommato – non figura come priorità assoluta, ad onta della grancassa educativa seguita al femminicidio della povera Giulia, icona della violenza di genere già dimenticata. Sul rispetto per tutti i generi neppure un rigo. L’arcobaleno non si addice al NUOVO civismo. Sull’attenzione al compagno più debole in nome di una morale altruista e cooperativa neppure un cenno. Più che di educazione a qui troviamo imperativi (occorre, si dovrà) volti a reprimere, controllare, interdire.

Sembra un curricolo educativo predisposto per un soggetto discente concepito come un sacco da riempire (per usare una metafora negativa cara a Montaigne) e non come una persona cui offrire strumenti idonei a costruire il proprio progetto di esistenza. Con una spolverata di neo-darwinismo scolastico che non fa mai male, visto il silenzio sulle possibilità di forme discriminatorie sempre latenti negli ambienti scolastici e sulla relazione tra individuo e collettività.

Ma naturalmente si tratta di semplici indicazioni di massima, fortemente semplificate rispetto alla complessità del mondo cui sono indirizzate e che l’autonomia scolastica saprà tarare sulle proprie reali necessità programmatiche e sulle proprie scelte formative. La scuola made in Italy sognata dal governo evidenzia infine due grandi vuoti: la costruzione di un’autentica coscienza ambientalistica e l’ideazione di un percorso formativo che attenga alla sfera della sessualità.

In una cittadinanza digitale inoltre non può mancare l’educazione a uno sviluppo sostenibile, a un’economia circolare e di recupero inquadrati però in un’idea di intraprendenza capace di tenere insieme innovazione e partecipazione solidale.

Lo scopo dell’Educazione civica dovrebbe essere quello di avviare negli studenti l’idea di un nuovo patto tra politica, economia e società civile; aiutarli a comprendere che la vera novità del loro tempo è quella di allearsi per collaborare, non solo collegandosi ma nella coscienza che ogni futuro individuale è legato a quello di ogni altro.

 

Caterina Valchera – Docente, saggista

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