“Parigi, o cara, noi lasceremo”: la veridica sorte dei quadri a pastello di Giuseppe De Nittis a Barletta

A chi in estate non si accontenta solo di stordirsi negli stabilimenti balneari sempre più afosi e sempre più cari, nelle prossime settimane la piccola città adriatica di Barletta, in provincia di Bari, può offrire qualche occasione per ripercorrere un ideale manuale di storia dell’arte dall’antichità all’età moderna.                                                                                                                                                                                                                                                                  

Barletta vale il viaggio per alcuni reperti straordinari: l’impressionante statua colossale maschile in bronzo, in parte mutilata e reintegrata nei secoli, di epoca e provenienza ancora dibattute, familiare presenza per i residenti nel centro storico che per la statua usano l’appellativo ‘Eraclio’; il lacunoso busto lapideo ritenuto da molti un frammento di una perduta statua equestre dell’imperatore Federico II. 

Colosso (‘Eraclio’), bronzo, 450 cm, V secolo (?), Barletta, accanto alla Basilica del Santo Sepolcro

 

Busto maschile, pietra calcarea, XIII secolo (?), castello di Barletta

 

Dal 2006 nel centro storico di Barletta in Palazzo della Marra è visitabile anche una raccolta di dipinti, incisioni, disegni e libri che, se non fossero finiti in un angolo di Puglia, sarebbero probabilmente esposti al Musée d’Orsay o all’Orangerie a Parigi. La Pinacoteca intitolata a “Giuseppe de Nittis” si è costituita attorno alla donazione (seguita a un moto di orgoglio e di disperazione) di Léontine, la vedova di De Nittis, alla città natale del marito con atto notarile del 3 novembre 1912 (http://www.barlettamusei.it/cron_donazione.html).                                                                    

Pur insignito della Legion d’Onore dallo Stato francese nel 1878 e circondato da intellettuali e colleghi per la notorietà e la facilità di guadagno come ritrattista e pittore di paesaggi assolati, dopo la morte improvvisa a trentotto anni, il 21 agosto 1884, De Nittis viene rapidamente messo nel dimenticatoio dalla Francia e sua moglie non riesce a destinare allo Stato francese le opere rimaste nello studio, invendute nonostante il successo di pubblico e critica ottenuto da molte di esse quando vennero esposte.

Non si tratta di quadri trascurabili, anzi; diversi di essi, di medie e grandi dimensioni, accomunati dalla tecnica del pastello su tela, quando erano stati messi in mostra a Parigi nel 1881 avevano suscitato l’invidia perfino del geniale Edgar Degas. Non è inutile ribadire (per guardare ai fatti con l’”occhio del tempo”) che nel 1874 Degas aveva pregato il famoso e da molti amato De Nittis di esporre alla prima mostra della “Società anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori” (così si definivano da sé stessi i pittori che cercavano di emergere dagli anni Sessanta con un nuovo stile per nuovi soggetti), pittori poi qualificati con sufficienza “impressionisti” da un critico. De Nittis partecipando avrebbe dato ai colleghi attrattività e legittimazione, fornendo loro anche opportunità presso i canali di committenza, europei che all’epoca contavano.

La parabola di De Nittis fu breve e geograficamente ovvia, per un artista della seconda metà dell’Ottocento, dato che toccò tutte le città che, in progressione, garantivano a un artista l’affermazione sulla scena mercantile ed espositiva. Da Barletta andò a Napoli, da Napoli a Firenze e, trasferitosi a Parigi, diventò famosissimo e molto imitato da europei e americani, soprattutto per avere resuscitato, in gara con Degas, la tecnica del pastello su tele di grande formato per realizzare ritratti ambientati in interni e in paesaggi diurni: una tecnica associata a un genere che andava di pari passo con l’apprezzamento di De Nittis e di Degas per i romanzi francesi dell’Ottocento, dei quali erano grandi estimatori, in cui agivano personaggi del secolo precedente e nei quali, anche quando protagonisti erano personaggi contemporanei, la tecnica del pastello era spesso evocata positivamente. Il pastello, inoltre, era meno costoso degli altri colori, più facile da lavorare e da sovrapporre e si prestava a infinite e ogni volta uniche combinazioni di colore e di stratificazione materiale.

