L’inflazione è ritornata

Luigi Einaudi chiedeva di fare il passo secondo la gamba, non secondo i trespoli dell’inflazione. L’esperienza degli anni Ottanta e le scomode verità dell’economia finanziaria

Può esistere un’economia, dico: una scienza economica, per i tempi con l’inflazione e un’economia, dico: una scienza economica, per i tempi senza inflazione? La risposta in teoria dovrebbe essere no. Invece, in pratica, è sì. Infatti gli economisti professionali proclamano l’unicità della scienza economica ma la spiegano ed impiegano come se le sue leggi valessero a seconda dei casi esaminati e delle congiunture in atto; insomma, come se non fossero leggi, ma variabili dipendenti.

 

 

Possiamo individuare i nemici della libertà semplicemente dal loro atteggiamento mentale e pratico verso l’inflazione. Che dobbiamo pensare di politici che, mentre iscrivono nella “Costituzione” della Banca centrale europea l’obbligo di tenere l’inflazione dell’euro sotto il tasso del 2%, guardano altrove quando la Bce agisce al contrario?

Come al capezzale di Pinocchio, i medici che accorrono al capezzale dell’inflazione ragionano con la stessa logica: se non è morto, è segno ch’è vivo; se non è vivo, è segno ch’è morto. Se non è inflazione da domanda, è inflazione da costi; se non è inflazione da debito, è inflazione da profitti. E via ipotizzando. L’anno scorso, alla prima ondata inflazionistica del 5%, la Bce assicurò i mercati che in pochi mesi l’euro sarebbe tornato sotto lo standard fissato. La previsione fu sbagliata. L’inflazione è raddoppiata.

 

 

In materia d’inflazione l’assioma riguarda la moneta disponibile, la cui quantità determina l’inflazione. Per ridurne la circolazione, in modo che la moneta divenga più “preziosa”, le banche centrali aumentano il tasso d’interesse. Il corollario è che, quando il cavallo dell’inflazione comincia a galoppare, adesso quasi a due cifre sebbene non alla velocità degli anni Ottanta del secolo scorso, è impossibile individuarne tutte le molteplici cause. Strologare su di esse può servire a compilare studi accademici, non già a fornire strumenti efficaci per riportare il cavallo al trotto. Sicché alle banche centrali non resta che tirare le briglie e stringere il morso, ma non troppo, per non rischiare che il cavallo s’impunti e disarcioni il fantino, inteso non come banchiere centrale ma come sistema economico.

La stretta monetaria è l’altra faccia della moneta facile.

Le risorse finanziarie, come tutte le risorse, sono scarse rispetto ai bisogni: sono un bene economico. Non possono essere aumentate con artifici politici o monetari. Einaudi chiedeva di fare il passo secondo la gamba, non secondo i trespoli dell’inflazione. Nella misura in cui le risorse finanziarie sono puramente monetarie, soltanto impiegarle significa scaricare sull’economia una bomba ad alto potenziale inflazionistico, che innalzerà ad ondate la curva dei prezzi.

La via finanziaria allo sviluppo deve essere abbandonata perché impoverisce i poveri e indebolisce i deboli, mentre riduce pericolosamente la classe media. Inoltre determina una inefficiente allocazione delle risorse, cioè una distruzione netta di ricchezza nazionale, e frena la crescita del prodotto e dell’occupazione, sia riducendo il tasso di accumulazione, sia impedendo un’accumulazione più produttiva. Bisogna imboccare risolutamente la via economica allo sviluppo e liberarla, come scriveva nel 1983 il “Bollettino” della Banca d’Italia, da “tassi di profitto bassi e decrescenti, elevati tassi reali d’interesse, alti rischi dell’investire, rigidità delle strutture produttive, segmentazioni dei mercati”, tutti macigni che impediscono l’accumulazione di capitale e lo sviluppo della produzione e della produttività.

