Luca Sisto (Dg Confitarma): abbiamo dimenticato il mare. Sono successe cose gravi. Occorre un coordinamento delle varie competenze sparse in otto Amministrazioni

Il governo si è mosso intanto facendo una modifica lessicale, ora vediamo che succede. Chiediamo un vero atto di semplificazione e di de-burocratizzazione del nostro sistema marittimo, aiutando questa parte dell’industria italiana a competere con quella europea e internazionale. Riformare il codice della navigazione che risale al 1942! E il sistema sanitario vigente per la navigazione è del 1895! Inquinamento? Non esiste un sistema di trasporto meno inquinante di quello con le navi nonostante ancora oggi si pensi il contrario. Mediterraneo, l’Italia deve avere un ruolo determinante

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Il Governo presieduto da Giorgia Meloni, nel cambiare denominazione ad alcuni ministeri, ha inserito il “mare” in quella del Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare. Confitarma, l’associazione di categoria dell’industria italiana della navigazione, fa da sempre questa richiesta ai governi che si avvicendano nel nostro Paese: siamo andati a chiedere al Direttore generale, Luca Sisto, se ora, con questa nuova denominazione si sentano soddisfatti.

A oltre cento giorni dalla nascita di questo governo, che sembra aver ascoltato una delle istanze che Confitarma porta avanti da molti anni, ovvero l’istituzione di un Ministero che abbia all’interno della sua “mission” anche il mare, avete già ottenuto qualche atto concreto per il vostro settore?

Facciamo una premessa: pensiamo, innanzitutto, che stiamo finalmente uscendo da un periodo, che dura ormai da qualche anno, che noi definiamo di “demarittimizzazione” del nostro Paese. Ci siamo dimenticati il mare. Come dice Lucio Caracciolo, probabilmente questo deriva da assetti post-bellici, nei quali dovevamo per forza guardare all’atlantismo, agli Stati Uniti, alla Francia, all’Inghilterra poiché nel secondo conflitto mondiale abbiamo perso. E ci siamo trovati “…aggrappati alle Alpi con le spalle al mare”, dimenticando la nostra dimensione geopolitica naturale che è quella mediterranea. Negli anni abbiamo smantellato il Ministero della Marina Mercantile che è diventato, via via negli anni, Trasporti e Navigazione, Infrastrutture e Trasporti e, da ultimo Infrastrutture, Trasporti e Mobilità sostenibile perdendo così “Mare”, “Mercantile”, “Marina”, “Navigazione”. E abbiamo smantellato pure l’IPSEMA – l’istituto di previdenza del settore marittimo e le gloriose Casse Marittime, accorpate nell’INAIL. Abbiamo tolto molti insegnamenti di diritto della navigazione dalle nostre facoltà: sia chi studia Giurisprudenza all’Università di Roma Tre sia alla Luiss, non può fare gli esami di navigazione perché non c’è la cattedra… insomma, sono accadute cose gravi. Ora, il fatto che questo governo abbia voluto rimettere il mare, quanto meno dal punto di vista lessicale, nella governance del Paese è un fatto positivo che non possiamo trascurare.

Per tornare all’attuale ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare …

Per rispondere alla sua domanda, diciamo che è ancora presto per vedere qualcosa: in questi cento giorni non abbiamo ancora visto attività che ci riguardano da parte di questo neonato ministero che, ricordiamo, è senza portafoglio. Probabilmente sono arrivati un po’ stretti con i tempi, non c’è stato il tempo necessario per organizzare un passaggio di competenze, che sono frammentate in ben otto Amministrazioni, per riaccorparle in un unico ministero, che è sempre l’auspicio di Confitarma, che magari si chiami “Ministero della Blue Economy” e che raccolga tutti quei soggetti che hanno a che fare con il mare. Prendiamo atto che un primo passo è stato fatto e che questo, in fondo, è un percorso a tappe. Del resto, al momento, il nostro ministero di riferimento, per tutto ciò che riguarda la vita industriale delle nostre imprese resta il Ministero Infrastrutture e Trasporti, dove abbiamo il Viceministro Edoardo Rixi che è un esperto, il Capo del Dipartimento per la mobilità sostenibile, la dottoressa Maria Teresa Di Matteo, anche lei un esperto, quindi una struttura c’è. Ovviamente, questa struttura deve essere potenziata e deve esserci un coordinamento e un collegamento per quella nuova che si sta facendo per le politiche del mare. Ci attendiamo che il ministro Musumeci, persona squisita che è venuta in Confitarma con un gesto di infinita cortesia, possa istituire questo comitato, il Cipom (Comitato interministeriale per le politiche del mare, n.d.r.) che dovrebbe delineare il piano delle politiche del mare del Paese. Vediamo cosa potrà fare.

C’è un primo compito che vorreste fosse subito affrontato?

Sì, potrebbe fare tutto ciò che è necessario per aiutare chi lavora e vive sul, e per, il mare ovvero un vero atto di semplificazione e di de-burocratizzazione del nostro sistema marittimo, aiutando questa parte dell’industria italiana a competere con quella europea e internazionale.