Oggi il nome di Giuseppe De Nittis è noto agli storici dell’arte, ai conoscitori e ai residenti nella città in cui il pittore nacque e in cui è custodita la maggior parte delle opere che tanto suscitavano l’invidia dei colleghi ‘impressionisti’ all’epoca non esattamente i primi ad avere successo e oggi, al contrario, assurti a simbolo della “pittura della vita moderna”: oltre a Degas, Manet, Monet, Renoir ecc.. Dopo la loro morte, dalla metà del Novecento a oggi, le loro opere spuntano prezzi ragguardevolissimi sul mercato internazionale.

Della donazione della signora De Nittis a Barletta fanno parte due ritratti femminili dipinti con gli stessi pigmenti, sullo stesso supporto e nello stesso stile: si tratta di due opere a pastello su tela esposte a Barletta come Ritratto della signora De Nittis e Testa di donna, affiancabili a un’altra tela a pastello acquistata sul mercato nel 1991ed esposta come Signora in giardino. Vediamo adesso la genesi e la fortuna espositiva e storica delle tre opere.

Alla fine di maggio 1881 a Parigi nei locali eleganti del Cercle de l’Union Artistique in Place Vendôme (dominata, oggi, non solo dalla colonna coclide napoleonica ma anche dal Ritz e da una serie di boutiques dai prezzi inavvicinabili), a una delle mostre annuali più importanti d’Europa, Giuseppe De Nittis espone diciotto opere su tela realizzate con i pastelli, tutte del medesimo genere, formato e tecnica. La mostra ha un successo immediato e suscita tentativi di emulazione e moti di invidia da parte dei colleghi impressionisti. 

Ecco qualche esempio. Il 24 maggio 1881, in occasione dell’apertura della mostra, un grande amico di Edgar Degas, Ludovic Halévy, annota sul proprio diario: “Deliziosi i pastelli di De Nittis. Arte davvero moderna. Vi è del realismo, ma elegante, amabile, senza rozzezza né trivialità”. Il 7 giugno, tuttavia, l’amico di Degas apprende un ben differente parere espresso dai colleghi dell’artista: “Gli impressionisti intransigenti sono furiosi per i pastelli di De Nittis. Hanno il torto imperdonabile di avere successo e di piacere. Un puro ieri mi ha detto: ‘È impressionismo alla portata del bel mondo’”.

Il giorno successivo Halévy esprime un’opinione drasticamente contraria rispetto a quella formulata qualche settimana prima, all’inaugurazione: “Dalla rivolta di Courbet e Manet sta nascendo una rivoluzione. Tutte le rivoluzioni cominciano con una rivolta. Solo i furbi – e De Nittis è un furbo – si affrettano ad abbandonare i ribelli per piacere ai conservatori, dichiarandosi dei loro. Così fa De Nittis”. Questi, dal canto suo, confida all’amico critico Jules Claretie: “Mi rimproverano di dipingere come loro e di avere più sostenitori di loro”. 

La svolta di De Nittis è rifiutata da alcuni critici, incapaci di comprendere proprio ciò che nel Novecento inoltrato si sarebbe chiamata la ‘pittura-pittura’ di certe parti delle tele a pastello, tendenti quasi all’astrazione. È un tentativo di fare pittura piatta con stesure uniformi ricorrendo a citazioni dall’arte giapponese; e, nello stesso tempo, mescolandovi zone non finite, con risultati che avvicinano De Nittis a Manet. Esiti non sorprendenti, visto che il primo è sicuramente il più attento interlocutore italiano del secondo, soprattutto nelle opere a pastello. La stessa ‘pittura-pittura’ su cui Degas, al contrario, non ritiene opportuno indugiare, se lavora su soggetti di vita contemporanea usando i pastelli.

La mostra del 1881 ha un catalogo illustrato solo parzialmente, con incisioni monocrome delle principali opere realizzate da Cesare Detti. Grazie all’elenco delle diciotto opere elencate nel catalogo sappiamo in quale ordine erano esposte e siamo in grado di identificarne alcune. Dalla numerazione progressiva in catalogo siamo certi che il trittico che rappresenta a grandezza naturale le varie attitudini degli spettatori infreddoliti durante le frequentatissime corse dei cavalli all’ippodromo di Auteil apriva la mostra: 1. Autour du poêle (Courses d’Auteuil). 2. Dans la tribune (Auteuil). 3. Pendant la course (Auteuil). Il trittico oggi è una delle opere rilevanti, tra quelle ottocentesche, nel percorso espositivo della Galleria Nazionale d’arte Moderna a Roma, che lo acquistò nel 1886. 

