Meloni decisionista. Tra un consiglio di Draghi e l’attenzione di Mattarella. Salpa la nave del governo. Molte le attese. Ma nessuno può fare miracoli

Il sentiero stretto tra regole europee, debito pubblico, conti da tenere in ordine. Decisiva sarà l’accoglienza dei mercati

Il governo ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica, c’è stato il passaggio di consegne tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il predecessore Mario Draghi. Dopo la nomina dei vice ministri e sottosegretari, la composizione del primo governo guidato da una donna può considerarsi completata.

 

Con il voto di fiducia della Camera e poi del Senato, nel giro di due giorni, il governo entrerà pienamente nell’esercizio delle sue funzioni. L’Italia è infatti una Repubblica parlamentare e il governo, qualsiasi governo, di destra di sinistra di centro, si regge sulla fiducia del Parlamento.

Questo è un governo di centrodestra o di Destra Centro?

Non è una sottigliezza lessicale, né una provocazione terminologica. Le parole ci sono, e quindi vanno usate. Questo è un governo che ha in sé tre primati: essere guidato da una donna; essere un governo politico dopo oltre dieci anni; e avere come forza trainante la Destra, post missina, e in quanto post missina post fascista: lo dicono i numeri dei voti presi dai Fratelli d’Italia, rispetto ai due alleati, lo dice la quantità dei deputati e senatori, lo dice il numero dei ministri, 9, mentre Lega e Forza Italia ne hanno cinque ciascuno.

Ma inoltriamoci in considerazioni più attualmente politiche. E…civiche.

Nella fase che ha preceduto l’incarico di formare il governo, l’on. Meloni ha mostrato carattere, decisionismo, parsimonia nelle esternazioni. E tanta voglia di fare. Ora che il governo l’ha formato, la nave si appresta a salpare, e ad affrontare la navigazione in mare aperto.

Come cittadini, che hanno le loro idee politiche ma che devono preoccuparsi in primis del bene del suo Paese, c’è da augurarsi che la nave possa avere una navigazione senza troppi pericoli; anche perché sul versante opposto regna la confusione se non addirittura il cupio dissolvi, in attesa di un cantiere di ristrutturazione programmatica e ideale della sinistra.

Perciò ci auguriamo che la nave del governo non vada a finire sugli scogli, magari per fare qualche “inchino” (l’inchino porta male, come Gennaro Schettino ben sa, in particolare le 32 vittime di quella tragedia); ma soprattutto ci auguriamo che l’intero equipaggio sia leale e collaborativo con la Comandante, e non litighi fin dai primi giorni sulla rotta da seguire.

Sempre come cittadini, bisogna augurarsi che l’opposizione, anzi le opposizioni, frammentate e incapaci di fare un fronte comune, incalzino il governo con proposte costruttive e migliorative e non con un pregiudiziale diniego.

Peraltro, se le tre opposizioni – Pd, 5 Stelle, Calenda-Renzi – avessero fantasia e capacità di non restare abbarbicate al proprio orticello, potrebbero tentare la strada del “governo ombra”, che però ha un senso se l’opposizione è unitaria. Le opposizioni disunite ovviamente fanno i gioco della maggioranza. Ma una democrazia si misura non solo dalla esistenza dell’opposizione, ma anche dalla qualità dell’opposizione stessa. Fatta di proposte nel merito, e non di petizioni di principio ideologiche, di pregiudizi, di demonizzazoni, che semmai tradiscono la frustrazione della sconfitta e un malcelato disappunto per aver perso la gestione del potere.

Basta vedere le prime reazioni dei partiti di opposizione, salvo qualche distinguo che riguarda la persona dell’on. Meloni – “la prima donna presidente del Consiglio nella storia d’Italia”, un dato che, è stato detto, va riconosciuto’’. C’era forse la possibilità di negare l’evidenza?. Sembrerebbe impossibile, ma non lo è per l’on. Laura Boldrini, ex Leu ora Pd. Da presidente della Camera aveva fatto appendere in una saletta di Montecitorio alcune cornici vuote: rappresentavano le cariche che ancora non erano state conquistate da una donna (presidente della Repubblica, presidente del Senato, presidente del Consiglio). Poi la senatrice Casellati è stata eletta presidente del Senato, e ora l’on. Meloni è diventata presidente del Consiglio.