E un primo “focus” normativo da rivedere?

La riforma del Codice della navigazione che, sebbene sia un atto di grandissimo ingegno giuridico, ha 80 anni, risalendo al 1942, e quindi risente dell’età: dobbiamo fare sì che si attui un sistema di sburocratizzazione e di alleggerimento…un ispettore non può partire sempre “fisicamente” per verificare che una nave sia a posto raggiungendola in ogni parte del mondo a spese dell’armatore. La pandemia ci ha insegnato che alcune cose si possono fare anche a distanza, e bene. Negi altri Paesi questi “lacci e lacciuoli” non esistono: la nostra è un’industria mobile che ogni giorno solca i mari del mondo. Serve un sistema più flessibile, ma non deregolamentato, che sia però adeguato ai tempi che viviamo: non è possibile, ad esempio, che il sistema sanitario vigente, risalente ancora al 1895 per un Regio Decreto, “regoli” una nave crocieristica, da oltre un miliardo di euro, dove possono arrivare ad operare, a volte, persone di ben 73 nazionalità differenti!

A fronte del corposo business mercantile e crocieristico, riguardo all’inquinamento e alla sostenibilità, quali sono le vostre proposte?

Intanto sfatiamo qualche mito: da un’analisi dei dati, anche di quelli più “cattivi”, lo shipping trasporta il 90% delle merci del mondo con un impatto di emissioni inferiore al 3%. Non esiste, dunque, sistema di trasporto meno inquinante di quello con le navi nonostante ancora oggi si pensi il contrario. L’inquinamento dei mari del mondo è causato dalla navigazione, nel suo complesso ovvero mercantile, diporto, crocieristico, solo per il 12%, fatto salve gli eventi disastrosi con sversamenti, rispetto all’oltre 80% causato dalle attività su terra. Nonostante questo, si può intervenire per migliorare, specie in Italia dove la maggior parte delle attività portuali è intrisa nei territori urbani: non dobbiamo essere come Rotterdam che è il porto più inquinato al mondo, sebbene il più trafficato. Dobbiamo essere intelligenti e accompagnare questo processo di transizione necessaria, avendo anche un sostegno pubblico fatto bene, coscienti però, che il nostro è un sistema hard to abate riguardo al combustile fossile, giacché non si trovano in mezzo all’oceano le paline elettriche dove rifornirsi. Accompagniamo, quindi, il nostro sistema marittimo in questo percorso per utilizzare al meglio questi combustibili, finché saranno necessari, preparandoci ad utilizzarne altri: Confitarma vuole farlo ma chiede che ci sia competenza. Per accompagnare il nostro sistema industriale, come dice il Presidente di Confitarma, servono tre fattori: etica, logos e competenza. Bisogna riconoscere che le nostre industrie sono di alto livello, gestite da persone che mettono il capitale, la conoscenza, le idee. In questo momento Manuel Grimaldi è presidente di International Chamber of shipping (Ics, n.d.r.), Paolo d’Amico è presidente di International Association of Independent Tanker Owners (Intertanko, n.d.r.): abbiamo, insomma, la capacità di dimostrare, come sistema Italia, che siamo un’industria di grandissimo livello. Allora, perché quando si va a fare un decreto flotte, Confitarma non viene ascoltata quanto dovrebbe? Potremmo dire di più, essere più utili.

Una di queste proposte concrete?

Aiutare le navi italiane in questo processo di decarbonizzazione che può essere fatta in tanti modi per diminuire le emissioni ed aumentare la performance delle navi: adottando l’LNG, il biofuel, l’elettrificazione delle banchine, come previsto dal PNRR per 750 milioni di euro, per far sì che le navi quando arrivano in porto vi si allaccino spegnendo i generatori. Per fare questo, serve che anche le navi siano predisposte… insomma bisogna rimettere la nave, e al mare, al centro del progetto.

Abbiamo già dei porti che sono organizzati in tal senso?

Le prime esperienze ci sono, ma non tanto positive, come ad esempio a Livorno, serve prendere dei modelli che funzionano come nel nord Europa, dove è stato considerato il sistema elettrico completo “della presa e della spina” e dove, il costo dell’energia elettrica deve essere lo stesso dei combustibili fossili, altrimenti non c’è convenienza.

Altro tema, il conflitto russo-ucraino: lei ha citato Limes che ha realizzato un volume sull’Italia e il mare durante questa guerra. Siamo tornati nel Mediterraneo per favorire l’approvvigionamento energetico da altri Paesi: quali sono stati gli altri impatti di questo conflitto nel mare nostrum?