Giuseppe De Nittis, 1. Autour du poêle (Courses d’Auteuil). 2. Dans la tribune (Auteuil). 3. Pendant la course (Auteuil), 1881, pastelli su tela, cm 200 x 395, Roma, Galleria Nazionale d’arte Moderna

 

Nel catalogo segue il n. 11, intitolato Profil de femme da De Nittis e inciso da Cesare Detti che riproduce precisamente l’opera, sfrondata del paesaggio. Il pastello, di grandi dimensioni, dal 1991 è entrato alla Pinacoteca di Barletta; ma poiché vi è esposto con il titolo di Signora in giardino, visitatori e studiosi non sanno che si tratta di Profil di femme, come prova la corrispondenza di supporto e tecnica. Semplicemente, il quadro non è stato riconosciuto quando è entrato nella collezione permanente del museo. È errata anche l’identificazione dell’anonima modella, robusta e caratterizzata da prognatismo, con Léontine, la minuta moglie del pittore. 

Giuseppe De Nittis, Profil de femme, 1881, pastelli su tela, cm 82 x 100, Barletta, Pinacoteca “Giuseppe De Nittis”

 

La modella di Profil de femme ricorre anche nel pastello su tela, tradizionalmente ritenuto un altro ritratto della signora De Nittis, che invece corrisponde al quadro intitolato La Femme au gant noir, n. 4 del catalogo della mostra del 1881.

 

Giuseppe De Nittis, La Femme au gant noir, pastelli su tela, 151 x 90 cm, 1881, Barletta, Pinacoteca “Giuseppe De Nittis”, Inv. 967.

 

La donna non è la moglie del pittore. I ritratti in cui Léontine è sicuramente identificabile, eseguiti dal marito e da lei stessa donati a Barletta (Inv. 926, 968, 861), e le sue fotografie contemporanee al pastello sono piuttosto eloquenti.

 

Anonimo, I De Nittis, Zola e altri amici, fotografia, ante 1884 (la signora De Nittis è vestita di bianco, in primo piano).

 

Giuseppe De Nittis, Colazione in giardino (Léontine e Jacques De Nittis), 1883-1884, olio su tela, 81x 117 cm, Barletta, Pinacoteca “Giuseppe De Nittis”

 

Nel 2018 avevo già proposto (Impressione e verità nella pittura tra De Nittis, Patini e i Palizzi. Dalla Puglia a Parigi attraverso la Via degli Abruzzi. Catalogo della mostra allestita alla Fondazione Paparella-Treccia Devlet a Pescata dal 10 marzo al 2 settembre 2018, Collana Fondazione Pescarabruzzo diretta da Enrico Mattoscio – Fondazione Paparella, Edizioni Menabò, 2018, p. 15) di eliminare ogni riferimento alla moglie del pittore nella didascalia della riproduzione dell’opera La Femme au gant noir che apriva la mostra di Pescara, prestito dai depositi della Pinacoteca “Giuseppe De Nittis”.

Ma la novità (pur filologicamente inappuntabile) esibita nella didascalia del particolare in copertina, dell’intero in catalogo e nel cartellino in mostra non ebbe seguito, né durante né dopo la mostra. Della storia del pastello, passato dai depositi alle sale espositive con il riallestimento, e del successo, che comincia già con la mostra del 1881, nessuna traccia. Eppure il ritratto è pittoricamente il più moderno di un gruppo di ritratti femminili del catalogo del 1881 in cui la modella anonima è un pretesto per la rappresentazione di accessori alla moda. Il guanto nero è trasfigurato dalla tecnica sintetica e impressionista: lo stridente contrasto tra l’astrazione delle parti centrale e di sfondo del quadro e la resa fisiognomica ed emotiva tradizionale confermano che il vero soggetto è il guanto che viene sfilato. L’accessorio connota i momenti della vita alto borghese nei salotti e a teatro: con sprezzatura, è praticamente invisibile perché se ne rappresenta il movimento, non la matericità. 

