Roberto Marti: la cultura non è il superfluo ma un segno fondante dell’identità italiana. Il governo è pronto a un cambio di paradigma per rilanciare la scuola “dissacrata”

Intervista al presidente della Settima commissione del Senato (Istruzione, Cultura, Ricerca scientifica). Tre gravi problemi della scuola italiana: edilizia, precariato, e i più bassi stipendi d’Europa. D’accordo con Dacia Maraini: la scuola è stata dissacrata, ha perso autorevolezza. Ma questo Governo è impegnato ad aumentare gli investimenti finanziari. Tra i provvedimenti in arrivo: la re-istituzione dei Giochi della Gioventù, e i “viaggi della memoria” per le scolaresche. Ho aderito al progetto Salvini perché la Lega è da tempo un partito nazionale, e radicato anche nel Sud. Per il Mezzogiorno questo governo può e deve fare molto. L’impegno per la stesura di leggi scritte in un italiano comprensibile e non nella lingua morta dei burocrati

Presidente Marti, se è d’accordo, dividerei questa intervista in due parti: la prima sulla sua attività politica e parlamentare, la seconda su questioni politiche generali.

Volentieri

Lei è un imprenditore, è stato nella scorsa legislatura nella commissione attività produttive.  Per forma mentis, quindi, credo sia portato a guardare alla cultura, all’istruzione come a un’impresa. Una grande impresa culturale.

Quasi nove milioni di persone nell’Unione europea lavorano in ambito culturale. Di queste, novecenatomila, sono in Italia. La cultura si è riscoperta driver per la crescita economica, con ancora un potenziale da sviluppare in diverse aree di interesse.

È evidente che dietro alla cultura ci sono processi di produzione, distribuzione e consumo che sono economici e quindi inevitabilmente producono Pil. Qual è la percentuale di questo Pil, dipende molto da come perimetriamo i settori che consideriamo, però tenendo conto dei diversi studi che vengono fatti in Italia siamo in un ritorno del 4%, più o meno. Il punto è che questo valore economico dimostra solo una parte della ricchezza generata dalla cultura, perché la cultura è come il turismo, ampiamente sottostimata: quando parliamo di cultura evidentemente parliamo di conservazione e valorizzazione di patrimonio; poi, legata alla cultura c’è tutta la dimensione del coinvolgimento sociale, della creazione di uno sviluppo sostenibile in una direzione sociale e quindi rigenerazione urbana, inclusione, riduzione di costi sociali; e ancora, c’è una direzione che non viene valorizzata abbastanza e che è quella, invece, legata all’innovazione e che nel nostro Paese potrebbe essere veramente un cavallo di battaglia.

Qualcuno disse che “con la cultura non si mangia”. La frase fu attribuita a Tremonti, che poi ha smentito. L’ha detta anche Obama: occupatevi più di economia che di storia dell’arte. Per non parlare del “culturame”, infelice espressione con cui Mario Scelba potente ministro dell’Interno liquidò nel 1949 al congresso della Dc a Venezia il complesso degli intellettuali italiani. Lei presidente che idea si è fatto?

Dimostrare il valore economico e sociale della filiera culturale e creativa è abbastanza facile. Con un fatturato complessivo di 85 miliardi, la filiera, nonostante le criticità riscontrate durante la pandemia, ha impattato su soggetti e servizi i cui output appartengono ad altre attività economiche, generando indirettamente 240 miliardi di euro. Ciò è il frutto di una realtà vivace, in grado di dialogare con più attori e di produrre soluzioni innovative e modelli di sviluppo sostenibile il cui valore va oltre i semplici ricavi economici, interpretando l’anima stessa del nostro paese. L’Italia è da sempre considerata la patria della bellezza e della creatività. Con il PNRR su un totale di 191, 5 mld, sono stati investiti a favore del settore culturale e del turismo 7 miliardi, la cifra in assoluto più alta rispetto agli altri piani di ripresa europei. Questa scelta è dettata dal crescente ruolo che la cultura sta assumendo in riferimento a elementi ritenuti essenziali quali la coesione, l’integrazione, l’inclusione sociale, l’innovazione e il benessere. Come ha sottolineato il presidente Mattarella nel discorso al Parlamento, la cultura non è il superfluo, ma un elemento costitutivo dell’identità italiana. Come tale, va preservata e sostenuta, di modo che divenga ancor di più una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico.