Confitarma finanzia da tre anni, da quando è nata, la scuola Limes, la finanzia con convinzione dopo aver ascoltato il progetto “Le giornate del mare” e vedendo l’alta formazione dei giovani provenienti da quella scuola. Detto questo, la geopolitica che aveva trascurato l’importanza del mare ne ha riscoperto la centralità, il cosiddetto dominio dei mari ai fini geopolitici: ce lo insegnano anche gli Stati Uniti che sono una potenza marittima per eccellenza, controllano la sicurezza e il passaggio libero nei mari del mondo. Geopoliticamente parlando, assicurare il libero traffico significa incrementare la ricchezza di un paese. Da qui parte l’analisi dei flussi, dei check point, dei “colli di bottiglia”. Per questo noi siamo alleati con la nostra Marina Militare perché “mare insicuro uguale mare costoso”. Le insicurezze del Mediterraneo allargato, richiamate anche da Mattarella nel suo discorso di Capodanno, fanno capire quanto sia fondamentale il dominio dei mari, in superficie come sotto. Pochi sanno che sott’acqua passa il 99% dei nostri cavi, che tutta la nostra telefonia cellulare ce l’abbiamo perché sotto passano questi cavi con i dati: il mondo sottomarino, oggi inesplorato per l’80%, sarà “il domani del mondo”. Tornando al tema Mediterraneo: meno dell’1% della superficie dell’acqua del pianeta, 20% dei traffici totali e 30% di quelli energetici e più del 20% di quelli containerizzati: è chiaro che l’Italia deve avere un ruolo determinante in questo specchio di acqua. Il conflitto russo-ucraino contiene un aspetto paradossale perché da una parte mette al centro il Mediterraneo e dall’altra sposta gli arsenali verso ambienti baltici. Dobbiamo fare più attenzione. L’Italia ha fatto la scelta, coraggiosa e prudente, di impedire alle nostre navi di solcare, dal marzo dell’anno scorso, le acque del Mar Nero, in un momento in cui i noli hanno un prezzo elevato, e la nostra industria ha sofferto. Ma l’Europa non si è mossa coerentemente, non condividendo questa scelta che avrebbe messo tutte le industrie sullo stesso piano: sul trasporto del grano, ci siamo resi conto quanto sia importante, qualcuno ha avuto l’idea di farlo via terra ma è come portarlo con un cucchiaino. La capacità di trasporto via nave è incomparabile a qualsiasi altro tipo di trasporto, se non si fosse attivato molte persone sarebbero morte di fame, bisogna stare attenti a questi flussi.

Lei che rappresenta gli esperti del mare italiano, nell’accezione più ampia del termine, che consiglio può dare sul fenomeno dell’immigrazione che per i tanti conflitti e il cambiamento climatico è destinato ad aumentare?

Il tema dell’immigrazione è stato al centro dell’attenzione soprattutto negli anni passati per quanto riguarda la marina mercantile: ricordo il picco nel 2014, quando abbiamo avuto 900 deviazioni, solo in quell’anno, per chiamate di soccorso in gran parte fatte da navi italiane, per prima cosa perché siamo una marina importante e, secondo perché noi rispondiamo al soccorso quando veniamo chiamati, è una legge del mare. E poi, diciamo la verità, quando il centro di coordinamento del soccorso verifica quali navi sono dislocate, noi abbiamo la fortuna/sfortuna di avere molte navi vicino alle coste libiche, siamo sempre intervenuti con il cuore in mano e senza ritorni economici perché la legge del mare è chiara, quando c’è un uomo o una donna in difficoltà si prende e si salva, ma abbiamo fatto presente alle autorità che non era il salvataggio regolato delle convenzioni internazionali ma era un problema sistemico all’interno di un problema continentale e mondiale, del quale non può farsi carico la marina mercantile italiana. Ci siamo anche accorti che nei contratti di ingaggio che andavano a gara c’era una clausola, in fondo, che escludeva le navi italiane proprio perché noi rispondevamo comunque alle richieste di soccorso: abbiamo fatto presente anche questa penalizzazione.

Quali sono le prime istanze che porterete al Cipom, questo comitato per il mare di prossima istituzione?

Sono sicuro che verrà fatto un buon lavoro, si metteranno intorno al tavolo esperti di amministrazione ma anche dell’industria che possano dare una mano per programmare l’economia del mare. Questo è sicuramente un percorso, non credo che avverrà in pochi giorni, dobbiamo ricostruire un percorso marittimo, dobbiamo far sì che il nostro trasporto via mare non sia di serie B rispetto ad altri trasporti che sono oggettivamente più visibili: un ponte è diverso in confronto ad una nave che va lontano, eppure, quella nave, italiana, produce reddito, crea occupazione, è fonte di benessere per il Paese. Vede, Malta, Cipro e Portogallo, che sono paesi marittimi, hanno un’amministrazione dedicata, h24 e sette giorni su sette, allo shipping, dove il mare e le questioni marittime sono al centro dell’attenzione governativa e dove tutto è più facile, più snello: ecco, la sfida, per noi che abbiamo messo il tricolore al centro nel nostro logo e che crediamo in questo Paese, è poter contare su un’attenzione governativa che ci permetta di competere alla pari con le navi degli altri Paesi.

 

Silvia Sitari – Giornalista

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