Il terzo e più rilevante ritratto, se non per resa tecnica almeno per l’identità dell’effigiata, è ancora esposto senza che il cartellino e gli studi di catalogazione, accademici e divulgativi su De Nittis, abbiano assorbito i risultati della ricerca scientifica. Che invece ci sono, e andrebbero opportunamente valorizzati. Il ritratto, esposto genericamente come Testa di donna, immortala l’attrice più famosa di tutti i tempi, Sarah Bernhardt. 

 

Giuseppe De Nittis, Ritratto di Sarah Bernhardt, pastelli su tela, cm 45 x 55, 1879-1883, Barletta, Pinacoteca “Giuseppe De Nittis”, Inv. 909

 

Sarah Bernhardt nel 1880

 

Ho riconosciuto nell’effigiata la “divina” fin dal 2018, in occasione delle ricerche per la già ricordata mostra che ho curato a Pescara. Dopo la mostra e grazie all’opportunità di studiare le opere dal vivo, ho pubblicato anche un saggio accademico in cui ho illustrato le ragioni dell’identificazione (Due titoli, l’iconografia e un nome: La femme au gant noir e Sarah Bernhardt di Giuseppe De Nittis pastellista, in Storie dell’Arte. Studi in onore di Francesco Federico Mancini, 2 voll., a cura di F. Marcelli, Aguaplano, Perugia 2020, vol. II, pp. 141-156, liberamente accessibile su Academia.edu.). 

Come capita quasi regolarmente quando si parla di studi sul patrimonio dell’Italia meridionale o su opere d’arte di artisti originari del Meridione, i risultati della ricerca scientifica, pur condotti da chi opera in un’università del territorio e a favore di esso, e pur diffusi in sedi bibliografiche di facile accesso, non sempre vengono collettivamente acquisiti né trasferiti negli apparati didattici dei musei. Nel nostro caso, i cartellini espositivi della Pinacoteca “Giuseppe de Nittis” non riportano le informazioni aggiornate. Forse turisti (sic) italiani ed europei, interessati non solo al mare e ai rave parties, sarebbero invogliati a visitare la provincia pugliese se si pubblicizzasse che vi si custodisce da un secolo uno dei ritratti più intimi della prima grande diva della storia dello spettacolo, artista poliedrica, perfino plasticatrice dilettante, celebre anche per avere fatto della propria identità di genere, che oggi si chiamerebbe fluida, e non aderente a nessuna regola moralistica la regola stessa della propria fama.

Incoraggiano involontariamente i fraintendimenti e gli errori sul ritratto a pastello di Sarah Bernhardt eseguito da De Nittis i tre studiosi italiani che si sono occupati per primi e a lungo del pittore. Vittorio Pica (autore del primo libro sull’artista, Giuseppe De Nittis. L’uomo e l’artista, Milano, Alfieri & Lacroix, 1914, raro, poco letto e poco usato negli studi monografici successivi),  Mary Pittaluga ed Enrico Piceni (autori di De Nittis. Catalogo generale dell’opera, Milano, Bramante Editrice, 1963 – 1982). A Piceni si deve l’ammissione nel catalogo dei pastelli di De Nittis di un “Ritratto di Sarah Bernhardt eseguito a Londra” che egli fa coincidere con quello su cartoncino 90 x 72 cm pubblicato per la prima volta il 15 giugno 1926 da Vittorio Pica sulla copertina di una rivista molto diffusa all’epoca, “LIDEL” (pp. 20-22: 20, 22), con la didascalia: “Giuseppe De Nittis – Ritratto di Sarah Bernhardt eseguito a Londra | Venduto all’asta presso la Galleria Pesaro per L. 200.000”.

 

“Giuseppe De Nittis – Ritratto di Sarah Bernhardt eseguito a Londra | Venduto all’asta presso la Galleria Pesaro per L. 200.000”, copertina di “LIDEL” del 15 giugno 1926

 

Il pittore è morto nel 1884, l’attrice nel 1923, dunque nessuno dei due può ormai confermare o smentire attribuzione e iconografia del pastello. L’opera ricompare a Roma all’asta Christie’s 2468 del 9 giugno 2005, accompagnato da una perizia di Piceni a suggello del “Lot Essay” 356: “Lo considero uno dei capolavori di De Nittis per la sua straordinaria lievità, per la sua musicale intonazione, per quell’aria di sogno-realtà che subito affascina e che pare accrescere la sua magia col trascorrere del tempo”.                                                                                                                                                    

Piceni implicitamente conferma l’assenza di reali appigli iconografici, di stile e di contesto storico per l’identificazione proposta e non dialoga con il testo che precede in catalogo, in cui si ipotizza perfino (senza fondamento) che la signora ritratta sia in barca sulla Senna. Conosco l’opera solo nella riproduzione da cui appare fiacca, quasi prossima alla falsificazione (e non ha quella fine vocazione ritrattistica degli altri pastelli autografi.