Lei è stato assessore all’istruzione e alla cultura nel Comune di Lecce. Quindi certi problemi le sono noti da tempo. Le domando, ora anche nella nuova veste di presidente della Commissione Istruzione, un giudizio sullo stato di salute della scuola italiana. Ravvisa alcuni seri problemi che vanno risolti?

Il primo problema riguarda l’edilizia scolastica. L’80% delle scuole italiane è ubicata in edifici che non sono stati pensati e progettati per l’attività didattica. Gli spazi non sono accessori ma incidono profondamente sulla qualità dei processi di apprendimento e sulle scelte metodologiche.

Il secondo problema è che nella scuola italiana c’è un esercito di insegnanti precari che lavorano nell’assoluta instabilità, senza continuità e possibilità di pianificare la loro attività. Ciò comporta rallentamenti e disagi del sistema scolastico.

Poi, gli insegnanti italiani sono i peggio pagati d’Europa.

Abbiamo a mente tutto ciò.

Appena insediato il Ministro Valditara è riuscito a chiudere l’accordo con i sindacati e garantire un aumento di stipendio significativo agli insegnanti. È stato un risultato eccellente, indice dell’attenzione che questo Governo intende dare alla valorizzazione dei docenti. Quanto al sistema di reclutamento dei docenti, bisogna ricordare che è oggetto di una specifica misura del PNRR (M4C1-14) che prevede l’assunzione di 70.000 insegnanti entro dicembre 2024. Ad oggi si attende la valutazione della Commissione Europea sulla bozza di dpcm attuativo delle disposizioni del dl 36/2022 che intende formulare un’ipotesi nuova e pienamente condivisa con il MUR. Dopo questo step indispensabile si potrà agire sulle ulteriori misure attese dai docenti di ruolo e dai precari.

 

 

Il ministro Valditara: «Un docente tutor in ogni gruppo classe dal prossimo anno, sarà pagato di più» - Open

Giuseppe Valditara

 

 

Non crede che la scuola italiana sia posseduta dal demone della cosiddetta programmazione e sia meno concentrata sulla didattica e sui programmi scolastici? Perlomeno questa è l’impressione.

Onestamente non lo credo. La scuola e l’istruzione sono una missione assai complessa che abbisogna di programmazione proprio per assicurare a tutti gli studenti i medesimi standard di competenze didattiche e non. Oggi i giovani e le loro famiglie sono i principali destinatari delle riforme e degli investimenti previsti dalla Missione 4 del PNRR che intende dare loro gli strumenti necessari per una partecipazione attiva alla vita sociale, culturale ed economica del Paese, fornendo al contempo quel bagaglio di competenze e abilità indispensabili per affrontare i processi di trasformazione della società indotti dalla digitalizzazione e dalla transizione ecologica. Questa è una priorità assoluta perché l’innalzamento dei livelli di istruzione nella popolazione è elemento fondamentale per stimolare la competitività del sistema economico e ampliare le opportunità e gli strumenti conoscitivi dei cittadini e oggi, purtroppo, l’Italia è fanalino di coda in Europa. Questo processo non può prescindere da un grande impegno dei docenti e dei dirigenti scolastici e dunque dalla programmazione.

Mi riferisco per esempio a due fenomeni: provi a domandare a un insegnante che cosa fa nei primi giorni di ripresa dell’anno scolastico. Risponderà: abbiamo fatto programmazione. E non solo in quel periodo. Altro dato: i dirigenti scolastici sono diventati dei manager, dei burocrati, gestiscono un budget; sono figure ben lontane dal preside che abbiamo conosciuto e che si occupava più di didattica che di bilanci.

Il Dirigente Scolastico è responsabile delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio scolastico. L’autonomia organizzativa consente di dare al servizio scolastico flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia e di realizzare l’integrazione e il miglior utilizzo delle risorse e delle strutture. Il Dirigente Scolastico oggi è il preside come noi lo ricordiamo e in più è anche un manager che deve essere in grado, assieme ai docenti e al personale non docente, di sfruttare tutte le opportunità che vengono offerte alla scuola dall’UE, dal Ministero, dai Comuni e dai Municipi senza mettere da parte la programmazione didattica e l’offerta formativa dell’istituto che dirigono. Un mestiere faticosissimo che deve essere riconosciuto e adeguatamente valorizzato.

Vorrei conoscere il suo giudizio su una frase di Dacia Maraini, in una intervista che abbiamo pubblicato tempo fa su beemagazine: “la scuola è stata dissacrata”.