Ma l’on. Boldrini, che aveva avuto quella felice trovata delle cornici vuote, ha gioito?  Ecco una delle sue dichiarazioni: “Io e lei ( Meloni, NdR) siamo avversarie politiche lei ha idee all’opposto delle mie, è normale che non sia contenta che diventi premier. Per quanto mi riguarda, Meloni è una donna che non ha mai fatto politiche a favore delle donne”.

Che Boldrini abbia idee diverse da Meloni, è perfino ovvio. Ma il fatto che quella cornice vuota sia stata riempita da Meloni prima donna presidente del Consiglio? Non va bene, perché ha ‘’ idee opposte alle mie ‘’. Uno poi si domanda perché la sinistra ha perso le elezioni, e le persone le voltano le spalle, quando sente queste espressioni da campionessa della democrazia, come quelle dell’on. Boldrini.

Quando decise di far mettere quelle cornici vuote, l’on. Boldrini si è evidentemente dimenticata di far scrivere sotto un’avvertenza: se però le donne che romperanno il soffitto di cristallo ( come si dice per significare la rottura di un tabù) non sono delle mie idee, allora non vale!.

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Quella storiella di Berlusconi sulle opposizioni pregiudiziali

Sulle opposizioni preconcette, pregiudiziali e quindi alla fine malate di ideologismo, incombe il rischio che si applichi una storiella raccontata una volta da Berlusconi, e che stavolta potrebbe far propria l’on. Meloni.

Stufo delle critiche massicce e senza sfumature che gli venivano mosse fin dall’inizio della sua azione di governo, Berlusconi disse un giorno: questa opposizione è così prevenuta e faziosa che se un giorno io camminassi sulle acque non griderebbe al prodigio ma direbbe: quello non sa nuotare.

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Le attese e il “sentiero stretto”

Le attese dei cittadini, e soprattutto di chi ha votato la coalizione vincitrice, sono tante. Anche perché la promesse sono state così numerose in campagna elettorale che qui sarebbe lungo farne l’elenco. Ora si aspettano i primi provvedimenti, che, s’immagina, saranno quelli che riguardano l’emergenza energetica, l’inverno che si avvicina, le imprese che hanno chiuso e che rischiano di chiudere, il lavoro che non si trova, i giovani che non vedono un futuro incoraggiante. Ma il covid di cui tutti sembrano essersi dimenticati, mentre si continuano a registrare decessi ogni giorno?

Accade sempre così, in tutte le elezioni: chi ha promesso mari e monti deve sottostare e viene richiamato alla inesorabile legge dell’hic Rhodus hic salta: dopo le parole i fatti.

Ma onestà intellettuale impone di dire, che questo governo, pur animato com’è evidente dalla voglia di utilizzare al massimo la “novità storica” di questa fase della politica italiana, e di mostrare segni vistosi di discontinuità, tuttavia ha davanti a sé compiti da far tremare i polsi.

C’è da fare subito la legge di bilancio, che imporrà delle scelte; la commissione europea, in cui i cosiddetti paesi frugali stanno sempre a vigilare come occhiuti agenti delle tasse, sta a guardare a che non ci siano sforamenti. La commissione europea in sostanza ha detto: spendete ma selezionate la spesa. E la selezione della spesa è una scelta tipicamente politica.

Questo governo, come i precedenti del resto, si trova a percorrere un sentiero stretto::  è reso tale dalle regole europee da rispettare, dal debito pubblico che resta enorme, anche se –  ha osservato il sen. Luigi Grillo – non è poi così drammatico perché in fondo la ricchezza dell’Italia è di settemila miliardi di euro, quasi il triplo del debito pubblico.