Inoltre appare davvero singolare che un’attrice attentissima a far coincidere la propria immagine pubblica con il magnetismo controllato del proprio sguardo, sia stata rappresentata mentre lo distoglie dallo spettatore, lasciando che la si rappresenti in ozio; tra l’altro, in un ritratto francese dell’epoca, una donna dai capelli tinti di rosso, elegantemente abbigliata e in gita in barca può evocare ben altri scenari di vita moderna. 

 

Sarah Bernhardt nel 1879, in Sarah Bernhardt, Memories of my life: being my personal, professional, and social recollections as woman and artist, D. Appleton & Company, New York, 1907 (la fotografia è stampata su tavola non numerata tra le pp. 346-347).

 

Sarah Bernhardt nel 1880 in abiti da viaggio, in Sarah Bernhardt, Memories of my life: being my personal, professional, and social recollections as woman and artist, D. Appleton & Company, New York, 1907 (la fotografia è stampata su tavola non numerata tra le pp. pp. 378-379).

 

Sarah Bernhardt nel 1880 in abiti da viaggio, in Sarah Bernhardt, Memories of my life: being my personal, professional, and social recollections as woman and artist, D. Appleton & Company, New York, 1907 (la fotografia è stampata su tavola non numerata tra le pp. pp. 378-379).

Vittorio Pica nell’articolo Giuseppe De Nittis,  vantando anche una pregressa familiarità con la famiglia De Nittis, propone: “Tra i suoi pastelli più riusciti e più interessanti” insieme ai “ritratti della propria moglie e di Edmond de Goncourt” si possa mettere quello “della Bernhardt, eseguito durante una tournée della celebre attrice a Londra e da lui donato, con l’abituale sua generosità, per una vendita di beneficenza”; ipotizza inoltre che il ritratto sia quello “del quale non si avevano, già da vari lustri, più notizie”, venduto “per la rilevante somma di duecentomila lire, avvenuta due mesi fa, proprio qui a Milano, in una importante asta, diretta dal commendatore Lino Pesaro”. 

A base di queste affermazioni è la lettura sommaria dei due passaggi di una lettera di De Nittis dello scorcio del 1879, parte del carteggio tra i coniugi De Nittis ceduto da Léontine ad Angelo Sommaruga, peraltro responsabile di una parte del rinnovo europeo della fama di De Nittis. 

De Nittis da Londra informa la moglie di essere stato ricevuto dalla Bernhardt; con un solo giorno di preavviso, egli viene trattenuto a pranzo grazie all’intervento della pittrice specializzata in ritratti Louise Abbema, compagna dell’attrice, e insieme ai colleghi George Clairin e Gustave Doré, entrambi amanti dell’attrice. È un uomo di cui non conosciamo l’identità a dare a De Nittis il pretesto per ottenere un incontro con la Bernhardt: l’anonimo signore suggerisce a De Nittis di destinare all’attrice un pastello in cui lo stesso anonimo è stato ritratto, perché ella lo inserisca in una vendita di beneficenza dell’Ospedale francese; a sua volta, con una certa malizia, il pittore consiglia alla Bernhardt di tenere per sé il ragguardevole pastello, augurandosi che il cospicuo dono incoraggi l’interesse di lei (questi fatti emergono da una lettera scritta in francese incerto da Londra dal pittore alla moglie; la lettera è ora nell’Archivio Piero Dini di Montecatini Terme, è trascritta in Pittaluga- Piceni, De Nittis, cit., p. 292).

Nella sua autobiografia (Memories of my life: being my personal, professional, and social recollections as woman and artist, D. Appleton & Company, New York, 1907, p. 331, che si può leggere integralmente qui), l’attrice racconta che l’incontro è molto brioso, anche perché un banale episodio domestico contagia tutti gli ospiti che ridono a crepapelle, compreso Clairin che memorizza la scena all’impronta in uno schizzo: “Fui colta da un impeto di risa incontrollabile con la mia amica Louise Abbema; De Nittis, il pittore, che era venuto a trovarmi, era nel nostro stesso stato, e anche Gustave Doré, che mi aspettava dalle due, mentre il mio amico Georges Clairin, con la schiena che tremava per le risate, ha abbozzato la scena indimenticabile” (la traduzione è mia).