Nell’ultimo decennio la scuola ha visto limitare le risorse a propria disposizione e questo inevitabilmente ha finito col minare la sua credibilità. Quindi si, la scuola è stata dissacrata. I docenti sono stati dissacrati. La società contemporanea fa fatica a riconoscere l’autorevolezza della scuola nonostante il nostro sistema scolastico sia riconosciuto a livello europeo come molto valido. Questo Governo è pronto ad un cambio di paradigma come ha voluto manifestare a partire dal cambio di nome del Dicastero.

Come commissione avete ascoltato, immagino, i ministri titolari delle aree di cui si occupa la commissione (Istruzione, Cultura, Ricerca scientifica). C’è qualcosa, un problema, una difficoltà, un annuncio che più l’hanno colpita di queste audizioni?

Finalmente abbiamo potuto ascoltare ministri di un governo politico che dunque hanno un chiaro mandato dagli elettori e tutta l’intenzione di rispettarlo. Abbiamo ascoltato il ministro Valditara, la ministra Bernini, il ministro Sangiuliano e il ministro Abodi. Tutti disponibili ad un dialogo costruttivo con il Parlamento e già a lavoro insieme a noi come dimostra che in questo breve tempo, in commissione al Senato, siamo già riusciti ad approvare la legge che permetterà alle scolaresche di fare i viaggi della memoria e siamo in dirittura d’arrivo per la re-istituzione dei Giochi della Gioventù, un’opportunità incredibile per il rilancio dello sport fra i giovani e nelle scuole, strumento indispensabile per una nuova didattica dell’inclusione.

Che valutazione dà dell’operato del ministro Sangiuliano? E delle iniziative molto discusse del ministro Valditara, per esempio a proposito dei telefonini a scuola?

 

 

Il ministro della Cultura è Gennaro Sangiuliano

Gennaro Sangiuliano

 

 

Sono dispiaciuto che non si perda mai occasione di fare polemiche sterili. Il ministro Sangiuliano ha sostituito la 18App, uno strumento utilizzato poco e male, con un sistema più equo ed efficiente che garantirà il doppio delle risorse a quei giovani che ne hanno bisogno. Il ministro Sangiuliano ha anche chiesto e ottenuto, insieme a tutta la maggioranza, l’istituzione di nuovo fondo da 100milioni di euro da dedicare alla filiera del libro, al finanziamento dei carnevali, delle rievocazioni e delle dimore storiche, agli incentivi per le sale cinematografiche e, non ultimo, ha introdotto una indennità di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo.  Ma tutto questo in pochi si sono premurati di dirlo.

Quanto al ministro Valditara, comprendo che alcune dichiarazioni possano urtare la sensibilità di alcuni ma, a mio parere, per cambiare rotta è necessario questo coraggio. Bisogna restituire centralità e autorevolezza alla scuola, in primo luogo agli insegnanti, e non è ammissibile che gli alunni in classe possano utilizzare indiscriminatamente il proprio cellulare per stare sui social o guardare video spazzatura mentre un insegnante spiega, interroga o comunque si relaziona con la classe.

Lei è sulla sedia, stavo per dire poltrona, ma non mi piace la parola, di un grande presidente della settima commissione del Senato: Giovanni Spadolini, che poi è stato presidente del Consiglio, ministro e presidente del Senato. Questa circostanza che cosa le suggerisce?

È un paragone che mi lusinga e mi fa piacere non tanto per il mio possibile futuro politico quanto perché rende chiara l’idea dell’importanza che ha la cultura per l’Italia. Dovremmo infatti essere tutti più orgogliosi della ricchezza della nostra cultura che rappresenta un asset fondamentale non solo della nostra identità nazionale ma anche del nostro ruolo del mondo. L’Italia è una grande potenza culturale anche grazie a figure colte e competenti come Giovanni Spadolini.

 

 

C'erano una volta/ Giovanni Spadolini - La Mescolanza

Giovanni Spadolini

 

 

Di Spadolini ricordo che veniva in sala stampa al Senato a portarci le notizie; di più ci portava, da giornalista qual era oltre che storico, addirittura il comunicato sulla seduta della commissione: e durante l’esame della riforma universitaria ci portava i resoconto dei vari articoli approvati. Conosceva la pigrizia dei giornalisti, ma era anche un gesto di grande attenzione al lavoro della stampa. Lei che rapporti ha con i giornalisti?

L’aneddoto è istruttivo perché evidenzia l’importanza della trasparenza per una democrazia parlamentare come l’Italia. Oggi questo sano rapporto con la stampa è inevitabilmente mediato dall’uso dei social con tutti i rischi che questo può comportare. Personalmente ritengo che sia importante mantenere un rapporto diretto con i giornalisti e riconoscerne il valore.

