Moro, commissione stragi bloccata su via per Hammamet

Misteri d’Italia. Quando la Commissione Stragi era pronta ad andare ad Hammamet, perché Craxi aveva detto di voler raccontare alcune cose su Moro. Ma qualcosa bloccò il viaggio. Mario Tassone, ex sottosegretario Dc, racconta questo episodio in una intervista al sen. Maurizio Eufemi, in cui parla dei giovani e della politica, e ricorda la figura di Moro leader della Dc

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Mario Tassone, classe 1943, parlamentare per nove legislature, sottosegretario ai Lavori Pubblici nei governi Craxi 1 e 2 e Fanfani, viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, un moroteo da sempre. Con Mario Tassone ripercorriamo alcuni momenti dei suoi rapporti con Aldo Moro, e dei giovani e la politica.

Come nasce la tua esperienza politica nel movimento giovanile Dc? 

Nasce con una lunga militanza nell’associazionismo cattolico. Sono stato impegnato intensamente nella Giac. Ho fatto il delegato diocesano della Giac; ho fatto il movimento studenti; ho contribuito a fondare insieme ad Arrigo Rossi il movimento turistico giovanile; poi esperienza nella FUCI; esperienza nella campagna elettorale nei comitati civici dove si era impegnati a votare la Democrazia Cristiana; impegnato nell’associazionismo a tutti i livelli, ma certamente non pensavo di scegliere la strada della politica. 

Questo in che anni avviene? 

Negli anni 1963-64. La mia prima tessera di iscrizione alla Dc risale al 1963. La mia adesione alla Dc, il mio impegno alla politica fu dovuto ad una sollecitazione paterna che mi fece il mio arcivescovo di Catanzaro Armando Fares, che mi invitò a fare politica, a iscrivermi, a impegnarmi. 

Quello è il periodo del centro sinistra. Iniziano i Governi Moro.

Sì certamente, fallisce il primo governo Moro per i problemi della scuola. Erano gli anni di un grande dibattito politico, di una grande intensità politica. Questo è il dato più significativo che è venuto fuori in quel periodo. Mi impegnai e fui cooptato nel 1964 nell’esecutivo provinciale del Movimento giovanile. Mi fu attribuito l’incarico della formazione, poi feci il dirigente organizzativo eletto della sezione Vanoni di Catanzaro della Dc, poi ho fatto il vice commissario provinciale, poi il delegato provinciale nel 1966, poi nel 1968 delegato regionale del Movimento giovanile della Dc, poi nel 1970 nel congresso nazionale di Rimini fui eletto segretario amministrativo; a quell’incarico si aggiunse il ruolo di vice delegato nazionale. Segretario amministrativo per il semplice fatto che ero moroteo. Non c’era il posto. Eravamo pochini. Moro ci teneva moltissimo. Pregò Leopoldo Elia e Ranieri Benedetto di venire ad assistermi a quel congresso e trovarono l’escamotage di farmi entrare in direzione nazionale come segretario amministrativo. 

Negli anni ‘60 l’organo del Movimento giovanile era ancora “Per l’Azione” che non usciva più con la cadenza degli anni ‘50. Come mai? 

C’era un problema di risorse! Un problema di costi. C’erano difficoltà finanziarie. 

In tutta quella fase chi ricordi come interlocutori del movimento giovanile nazionale? 

Erano ovviamente De Mita e Forlani. 

E per i giovani? 

Ezio Cartotto, Gilberto Bonalumi che fu delegato nazionale, Piero Pignata, Emerenzio Barbieri,  Giuseppe Pizza, Egidio Pedrini, Ettore Bonalberti, Franco Bruno, Giorgio La Pira, che era il nipote di La Pira, facemmo entrare anche Marco Follini. Fui  invitato da Moro per farlo coinvolgere, per fargli fare esperienza nel Movimento giovanile, cosa che gli feci fare. Un sacco di gente che poi è diventata classe dirigente del Paese. 

Dove vi riunivate? 

Avevamo una grande sede a Largo Arenula. Avevo una grande stanza che dividevo con Giorgio La Pira, vice delegato nazionale. Ci vedevamo tutte le settimane e ognuno aveva il suo settore di lavoro: chi curava l’organizzazione, chi la formazione, chi aveva i contatti con il territorio, io seguivo anche il Mezzogiorno come vice delegato nazionale, ed erano frequenti le mie puntate in Sicilia. Ho fatto il commissario del Movimento giovanile a Palermo, a Catania. 

Prima di andare al Congresso di Palermo del 1974 parliamo del tuo incontro con Aldo Moro…

Eravamo tutti con Iniziativa Democratica, quindi nel campo Doroteo. Quando Moro uscì fuori, noi lo seguimmo. C’era a Catanzaro il responsabile del gruppo doroteo che era legato a Rumor; passò con Moro. Era il senatore Elio Tiriolo che è deceduto mentre era sottosegretario ai Trasporti. 