 

Georges Clairin, Ritratto di Sarah Bernhardt, 1876, olio su tela, 250 x 200 cm, Paris, Petit Palais, Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris

 

Non esiste quindi alcuna documentazione in grado di indicare che De Nittis abbia eseguito a Londra un ritratto a pastello su cartoncino dell’attrice e che glielo abbia donato. Sulla base dell’affermazione epistolare del pittore (che abbiamo riportato sopra), dovremmo al contrario  cercare un ritratto a pastello di un uomo (non di una donna) di De Nittis appartenuto alla Bernhardt. 

Un ritratto derivato dall’incontro in un interno tra il pittore e l’attrice nel 1879 non può aver generato la macchia abbozzata della donna che, con un sorriso quasi inebetito e uno sguardo diretto verso la parte esterna sinistra del quadro, il collezionista milanese Riccardo Jucker compra nel 1926, incoraggiato dalla esposizione in una sede di prestigio, dalla firma dell’artista (ma lo stesso De Nittis si affliggeva, poco prima di morire, della grande quantità di falsi in circolazione) e dalla identificazione altisonante dovuta all’affidabile Pica (nel suo Catalogo generale di De Nittis la milanese Mary Pittaluga riserva grande risalto nell’apparato illustrativo in bianco e nero a fig. 51 a piena pagina e a cat. 596 al pastello entrato in collezione Jucker).

Un ritratto derivato dall’incontro in un interno tra il pittore e l’attrice nel 1879 va più opportunamente identificato con la tela a pastello, rimasta nello studio dell’artista e parte del lascito di Léontine a Barletta (Inv. 909), esposta nella pinacoteca cittadina come Testa di donna. 

L’opera è di tecnica e dimensioni topiche per un ritratto schizzato velocemente e poi può essere stato terminato a memoria, contando anche su una fotografia; è firmata in basso a destra “De Nittis” e vi si riconoscono le sembianze dell’attrice trentacinquenne-trentaseienne rilevabili nei ritratti fotografici del 1879-1883: si badi in particolare alla correzione del naso consentita dal pesante chiaroscuro (come se, appunto, fosse stato precisato dopo una posa veloce e poi da una fotografia), alle sopracciglia sottili scoperte della frangia che chiude un’acconciatura a crocchia bassa, allo sguardo davvero catalizzatore, alla foggia dei capelli ricci e crespi inariditi dalle ripetute schiariture, alla tipologia del colletto emergente dalla veste che nasconde la base del collo come piaceva all’attrice.

La decorazione a mezze losanghe accennata sullo sfondo sembra una eco degli intarsi della poltrona e delle boiserie di legno in studio da Achille Melandri, per il quale l’attrice posò nei panni delle eroine dei drammi che la rendevano celebre (la Sfinge, La Dame aux Camélias ecc.) Le fotografie dell’attrice ampiamente circolanti a Londra e a Parigi (spesso eseguite anche dall’atelier Nadar, che ospitò la prima mostra impressionista) potrebbero essere servite per completare l’immagine. 

Achille Melandri, Ritratto di Sarah Bernhardt come Regina di Spagna in Ruy Blas di Victor Hugo, fotografia, Parigi, 1872

 

La cronologia deducibile dal dato di stile, dalla tecnica associata al supporto e al genere e dalla documentazione di prima mano candida senz’altro il pastello di Barletta ad aggiornare il cartellino di galleria, che si vorrebbe vedere anche correttamente trasferito nella catalogazione. Di conseguenza tutte e tre le tele della Pinacoteca di cui abbiamo parlato riguadagnerebbero il ruolo nell’arte a pastello su tela europea che ebbero quando vennero realizzate (anche per via del buono stato di conservazione di opere tanto fragili e della indiscutubile qualità delle stesse).