Lei ha due signore come vicepresidenti: la sen. Giulia Cosenza e la sen. Giusy Versace. Che tipo di presidente è Lei? Delega molto o poco visto che lei è sempre presente. Le statistiche di open Parlamento segnalano che nel 2022 ha registrato l’88,60 di presenze in Senato.

Sono estremamente fortunato ad avere due colleghe così valide con cui ho il piacere e l’onore di coordinarmi di continuo per definire l’indirizzo e i lavori della Commissione. Queste attività non si limitano alla presidenza della commissione quando si riunisce ma segnano le nostre giornate romane e io conto moltissimo sulla loro collaborazione. A dire il vero con tutti i membri di maggioranza e opposizione si è stabilito un rapporto assai proficuo.

Ora passiamo a domande politiche più personali o militanti. Nel 2017 ha lasciato Forza Italia e ha seguito Fitto nella formazione Cor (Conservatori e riformisti, capeggiati dall’attuale ministro degli Affari europei, suo conterraneo. Poi ha fatto il salto nella Lega di Salvini. Ci spiega le ragioni di questa scelta?

Ad un certo punto il percorso con i Conservatori e Riformisti non è stato più praticabile e ho scelto di aderire alla Lega, un partito al 2,5% che stava però cambiando ed era pronto a diventare un partito nazionale. A distanza di breve tempo anche Raffaele Fitto ha concluso quella esperienza aderendo poi a Fratelli d’Italia.

Io ho sposato appieno le peculiarità del progetto di Matteo Salvini, un progetto entusiasmante che ha quale principale punto di forza il regionalismo, inteso come la capacità di valorizzare e rappresentare nelle istituzioni nazionali le istanze di ciascun territorio. Da parlamentare uscente questa scelta non mi garantiva la rielezione ma ho voluto osare. La lega poi è arrivata al 35% perché gli italiani hanno ben compreso questo progetto politico.

 

 

Matteo Salvini su Zelensky, Cospito, ONG e Fazzolari | Radio Capital

Matteo Salvini

 

 

Con la Lega si è candidato ed è stato eletto al Senato nel 2018; Salvini lo ha premiato nominandolo responsabile regionale della Lega in Puglia e anche in Basilicata. Una domanda che può sembrare provocatoria ma che sento spesso: perché mai un cittadino del Sud dovrebbe votare Lega? Un partito che, diciamo con un eufemismo, non è stato mai tenero con i meridionali.

Ribadisco, la Lega ha un progetto nazionale che parte dalla valorizzazione di ciascun territorio. A distanza di 6 anni in Puglia il nostro partito esprime sindaci, amministratori comunali, 4 consiglieri regionali e un parlamentare europeo. Se alle politiche 2018 siamo stati eletti in 3, oggi siamo 5. Abbiamo anche sottosegretari e presidenti di commissione come me. Non mi pare che possa dirsi che è un partito che guarda solo al nord, anzi, nulla di più sbagliato.

Di Salvini ci può dire un pregio e un difetto, ovviamente in termini politici.

Matteo Salvini è un uomo di grande intelligenza e straordinaria visione. È anche troppo disponibile, e questa che nella vita è una virtù in politica può diventare un difetto.

Secondo Lei i rapporti tra Salvini e Meloni trovano facilmente un punto di equilibrio o a volte si rischia la rotta di collisione? Non mi dia una risposta diplomatica.

Fino ad oggi non ho visto altro che punti di equilibrio. Le do una risposta secca, su questo non può esistere una risposta diplomatica.

 

 

Giorgia Meloni è la settima donna più potente del mondo

Giorgia Meloni

 

 

Come giudica questa fase di avvio del governo?

C’è grande entusiasmo per un Governo scelto dai cittadini, finalmente dopo 12 anni. Ma altrettanta responsabilità per affrontare adeguatamente le sfide durissime di questo momento storico.

Una domanda da avvocato del diavolo: tra Salvini e Berlusconi, data la lunga storia politica personale di entrambi, specialmente del secondo, chi si sente psicologicamente più disagio a fare il vice di Meloni?

Salvini ha scelto di fare il vice premier, è un ruolo che desiderava e pertanto non prova alcun disagio. Berlusconi non è stato pronto a fare lo stesso passo.

 

 

Case green, Berlusconi: ci opporremo in ogni sede a direttiva Ue

Silvio Berlusconi

 

 

E chi, non è un auspicio sia chiaro ma solo una domanda curiosa, tra Berlusconi e Salvini potrebbe rovesciare il tavolo e staccare la spina, presentandosene l’occasione?