Rinegoziare quelle regole europee, di cui presto farà una esperienza diretta, sarà una delle partite che la presidente del Consiglio si giocherà in Europa, aiutata in questo da alleanze che si potrà e si dovrà costruire ( Macron?) e dall’appoggio dei Conservatori. Non a caso ha scelto l’on. Raffaele Fitto come ministro degli Affari europei, e come tessitore dei rapporti con altri partner nell’Ue. Ma è chiaro che questa partita l’on. Meloni non la potrà fare subito per non allarmare le Cancellerie: la sua esigenza primaria e urgente ora è quella di non suscitare sospetti fin da subito, per non creare di conseguenza una barriera di diffidenza che potrebbe diventare ostilità.

Questo è una questione decisiva, al punto che il successo o l’insuccesso del governo Meloni dipenderà dalla politica estera. Anche da quella interna, naturalmente, ma soprattutto dalla prima. Su questo fronte, chissà, Draghi potrebbe spendere qualche parola in Europa: non farsi garante, come esageratamente e semplicisticamente dicono alcuni, tantomeno come Lord Protettore.

Ma certo non è azzardato ipotizzare che Draghi possa non negare a Meloni consigli, pareri e offrire contatti utili. Come anche è evidente che il presidente della Repubblica Mattarella abbia assecondato e apprezzato la velocità da primato con cui l’on. Meloni ha fatto il governo. Velocità del resto imposta dalla situazione internazionale e da quella interna. Ma una tale velocità non era scontata, vista anche la fibrillazione a tratti pittoresca che aveva caratterizzato le giornate precedenti nei rapporti con i due alleati.

 

Va dato atto, senza pregiudizi, che in questa fase l’on. Meloni ha mostrato carattere, polso, indipendenza di giudizio e capacità di decidere. Decisionista è una parola che al momento le si addice.

C’è poi il fronte della guerra: carità di patria vorrebbe che la linea dell’Italia sia univoca e soprattutto protesa a costruire un negoziato per porre fine al conflitto. Ma soprattutto che non comincino ad affiorare distinguo, tentennamenti, ammiccamenti verso Putin nel momento in cui l’Italia prende impegni nella Nato e in Europa.

Ma alcune indicazioni su questi punti potranno già venire dal discorso che la presidente del Consiglio pronuncerà oggi alla Camera.

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Alcune scelte dell’on. Meloni, i due vice: angeli custodi?

Salvini e Tajani quali vice presidenti del Consiglio: faranno gli angeli custodi o staranno mansueti al  “guinzaglio istituzionale”? Da una parte pare una mossa abile per “legare” i rappresentanti dei due partiti alleati. Nel caso di Tajani, conoscendo la sua prudenza, non sono prevedibili pericoli di sorta. Ma l’on. Meloni ha messo nel conto che Salvini, ciarliero e ed esternatore com’è, alla fine non dico possa rubarle la scena ma farle una specie di controcanto, per stare sempre sui giornali, come se il presidente del Consiglio fosse lui?  Tantopiù che l’on. Meloni ha dimostrato uno stile sobrio di comunicazione e non c’è ragione di pensare che lo cambierà.

 

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Ministri comunicatori. C’è il rischio della “prova d’orchestra” di Fellini

A questo proposito, ci viene di domandare se anche con il governo Meloni continuerà il deplorevole andazzo di ministri esternatori, che annunciano che faranno questo e quello, nel circo barnum dei tanti talk show, e annunciano disegni di legge e novità legislative senza che il Parlamento ne sappia ancora niente.

Una cattiva abitudine criticata dai parlamentari negli anni passati, una mancanza di stile istituzionale a cui i presidenti del Consiglio di turno hanno assistito senza intervenire. Speriamo che l’on. Meloni con i suoi ministri stabilisca un metodo: si parli con i fatti e con le iniziative, non si dia l’impressione che ogni ministro vada per conto suo e curi il suo orticello.