Come erano gli incontri con Moro? 

Ho avuto incontri sia in Via Savoia (dove Moro aveva il suo studio, ndr) sia nella piccola sede del gruppo moroteo in Via Po, dove c’era anche l’agenzia giornalistica Progetto Dc gestita da Vittorio Follini, che era giornalista della Rai, il papà di Marco. Era un gruppetto non numeroso. 

Chi partecipava? 

Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Corrado Belci, Tommaso Morlino, Franco Salvi che era il riferimento forte del gruppetto; aveva un grandissimo carisma. Contava moltissimo nel gruppo moroteo. Per un certo periodo di tempo fu anche responsabile del “Centro studi e formazione Alcide De Gasperi” alla Camilluccia. 

Da questi incontri con Moro che cosa ne ricavavi? 

Di una persona di un grande equilibrio, di grande saggezza, serenità, tranquillità; la vita di Moro è stata contrassegnata da grandi riconoscimenti, di grandi richiami quando si aveva bisogno di lui. Quando non si aveva bisogno di lui ovviamente c’era disinteresse, soprattutto disimpegno  nei confronti di una azione che Moro portava avanti. 

Quando facevamo i congressi le altre correnti era attrezzate, compravano le tessere.

Ricordo che una volta raggiungemmo il 3,5 per cento: una esiguità rispetto agli altri. Non avevamo i signori delle tessere. Moro disse: come abbiamo fatto a prendere tutti questi voti, queste tessere?! Si era meravigliato che ci fossero state tante adesioni. 

E quali ricordi hai del congresso di Palermo del Movimento giovanile del 1974? 

L’ho presieduto io. C’era il vicesegretario del partito Attilio Ruffini. Non fu un bel congresso!  Anzi, fu un brutto congresso. C’erano delle liste rigide concorrenti, con intemperanze di qualcuno che mi misero in difficoltà, dando una brutta immagine. 

C’era la logica dei numeri rispetto al confronto delle idee? 

Uscì fuori delegato nazionale Giuseppe Pizza. Dovevo farlo io il delegato nazionale, ma Moro non me lo fece fare. Mi consigliò di non farlo perché ero stato eletto a fine 1973 segretario regionale della Dc della Calabria e lui mi disse: “A te conviene rimanere segretario regionale e non dimetterti perché come segretario regionale – mi disse – ti fai le ossa, ti fai una esperienza sul territorio. Il delegato nazionale dura due anni invece tu devi attrezzarti a fare politica e presentarti alle elezioni. Se non hai contatto con il territorio queste prospettive in questa direzione non ci sono, non si concretizzano”. Questo è stato il consiglio paterno di Aldo Moro. 

È stata una utile indicazione perché poi nel 1976 entrerai in Parlamento. 

Certo. Nel 1972 mi ero candidato alla Camera dei Deputati. Venne Moro a Catanzaro. Volle venire per sostenermi nella campagna elettorale nonostante molti gli dicessero di non venire, che non era il caso. Una grande testimonianza di stima, di affetto, di considerazione che mi ha accompagnato e mi accompagnerà per tutto il resto della mia vita. 

Certo questo è bellissimo. Torniamo al congresso di Palermo del 1974. C’era già  Piersanti Mattarella. Lui, Mannino e Renzo Nicolosi erano entrati giovanissimi in Regione Sicilia e venivano considerati i giovani leoni della Dc. 

Non avevo cittadinanza nella sede della Dc. Quando ero commissario del Movimento giovanile a Palermo tenevo le chiavi dello studio privato di Piersanti Mattarella dove potevo fare riunioni. Sono sempre stato ospitato da Piersanti, che segui quel congresso. In quel congresso ci fu la scorrettezza – lo debbo sottolineare – di alcuni amici che hanno dimostrato una certa immaturità politica e inconsistenza, così è se si fa la rissa per avere un posto… sparì la lista. Ci furono delle cose non esaltanti. 

Quel congresso espresse Pizza come delegato nazionale ma fu commissariato dopo un anno da Fanfani.

Infatti fu nominato un commissario in Giuseppe Fornasari fino al congresso di Bergamo che poi elesse Marco Follini. Il congresso di Bergamo, ma io ero uscito dal Movimento giovanile, normalizzò la situazione con una generazione nuova di giovani dirigenti. 

Dopo la strage di  via Fani e l’assassinio di Moro, voi morotei, in senso stretto, come l’avete vissuto quel dramma? 