Non è una domanda cui io possa rispondere ma mi pare evidente che nessuno dei due abbia questo interesse. Berlusconi 29 anni fa ha fondato l’attuale centrodestra, Salvini non ha lesinato energie e ha voluto ad ogni costo questo governo di centrodestra.

Cosa può e deve fare questo governo per il Mezzogiorno?

Può e deve fare molto a cominciare dalla piena attuazione del PNRR che destina il 40% delle risorse al sud. La nostra priorità dev’essere quella di bloccare l’emigrazione di tanti giovani che lasciano il sud in cerca di fortuna al nord d’Italia e in Europa. Si tratta di una occasione storica. Dobbiamo ripensare al sud non come un nord che non ce l’ha fatta con politiche assistenziali scellerate bensì valorizzare le sue vere potenzialità, la sua identità e la sua ricchezza culturale. In questo la Puglia può rappresentare un modello positivo.

Anche in politica il tempo sana tante cose. Quali sono oggi i suoi rapporti con Fitto?

Ribadisco che non c’è nulla da sanare. Semplicemente abbiamo scelto percorsi differenti ma nessuno dei due ha tradito l’altro. Abbiamo rapporti cordiali. Io rappresento la Lega in Puglia e sono felice di avere un ministro della mia terra in un partito alleato.

Lei nella precedente legislatura ha fatto parte anche della Commissione per la semplificazione. Un organismo, suppongo, incaricato di rendere semplici cose complicate, per esempio leggi astruse, incomprensibili e a volte scritte con i piedi. Quanto pesa sulla vita quotidiana dei cittadini, e alla fine sulla stessa economia, la farraginosità e la scarsa chiarezza delle leggi, spesso scritte nella lingua morta dei burocrati, dove manca solo “all’uopo”, una espressione di cui si faceva beffe anche Totò?

Quello della tecnica legislativa è un tema serio che va affrontato con attenzione. Abbiamo un problema di stratificazione di leggi nel tempo dovute principalmente all’instabilità politica che ha contraddistinto il nostro Paese e che ha portato, come diretta conseguenza, la necessità di rivedere continuamente i testi normativi. Altro problema è poi quello dei continui “rimandi” delle nostre norme e su questo stiamo cercando di approdare ad un linguaggio più chiaro e conciso.

Nella sua veste di presidente di Commissione se la sente di prendere un impegno a proseguire il lavoro della semplificazione facendo approvare leggi chiare, nitide, che le capiscano tutti? Se non altro per dare l’esempio, trattandosi della Commissione Istruzione, Cultura e Ricerca scientifica.

Le assicuro che cerchiamo di agire esattamente in questa direzione

Vuole spiegare ai giovani e non solo a loro ma a chi segue poco i lavori delle due Camere che cosa significa essere e fare il presidente di una Commissione parlamentare?

Semplificando al massimo posso dire che il presidente definisce l’ordine dei lavori della Commissione ovvero raccoglie le richieste di tutti i senatori partecipanti e definisce insieme a loro le priorità su cui lavorare. Dalla trattazione di proposte di legge, all’approfondimento su tematiche di interesse oltre alla attività consultiva sugli atti del governo. Si tratta di un lavoro delicato che dà grande impulso all’attività legislativa del Parlamento che, come sapete, si svolge nella prima e più delicata fase proprio nelle Commissioni competenti per materia.

Grazie Presidente

 

Mario NanniDirettore editoriale

Il Ramadan e la chiusura delle scuole

C’è stato un tempo – se più o meno felice, decida naturalmente il lettore – in cui il primo giorno Read more

Pasqua, la ricorrenza tra parole e gesti

C’è un brano, tra i più significativi del Vangelo, in cui la "parola" del Signore si fa "gesto" carico di Read more

Il Censis fotografa il mondo della Comunicazione

"Mentre rimaniamo per lo più incerti nel soppesare i benefici e i pericoli connessi all’impatto dell’Intelligenza Artificiale sulle nostre vite Read more

Le 21 donne Costituenti, ricordo di Nilde Iotti e Teresa Mattei

La scalinata di una scuola. Sulle scale tante donne, solo donne, in attesa che si aprano i seggi ed inizino Read more

Articolo successivo
Dalla riforma Cartabia al caso Cospito. La sanzione penale fra pulsioni rieducative e carcere duro
Articolo precedente
Emanuela Orlandi, una speranza lunga 40 anni La verità? Il Papa la conosce ma non la dice

Menu