Quei fantasmi su e attorno a Moro. Impressioni a caldo dopo aver visto il film “Esterno notte”, di Marco Bellocchio

CulturaPolitica

Turbamento: questa è la sensazione con cui si esce dal cinema dopo aver visto  l’ultimo film di  Marco Bellocchio su Moro. Il secondo, dopo quel “Buongiorno notte” di quasi 20 anni fa.

Un film di cui è stata proiettata nelle sale una prima parte – la seconda nelle prossime settimane-  in questa seconda metà di maggio, mese fatale al presidente della Dc, a pochi giorni dall’anniversario di quel tragico via Caetani.

Si esce turbati non tanto e forse non solo per questa o quella tesi sostenuta dal regista – un pastiche tra realtà, fatti documentati, fatti immaginati, ipotesi, invenzioni stilistiche – ma per il forte impatto emotivo del racconto, orchestrato con una forte attenzione agli aspetti umani più che politici della vicenda che ha cambiato da allora la storia italiana, comunque la si voglia considerare.

Il cineasta ha lavorato molto sui personaggi, del resto il film ha un impianto più teatrale che cinematografico e d’azione.

Non racconteremo naturalmente la trama, per rispetto al lettore, anche se ci troviamo in un triste e tristo giallo in cui il finale è già noto, e si conoscono anche gli assassini, alcuni dei quali – eccetto qualcuno che fa senza rimorso il ristoratore in Nicaragua come Alessio Casimirri – magari andranno anche a vedere la pellicola.

Ci limiteremo perciò ad alcune sintetiche annotazioni.

La scelta degli attori e la somiglianza con i personaggi rappresentati.

Non era facile impersonare Moro. Ma Fabrizio Gifuni lo ha interpretato anzitutto con una somiglianza fisica impressionante, quasi mimetica. Non solo nel fisico smagrito e sofferente, ma anche nell’eloquio, nelle pause, in qualche giro di frase venata di umorismo.

Di Moro, sono messi in rilievo, oltre al politico, tratti di tenerezza e di dolcezza tipici del Moro privato. Erano poco conosciuti, prevalendo nella opinione pubblica per tanti anni la figura del Moro pubblico, stratega, tessitore di svolte politiche. Ma gli italiani ne vennero a conoscenza quando lessero le sue lettere dal carcere delle Brigate rosse, nelle frasi premurose dedicate alla moglie Noretta, e nelle parole di grande tenerezza e struggente nostalgia riservate al nipotino Luca, il figlio di Maria Fida.

Bellocchio, che intanto è stato già bersagliato dalle prime critiche – di uno dei figli di Andreotti, Stefano – ha detto in una conferenza stampa di aver trattato con rispetto la famiglia Moro. Ci verrebbe da dire: e ci mancava altro!

Non meno straordinaria è la somiglianza tra l’attore che impersona Cossiga e il personaggio reale. Dell’allora ministro dell’Interno sono rese le sfumature del dramma che visse durante i 55 giorni di prigionia di Moro, all’insegna dell’impotenza dello Stato di scovare il covo brigatista dove il presidente della Dc era prigioniero. Un Cossiga sofferente, problematico, annichilito e crepuscolare, è quello che si vede nel film, dove passa delle ore al buio; un Cossiga, devastato dai sensi di colpa, che, mentre fa le riunioni del cosiddetto comitato di salvezza di Moro, ma in realtà ( si seppe poi) composto di persone che tutto volevano tranne la liberazione di Moro –  si guarda le mani e in tempo reale vede formarsi le macchie sulla pelle della mano. Segni psicosomatici che si porterà fino alla tomba.

Notevole somiglianza,  non fisica questa volta ma più psicologica, c’è nel caso del Papa, una figura che giganteggia in questo film , mentre nella realtà di quella vicenda Paolo VI ebbe un ruolo più defilato, ma solo dal punto di vista della visibilità pubblica.

Uno dei meriti del film è appunto quello di aver mostrato “dall’interno” il lungo, sofferto, tenace lavoro del Vaticano per trovare una via di uscita che portasse alla liberazione di Moro, “uomo buono, mite , onesto e amico”.  Illuminante la circostanza – verità? finzione stilistica? – in cui Paolo VI sveglia di notte un sacerdote che si era adoperato per trovare contatti utili tra i terroristi o fiancheggiatori  per liberare Moro, per chiedergli consigli su COME impostare la lettera “agli uomini delle Brigate rosse”, sul linguaggio più appropriato da usare per convincere i terroristi a liberare l’ostaggio. Un colloquio che lo spettatore troverà molto interessante perché rivela la grande sofferenza e umanità di Paolo VI.