Come una grande tragedia, di sofferenza perché trovammo la chiusura di Piazza del Gesù. Ricordo che con il compianto collega Benito Cazora cercammo contatti per perlustrare anche le zone imperlustrabili di Roma per raccogliere notizie in una situazione di grande difficoltà, ma balzò alla nostra attenzione la rassegnazione di taluni ambienti politici anche del mio partito. Dell’uccisione di Moro si parlerà sempre perché non è che sia tutto chiaro e illuminato! 

Ci sono ancora molte zone d’ombra…

Sono stato cinque anni nella commissione stragi. Avevo qualche idea. Anche lì emersero confusioni, incertezze, nebbie e ombre in più. La Commissione presieduta da Giovanni Pellegrino, che era una brava persona, non presentò un documento conclusivo ma solo la relazione del presidente, che non fu approvata. Poi con grande amarezza fui bloccato dopo che Craxi mi aveva fatto sapere che voleva incontrarci ad Hammamet e noi eravamo pronti ad andare. Avevo convinto l’ufficio di Presidenza a decidere perché Craxi voleva comunicare qualcosa su Moro. Era considerato un latitante. Ciononostante superammo alcuni blocchi procedurali e quant’altro per ben due volte. Era un periodo in cui in Tunisia c’era Umberto Ranieri che allora era il responsabile Esteri del Pds. Si pensa che ci sia stato qualche influsso che ha fatto scattare l’operazione del diniego, che ci fu perché, si disse, “Craxi stava male”. Ma Craxi mi disse: “Io sto male da tempo”.

Quindi hanno bloccato la visita della commissione stragi in Tunisia. 

Sì, per due volte. Tanto è vero che mi scagliai due volte contro il ministro degli Esteri che venne in commissione stragi. Lamberto Dini disse che lui non c’entrava niente e portò una comunicazione della struttura sanitaria dov’era Craxi e che diceva che Craxi stava male. Ovviamente non ci abbiamo creduto. C’è stata anche un’altra cosa che balza agli occhi: quando volevo scavare su quella che passa per la seduta spiritica in casa Cló con Prodi e fu indicato Gradoli, perché noi eravamo convinti che non c’era stata alcuna seduta spiritica ma soprattutto c’era stata qualche soffiata di alcuni circoli vicini alle Brigate rosse e Università volevamo sapere di questa soffiata. Chi ha parlato allora di seduta spiritica era un modo per dire di non essere obbligato a dire chi erano gli informatori. Non fu scavata questa cosa, per il motivo che si era già interessata la magistratura ordinaria. 

Se la commissione stragi ha i poteri della commissione di inchiesta e i poteri dell’autorità giudiziaria perché non si è andati avanti? significa che c’è stato un blocco politico che ha impedito di scavare la ricerca di elementi di verità? 

Certo. Vale sia per quanto riguarda il viaggio ad Hammamet sia per la vicenda della seduta spiritica.  Io ero minoranza e in minoranza sono restato. 

Il possibile viaggio ad Hammamet a quando si fa risalire? A ridosso della morte di Craxi? 

No, risale a qualche anno prima. Ricordo bene quegli anni. 

E la vicenda di Via Gradoli come la vedi? 

Lavorando e impegnandomi nelle Commissioni bicamerali mi sono fatto la convinzione che questo Paese fu preso alla sprovvista. C’erano già state molte iniziative che avevano segnato molte violenze delle BR. Il Paese non era attrezzato a contrastare il fenomeno che avanzava e che aveva lasciato molte vittime. Ci sono dichiarazioni, espressioni di desolazione e di impotenza rilasciate dal ministro dell’Interno Cossiga, che non aveva trovato nulla al ministero. E pensare che Cossiga era stato indicato da Moro dopo che Gui era stato bloccato dalla vicenda Lookheed. Moro designò Cossiga che passò dal Ministero della Riforma burocratica a quello degli Interni. 

Hai posto il problema di Cossiga. Come valuti il suo atteggiamento rispetto al memoriale Morucci? Quasi a mettere una pietra tombale? 

C’è stato un tentativo sul piano “culturale” di dire “chiudiamo con il passato” per abbassare le tensioni e le conflittualità. Un filone di tesi che è avanzato e che avanzava e su questa posizione onestamente ho espresso qualche dubbio. Università, circoli e media. Molti di questi li abbiamo anche interrogati in Commissione. Non avevano perso l’arroganza. Erano depositari di una verità e di una cultura dichiarandosi sconfitti, perché l’idea non era andata avanti. Ma avevano ammazzato tanta gente, persone innocenti, avevano portato lutti. Abbiamo avuto uccisioni di agenti di polizia, magistrati, imprenditori, giornalisti, sindacalisti. Abbiamo avuto uccisioni di tutti i tipi.

 

Maurizio Eufemi – Senatore nella XIV e nella XV legislatura

 

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