Pochi anni fa abbiamo visto creditori che pagavano debitori per conservare il prestito, essendo il tasso d’interesse sotto zero con l’inflazione a zero. Lavoratori, pensionati, mutuatari hanno così goduto di due lustri di stabilità monetaria e, compatibilmente, di una certa tranquillità personale. Ma adesso l’inflazione galoppante non solo introduce l’incertezza nella vita di tutti i giorni, ma costituisce pure uno dei più potenti disincentivi psicologici a pensare al futuro, perché stimola gl’individui a preoccuparsi dell’oggi piuttosto che del domani. S’impone il ripristino del tasso d’interesse reale come prezzo del capitale e perciò, come osservava la “Relazione del Tesoro” del 1983 sul sistema finanziario, “ottimo allocatore di fondi scarsi non solo tra il consumo presente e quello futuro ma anche tra gli impieghi più produttivi, a parità di rischio”. Secondo la Relazione, “le politiche monetarie e finanziarie possono contribuire all’inflazione oltre che generando in proprio pressioni inflazionistiche, anche creando un ambiente di accondiscendenza finanziaria agli squilibri reali. Nella Relazione viene perciò perorata l’eliminazione o almeno la riduzione della fiscalità occulta, definita come “coercizione esercitata dalle Autorità sull’allocazione delle risorse finanziarie”.

La fiscalità occulta costituisce lo schermo, che cela i costi reali dell’economia, e lo strumento con il quale ci si illude di evitare sul piano finanziario le conseguenze degli squilibri reali, nonché l’alibi offerto alla coscienza di ciascuno per rinviare nel tempo l’adozione di quelle misure che sole possono garantire una duratura soluzione dei problemi produttivi e distributivi. L’accondiscendenza finanziaria (come sono bravi i politici e gli economisti nell’eufemizzare i fenomeni preoccupanti!) offre quindi alle forze che alimentano l’inflazione la possibilità di dispiegarsi per più lungo tempo senza che ne sia apprezzata sin dall’inizio la portata corrosiva sullo sviluppo del reddito e della distribuzione della ricchezza.

 

 

Notare bene: le citazioni tratte dai due autorevoli documenti ufficiali del 1983 (Banca d’Italia e Ministero del Tesoro) non debbono essere riguardate come stravaganti anacronismi ed inutili ammonimenti del passato, ma come la riprova “a contrario” che le acquisizioni scientifiche degli economisti classici, anti keynesiani per capirci, non sono servite a nulla, benché suffragate dalla ragione scientifica e dall’esperienza storica. Infatti, tanto le ventate e persino gli uragani inflazionistici quanto i terremoti finanziari non sono calamità naturali, nonostante i nomi rimandino ad esse per evocarne gli esiti distruttivi. Sono fenomeni artificiali della politica. Appunto nel 1980 l’Italia sperimentò il più alto tasso d’inflazione mai registrato dopo la guerra: 21,2%.

Accondiscendenza finanziaria, fiscalità occulta, manovra accomodante, quantitative easing, helicopter money sono sinonimi del medesimo fenomeno: interventi dell’autorità pubblica che, per il solo fatto di averne il potere, li presume salvifici a dispetto delle leggi immanenti dell’economia. Nondimeno il potere politico, pur sempre di natura umana, può soltanto derogarle, giammai rimpiazzarle con altre funzionanti. Quei modi di dire hanno significato, nella realtà effettuale, una categoria di interventi che, dichiarati e assunti singolarmente come straordinari, eccezionali, non convenzionali, una tantum, hanno prodotto un’ordinaria catena ininterrotta di pseudo rimedi ai mali originati dalle pretenziose terapie somministrate per riparare i precedenti guasti causati a loro volta da passati governanti similmente benintenzionati.

La materia prima della ricchezza nazionale non è la “moneta”, ma l’attività umana. Solo l’attività umana produce benessere per tutti, ingrossa la torta da dividere. L’economia non è roba per illusionisti e prestigiatori, anche se camuffati da politici e banchieri, centrali e no. Quando l’inflazione imperversa, corrode l’economia che finisce per somigliare ad un villaggio su palafitte, anziché ad un solido edificio costruito sulle fondamenta della stabilità monetaria. Abbiamo dimenticato che le future generazioni non potranno accettare la nostra eredità con beneficio d’inventario?

 

Pietro Di Muccio de Quattro

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