“Popoli della repubblica! l’assemblea costituente vi confida questo patto della vostra associazione politica — Voi lo manterrete, voi la difenderete!”( Costituzione della Repubblica Romana del 1849)
Il 9 febbraio si è celebrato il 175° Anniversario della Repubblica Romana del 1849, una delle pagine più significative del nostro Risorgimento. Un evento che ha lasciato una traccia indelebile sia per il suo tentativo di restituire Roma all’Italia, dopo il lungo dominio pontificio, sia per la proclamazione di una Costituzione, che ancora oggi si presenta tra le più moderne ed avanzate della nostra storia.
I suoi protagonisti ebbero infatti come faro, (in un contesto preunitario ancora dominato dal dispotismo e dall’assolutismo), la visione dell’unità d’Italia e della costituzione di uno stato democratico e repubblicano, laico e unitario. Un disegno politico capace di superare gli storici particolarismi e le divisioni del nostro Paese, per costruire finalmente un progetto comune in cui “la sovranità è per diritto eterno nel Popolo”.
Sconfitto, in quel momento, il potere temporale del papato, i triumviri Mazzini, Saffi e Armellini, nelle vicende della Repubblica Romana non lasciarono infatti solo una testimonianza del loro impegno patriottico per liberare l’Italia dai dispotismi stranieri e nostrani, ma soprattutto una proposta di una alternativa democratica, popolare e laica.
Una alternativa che vide nella Costituzione della Repubblica Romana il suo massimo manifesto. Un manifesto di un ideale mazziniano e repubblicano, che si scontrava con un contesto difficilissimo e precario. Il quale non va considerato, come scrissero alcuni detrattori, come una sorta di utopismo velleitario, ma come un programma morale e politico. Un disegno e un ideale costituzionale che non si è rivelato solo il fondamento migliore del nostro processo unitario, ma che rappresentò un riferimento imprescindibile per i padri della nostra Costituzione del 1948.
Lo stesso Giorgio Candeloro aveva affermato che “la Repubblica romana rappresentò la punta più avanzata della rivoluzione quarantottesca in Italia anche per la sua Costituzione”. Una Costituzione che, come scrive Candeloro, “l’Assemblea romana volle proclamare solennemente nel momento in cui i francesi entravano in Roma per mostrare al mondo di non essere venuta meno alla sua funzione costituente e per lasciare all’Italia una testimonianza del proprio ideale democratico”.
Una testimonianza ed uno spirito che non solo furono ripresi dai padri costituenti, ma che di fronte alle sfide del presente, si presentano come un riferimento per chiunque voglia essere un “repubblicano in Repubblica” (come diceva il vicepresidente della Costituente Giovanni Conti). Cercando di vivere la propria cittadinanza in maniera attiva e consapevole. La Repubblica Romana fu, infatti, il banco di prova di nuove idee democratiche ispirate dai principi di libertà e uguaglianza, dando un contributo fondamentale alla realizzazione al progetto di un’Italia unita e repubblicana.
Aldilà delle proprie frammentazioni e dei propri egoismi. Un evento molto significativo che, purtroppo, è stato sostanzialmente ignorato confermando l’attitudine al “presentismo” (che sembra una sorta di “oggicrazia”), e all’oblio, delle nostre classi politiche e dirigenti. In questo scenario politico non incoraggiante va quindi segnalata l’iniziativa del sindaco di Ravenna (e presidente dell’Unione delle province italiane) Michele De Pascale . Il quale, in occasione della deposizione delle corone presso la lapide dedicata a Giuseppe Mazzini del Comune di Ravenna, ha voluto ricordare nel suo intervento alcuni articoli più significativi di quella costituzione avanzatissima, sottolineandone la profonda attualità.
“A Ravenna e in buona parte della Romagna, grazie al permanere del mazzinianesimo e del repubblicanesimo, si continua a celebrarne la nascita ogni 9 febbraio. Nella convinzione che da quella straordinaria, ma purtroppo brevissima esperienza, terminata il 4 Luglio dello stesso anno, sia poi scaturito il pensiero e l’azione che hanno poi portato a scrivere le migliori pagine della storia d’Italia, il Risorgimento e la Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza.”
Dalle radici della Repubblica Romana è nata, infatti, un’esperienza costituzionale che con alcuni suoi articoli è in grado di lanciare moniti cruciali per affrontare alcuni nodi del presente aperti nel nostro Paese. La Costituzione del 1849 , dai principi dettati per la magistratura alla separazione tra stato e chiesa, dimostra quanto i padri del Risorgimento abbiano avuto una vera “visione” (politica, sociale e morale) del proprio Paese.
Un’eredità che può aiutarci a riflettere, per fare solo un esempio, su una problematica che nell’euforia del tormentone del momento, (un tempo il nuovo libro di Vannacci, oggi le polemiche di alcune pessime pantomime sanremesi), molti sembrano aver dimenticato: l’autonomia differenziata.
Leggendo, infatti, il principio V della Carta possiamo riscoprire alcuni capisaldi che dovrebbero accompagnare una riflessione su questo tentativo di “federalismo à la carte”: “I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato”. Un indirizzo che viene poi confermato dal principio VI in cui si rivendica che: “La più equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico dello stato è la norma del riparto territoriale della repubblica”.
Degli indirizzi che seppur scritti e formulati nel primo Ottocento appaiono molto più attenti e sensibili alle troppe diseguaglianze in seno al nostro Paese, (senza però perdere il senso della tutela delle nostre diversità) di quelle di chi oggi goffamente cerca di dividere l’Italia. I quali proponendo un “semifederalismo all’italiana” finirebbero solo per allargare ancora di più la frattura che esiste all’interno del nostro Paese, arricchendo sostanzialmente le regioni già ricche e impoverendo quelle già povere.
In questo clima un po’ bizzarro in cui vive il nostro Paese è fondamentale riscoprire l’importanza di quella esperienza e di questa ricorrenza. Poiché riscoprire il vero significato del 9 febbraio del 1849 non vuol dire solamente riscoprire la migliore matrice del nostro fondamento costituzionale e del nostro Risorgimento, comprendendone l’attualità. Ma diventa soprattutto un invito ad essere vigili ed attenti di fronte ai problemi e alle criticità che troppo spesso vengono sopraffatti dal nauseante cicaleccio in cui siamo immersi. E a non cercare di incoraggiare le già troppo pronunciate divisioni in un Paese che tanto ha faticato a cercare un fondamento unitario. Un invito di cui, nonostante il sostanziale silenzio troppo diffuso in seno alla nostra classe politica, si sente più che mai il bisogno.
Luigi Tivelli e Francesco Subiaco – Presidente e Vicesegretario generale dell’Academy Spadolini