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Il futurismo al governo

È stato da molti notato il cambio di denominazione, o l’aggiunta di nomi ad alcuni ministeri. Una scelta quasi futurista, che ha fatto sorridere qualcuno e scandalizzare qualcun altro. È evidente che non sono state scelte a caso, tanto per desiderio di cambiare i nomi, ma con l’intento di marcare quasi una identità di programma se non culturale. In qualche  cambio, comunque c’è un po’ di chiarezza in più per i cittadini, rispetto alle vecchie denominazioni.

Un notista del Corriere della Sera, Antonio Polito, ha giustamente osservato che in pratica siamo al rovesciamento del detto ‘’ nomina sunt consquentia rerum’’ ( i nomi sono conseguenza delle cose, conseguenti alle cose); il presupposto di questo principio è che le cose già esistano.

Qui invece – aggungiamo noi – il motto diventerebbe: res sunt consequentia nominum. Si crea il nome e poi si realizza la cosa.

E quindi, per esempio: il ministero dell’Istruzione e del merito quale “cosa” vuole creare? Più che creare, diremmo sviluppare, dare maggiore concretezza e verità al concetto, già presente nella Costituzione: i meritevoli anche se privi di mezzi hanno il diritto di raggiungerei i gradi più alti degli studi.

Questa nuova denominazione del ministero di Viale Trastevere quindi è come una promessa (da aggiungere a quelle elettorali):  c’è da aspettarsi allora  che il governo aumenti, per esempio, per i “meritevoli anche se privi di mezzi”  le borse di studio, i sussidi per pagarsi l’alloggio se studiano fuori sede, l’acquisto di libri per gli esami?

O la nuova denominazione significa questo oppure non vuole dire granché, sarebbe solo un cambio di nome. In tal caso si proseguirebbe con l’antico vezzo italico di riformare le cose riformando solo le parole (un esempio nella sanità: prima saub, poi usl, poi asl).

 

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Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Mantovano una scelta inattesa e felice

Subito dopo la elezioni, ci domandammo quali scelte l’on. Meloni avrebbe fatto per il governo, sottolineando tra l’altro che tra le cariche più delicate c’era quella del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.  Un ruolo di estrema fiducia e importanza per chi guida il governo. Si ricordavano alcuni illustri esempi: De Gasperi scelse un giovane Andreotti come sottosegretario alla Presidenza; Francesco Compagna, illustre meridionalista, chiamato da Giovanni Spadolini; Giuliano Amato, prezioso braccio destro di Craxi a Palazzo Chigi;  Gianni Letta, stimatissimo sottosegretario alla presidenza negli anni dei governi Berlusconi.

L’on. Meloni ha scelto, a sorpresa, l’on. Alfredo Mantovano. A sorpresa solo perché il magistrato leccese aveva lasciato la politica, perlomeno il Parlamento, circa dieci anni fa, per tornare nei ranghi della magistratura (è consigliere di Cassazione) e alla sua attività di vice presidente del Centro intitolato a Rosario Livatino, “il giudice ragazzino” secondo una male interpretata definizione di Cossiga, e ad altre attività di carattere sociale e religioso.

 

Mantovano, peraltro, esponente di Alleanza nazionale, era stato sottosegretario all’Interno in tre governi Berlusconi. Persona schiva, riservata, apprezzata anche dagli avversari politici, non ama i riflettori. Chiamare Alfredo Mantovano a fare il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, perciò, è stata una scelta felice di Giorgia Meloni.

Ma non perché l’on. Mantovano sia un fedelissimo. Di passaggio osserviamo che la politica non è come il matrimonio, la fedeltà non è un valore fondante e costitutivo, e neanche la gratitudine: più che la fedeltà importa la lealtà, la sincerità, la capacità di offrire se necessario un contributo critico, che può venire solo da chi è dotato di indipendenza di giudizio.

 

Mario Nanni – Direttore editoriale 

 

 

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