Fino all’ultima volta che ho visitato la Pinacoteca prima della pandemia, la tela con Sarah Bernhardt era esposta un po’ defilata, in una sala secondaria del museo, in compagnia di uno studio accademico a pastello di una modella di colore e di varie incisioni. Recentemente la Pinacoteca è stata riallestita con il progetto “Rileggere De Nittis oggi”: il ritratto di Sarah Bernhardt è ora esposto al secondo piano ma il suo titolo è rimasto, immutato, Testa di donna. Nel nuovo percorso espositivo non è stata riversata un’altra risultanza degli studi recenti e accreditati dalla comunità scientifica internazionale: è stata fatta la “scelta  di arricchire il percorso con passi delle Notes e Souvenirs di De Nittis” (http://www.barlettamusei.it/collez.html). Scelta appropriata dal punto di vista della contestualizzazione storica, senza dubbio.                                                                             

Ma la visita a un museo deve istruire chi non è un esperto, non può essere sempre e solo l’alternativa del fine settimana al centro commerciale o al mare. Quindi sarebbe stato meglio informare i visitatori che ormai la comunità scientifica considera le Notes e souvenirs quasi certamente opera della moglie dell’artista, lettrice accanita e scrittrice, che pubblicando le presunte memorie del marito sotto forma di diario cercò di attirare attenzione sulla sua fama postuma, peraltro senza riuscirci particolarmente.                                                                                                        

Niente di strano, in tal senso, dato che la letteratura artistica è costellata di falsificazioni d’autore destinate a consolidare e a promuovere la fama di singoli artisti o scuole. De Nittis, tra l’altro, era poco incline agli studi fin da ragazzino, parlava e scriveva male sia l’italiano sia il francese e nel lascito a Barletta della vedova il numero dei libri della coppia (154), supera di poco quello dei dipinti (139), e la maggior parte dei libri consta di opere di narrativa contemporanea appartenute a Léontine. 

Durante il riallestimento e a cantiere ancora aperto sarebbe dunque stata una buona prova schiudersi al dialogo, consultare gli studiosi attivi da anni su quelle opere e su quei temi, considerare i contributi critici venuti alla luce nel frattempo. Considerando l’impegno a favore del patrimonio pubblico del territorio uno dei doveri di chi opera in un’università pugliese, nel 2020 (prima del riallestimento) ho proposto alla Direzione della Pinacoteca un piano scritto di riordino di alcune sale, cartellini compresi, e di parte dei depositi. L’invio del piano e alcuni contatti informali non hanno avuto seguito.

La Regione Puglia punta moltissimo sull’attrazione di turisti con i pretesti effimeri più vari (il cibo, il mare, la notte della Taranta e i festivalini locali annessi e connessi, il vip-watching di famosi, al mare e in campagna e nei centri storici: Madonna, Helen Mirren, i Ferragnez).

 Puntare sulla presenza permanente, in un museo pubblico, di opere d’arte di un pittore pugliese che in vita fu più ricercato di Degas, che frequentava Oscar Wilde, Émile Zola, che ritrasse anche la prima diva della storia contemporanea, sarebbe, forse, una mossa intelligente: il ritorno economico andrebbe di pari passo con quello culturale. 

De Nittis non è Donatello, il suo apporto alla storia dell’arte e della cultura non è certo quello di un fuoriclasse rivoluzionario; ma ogni territorio dovrebbe fruttuosamente puntare sulla divulgazione paziente e corretta del patrimonio che gli tocca in sorte e che, nel caso in questione, quando De Nittis era attivo a Parigi ebbe perfino un alto valore di mercato, per quanto ben diverso da quello odierno degli impressionisti. 

Per le opere di De Nittis che tanta invidia suscitarono nei suoi colleghi negli anni Ottanta dell’Ottocento, lasciare la capitale mondiale dell’arte, Parigi, per l’estrema provincia italiana, Barletta, non si è rivelato il volano che la vedova sperava per il sostegno della fama postuma del marito; la collocazione periferica non ha giovato neppure agli studi e alla conoscenza capillare e divulgativa extraregionale delle opere d’arte che in quella cittadina sono praticamente da sempre. 

Oltre ai pastelli di De Nittis, le statue di cui ho scritto all’inizio: il colosso di bronzo (che probabilmente si è salvato dalla fusione completa grazie alla sua collocazione periferica; se fosse stato a Roma o a Venezia ne avremmo, chissà, solo memoria scritta) e il frammento di statua forse equestre, forse federiciana.

Ecco gli effetti ricorrenti di quella che Giovanni Previtali battezzò “questione meridionale” nella storia dell’arte.

 

Floriana Conte – Professoressa associata di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte) e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia

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