Toni Servillo ne  interpreta il dramma umano e psicologico con fedeltà e verosimiglianza ma più con le parole che con le espressioni del viso sofferente.

L’altro personaggio principale di questo dramma è naturalmente Andreotti. Nessuna somiglianza fisica, Andreotti più che un volto sembra avere una maschera, dall’aspetto di per sé poco rassicurante, diffidente e che ispira diffidenza e distanza. Scelta registica non casuale, bisogna pensare, se su Andreotti il regista non dimentica di mettere in evidenza tre aspetti che certo non aiutano ad alleggerire supposte colpe dell’allora presidente del Consiglio.Nella prima scena Andreotti legge la lettera di Moro a Cossiga e commenta: Non lo riconosco più, non è lui.

Questa idea, per essere giusti, non si può caricare solo sulle spalle di Andreotti, dato che “Moro non è più lui” diventò presto una infame vulgata di cui si fecero tenaci capifila grandi giornalisti come, per esempio, Eugenio Scalfari su “Repubblica”. E così Moro fu “assassinato” come persona nella sua credibilità, prima ancora che lo facessero le Br.

In un’altra scena, Bellocchio fa dire ad Andreotti  che la vedova Leonardi avesse minacciato di darsi fuoco davanti a Palazzo Chigi se ci fossero state trattative con i terroristi sanguinari e assassini della scorta di Moro.

Infine, ricevuta in udienza, Nora Moro dice al Papa: Si sono presentati tutti a casa mia, tranne Andreotti.

A compensazione (?),  di Andreotti viene mostrata plasticamente la reazione mentre corre in bagno dopo aver appreso che Moro era stato rapito: vomita, s’insudicia la camicia e il vestito e ordina che gliene portino un altro.

Non è facile separare con nettezza i fatti esattamente avvenuti e incontrovertibili – la bufala che il corpo di Moro era nel Lago della Duchessa, le ambiguità del cosiddetto comitato di crisi, le inefficienze delle indagini  la raccolta, da parte del Vaticano, di dieci miliardi ( nel film diventano 20) –  e alcuni aspetti o circostanze cosiddetti di “invenzione narrativa”, dettati da esigenze stilistiche e cinematografiche. Come la scena immaginaria  in cui Moro ringrazia le Br di averlo liberato: e che avrebbe, se reale, aperto interessanti scenari su come il mondo politico lo avrebbe accolto.

O la scena in cui Moro si attarda la sera tardi nello studio di casa leggendo i giornali, mentre la moglie  dorme, aspettando che i figli rientrino. Rientra Agnese, e la prima cosa che il padre le raccomanda di fare è quella di lavarsi le mani. Poi glielo dice un’altra volta.  Che si sappia, Moro non aveva fobie, e quindi viene spontaneo pensare che la raccomandazione paterna alla figlia abbia una valenza simbolica, e voglia suggerire una fondamentale dote di Moro: la pulizia morale.

 

Spectator

Giorgia Meloni contro Luciano Canfora. De Gasperi contro Guareschi

Non è uno scontro tra titani, ma l'urto di due eccessi. Giorgia Meloni, una giovane leader, ruspante e combattente, abituata Read more

Diabolé, la dea del male assoluto

Abbiamo già capito che non tutti gli abitanti del Pantheon greco-latino erano brava gente e che non tutti potevano aspirare Read more

Bipartitismo sotto l’egida di Giorgia Meloni?

I - Nell’importante saggio di Mario Nanni, intitolato La ‘solitudine’ di Giorgia, sembra affiorare il desiderio, di più: la necessità, Read more

Solo Mancuso perse la cappa

Fin dalla prima legislatura repubblicana, sono state presentate mozioni di censura a questo o a quel ministro. Il primo ad Read more

Articolo successivo
Un personaggio, tante storie. Publio Fiori, il ritratto di un politico il quadro di un’epoca
Articolo precedente
La cultura, i denti e il cervello: cosa rischiamo di diventare

Menu