Un binario di vita, una riflessione del cardinale Filoni sulla Quaresima

Periodo che appartiene alla tradizione millenaria del Cristianesimo, alla cultura, all’arte, alla vita semplice della gente. Con due virtù tipiche di questo tempo: la preghiera e la carità.

II tempo di quaresima nella vita liturgica della Chiesa cattolica e di tutte le Chiese cristiane del mondo è un periodo di grande importanza. Appartiene alla tradizione millenaria del cristianesimo, alla cultura che ha plasmato generazioni, all’arte che ne ha tratto elevate ispirazioni, alla vita semplice della gente; esso si colloca tra il mercoledì delle ceneri (il giorno dopo il carnevale) e il giovedì santo, quello prima della pasqua. 

Per poco più di quaranta giorni, il cristiano è invitato a riflettere, pregare e compiere opere di carità.  È anche un periodo di mortificazione dal cibo, ma senza legame con le diete più o meno salutifere, dimagranti. 

Allora, perché la quaresima? L’interrogativo è legato al “mistero” della croce di Cristo.

Perché la croce?

La risposta radicale, diceva Benedetto XVI,  è: perché esiste il male, anzi, il peccato, che secondo le Scritture è la causa profonda di ogni male; in verità, non è questa un’affermazione scontata, né da molti accettata, perché presuppone, diceva quel Pontefice, una visione religiosa del mondo e dell’uomo oggi fortemente secolarizzato (Angelus de 13 marzo 2011). Ad ogni modo, disabituati a vivere le dimensioni dello spirito, qui intendiamo chiamare in causa due virtù tipiche della quaresima: la preghiera e la carità. 

Anzitutto la preghiera.

Nella nostra vita la preghiera non dovrebbe mai mancare. Nella famiglia di Nazaret, Gesù apprese a pregare in casa e secondo lo stile ebraico presso la sinagoga del suo villaggio. La preghiera apparteneva alla vita di Gesù e ciò suscitava anche nei discepoli il desiderio di imitarlo; pertanto, non solo la raccomandò, ma insegnò il “Padre nostro”, la preghiera per eccellenza, offrendo in essa contenuto e traccia; il Signore poi educò anche alle modalità del pregare: senza ipocrisia, nella riservatezza, senza sprecare parole. Il “vegliare in preghiera” appare nei vangeli un’evidente costante prima dei momenti più importanti: così la notte antecedente la sua passione, il Signore chiese ai suoi discepoli di vegliare e di pregare insieme a lui.

Pregare appartiene, di per sé, anche allo stile e alla natura della Chiesa; pertanto, è bene che ciascuno impari a pregare e che lo faccia costantemente. Nella preghiera, infatti, si esprime la fede. Non la “nostra” fede, ma quella di Gesù alla quale siamo aggregati. Sempre nella preghiera dobbiamo altresì chiedere a Cristo di permettere a noi di unirci a lui per rivolgerci insieme al Padre e ottenere il dono dello Spirito Santo, secondo lo splendido insegnamento di Sant’Agostino, il quale diceva che il Signore Gesù “prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio”.

Quanto alla carità, Benedetto XVI, in uno dei suoi più attraenti documenti del pontificato (Caritas in veritate), scriveva che la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera è la carità, di cui Gesù Cristo s’era fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione. 

La carità è una forza straordinaria, che spinge le persone ad impegnarsi con coraggio e generosità in ogni attività, in particolare nel campo della giustizia e della pace. Si tratta però di avere ben chiaro che la radice della carità è Cristo, con la sua vita, il suo insegnamento, i segni che lo accompagnavano, la sua morte e risurrezione.

Gesù mai fa l’apologia della carità; egli la mostra concretamente in riferimento alle persone in stato di necessità: i poveri, gli ammalati, la donna accusata di adulterio, gli stessi indemoniati; e anche al dottore della Legge che gli chiedeva: “Chi è il mio prossimo?”. Gesù non dà spiegazioni ma racconta la parabola del buon samaritano, quella dell’uomo che scendendo da Gerusalemme a Gerico incappò nei briganti, i quali lo derubarono e lo malmenarono fino a lasciarlo abbandonato mezzo morto; solo un samaritano si prese cura di lui. La conclusione divenne evidente: “Va’ e anche tu fa’ così”.

Insieme alla preghiera, che esprime la fede, la carità prolunga la missione di Cristo nel mondo se l’amore per il prossimo è radicato nell’amore di Dio; questo aspetto è fondamentale nella visione cristiana, perché l’amore per il prossimo si libera da una certa neutrale concezione filantropica e recupera quella teologica stabilita da Cristo.

L’amore per il prossimo è un compito che riguarda ogni singolo cristiano, ma, al tempo stesso, appartiene anche all’intera comunità ecclesiale: da quella locale alla Chiesa universale nella sua globalità. In quanto poi uniti al mistero di Cristo, sacramentalmente attraverso il battesimo, il cristiano percepisce di essere membro di una stessa famiglia, quella di Dio, la quale invita a non perdere mai di vista la nostra appartenenza e la nostra missione di bene. 

L’esercizio della carità ci porta ad essere così in linea con quanto ricordano sia gli Atti degli Apostoli (“tutti coloro che erano diventati credenti facevano parte del proprio agli altri, secondo il bisogno di ciascuno”), sia l’apostolo Paolo, il quale, in momenti di particolare calamità, di persecuzione e di carestia, chiedeva alle comunità di Antiochia, Grecia, Galazia e Macedonia di ricordarsi dei “santi” in Gerusalemme e di tenere collette, che egli poi definì generose, anzi al di là dei loro mezzi.

Il cristiano percepisce, pertanto, in questo comune impegno, di preghiera e di carità, di avere uno dei tratti caratteristici, che gli permettono di esercitare la propria spiritualità attraverso una spiccata generosità, secondo le splendide parole di San Leone Magno, papa, il quale diceva ai suoi cristiani di Roma: “Sia più larga la generosità verso i poveri e i sofferenti perché siano rese grazie a Dio. Ed essa avvenga con gioia”.

La gioia del bene!

La quaresima spinge a camminare su questo duplice binario: la preghiera e la carità.

 

Cardinale Fernando Filoni – Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro

 

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