L’infinito e il santuario della pazienza. L’avventura artistica di Ezechiele Leandro

La storia restituisce nel tempo il riconoscimento di un impegno, sociale, politico, culturale e gli incontri appaiono come il ritrovamento di un tesoro. Mi sembra possa essere questa la narrazione della vita, dell’avventura artistica di Ezechiele Leandro esposta da Lorenzo Madaro. Esprimo il mio riconoscimento allo storico che ha divulgato la storia di un piccolo comune del Salento situato in prossimità di luoghi di grande bellezza e richiamo turistico.  

L’indirizzo riportato mi consente di raggiungere il luogo (il paese di San Cesario di Lecce). Un segnale stradale fornisce indicazioni, ma arrivata sul posto non è possibile né visitarlo né vederlo dall’uscio. Confesso di essermi arrampicata su un muro da cui ho rubato alcune immagini che, come una veduta dall’alto, non consentono di individuare i personaggi che compongono il fitto paesaggio del Santuario della pazienza. Sono emozionata dal lavoro di auto museificazione e dalla natura fiera, Japigia dell’artista che ama le briciole del mondo.

 

Il piazzale su cui affacciano le sue pareti di cinta del museo raccontano un amore composto, scritto con frammenti di mattonelle, ciottoli forse levigati dal mare, pezzetti di ceramiche locali. Le statue poste vicino all’ingresso sono due figure umane che hanno il naso ricavato da pezzi di manici di una particolare anfora, piccolina, per raccogliere l’acqua; le braccia, arcuate e posate sui fianchi secondo una postura locale, sono pezzi di anfore più grandi decorate.

La visione dall’alto ha un grande impatto: oltre la forma, la vasta opera sembra una grande astrazione, una riproduzione del pensiero che desidera dare ordine e immagine a un mondo di detriti abbandonati da un’alluvione.

Mi ritorna in mente il viaggio verso Chartres per visitare la Cattedrale, per respirarne il suo mistero e l’inatteso incontro con la Maison Picassette, espressione di una mente che scala il quotidiano, i suoi chiodi e la sua fede per raggiungere la visione del progetto.

Il Santuario della pazienza è un’opera incredibile dove le figure sembrano nascere da dripping di cemento rivestiti di frammenti e sono disposti intorno a un qualcosa, a un vuoto che nella nostra cultura ospita sempre un segno d’amore.

 

Come nelle piante delle costruzioni pugliesi, alle spalle delle case vi è un grande spazio che Ezechiele Leandro ha trasformato in museo. Uno spiccato senso di indipendenza e di fede è la pedana su cui poggia tutto il lavoro.

Pensare alla raccolta dei frammenti, sentire una microstoria in ognuno di essi e incastrarli secondo una costruzione precisa vuol dire essere un artista abituato a guardare lontano e a sostenere le direzioni del cielo. La vita di Ezechiele Leandro è stata difficile, complessa. Nato nel 1905 nel piccolo comune di Lequile nel Salento, appartiene a quella generazione che ha visto e vissuto le guerre mondiali, la lotta del corpo a corpo per sopravvivere. Il concetto di materia ha valore, si santifica.

 

Da una piccola indagine apprendo che il critico d’arte Toti Carpentieri, direttore responsabile della rivista Arte&Cronaca (Lecce), da sempre riferimento per gli artisti pugliesi con un impegno di comunicazione per far emergere il loro lavoro, con lo storico Renzo Margonari sono stati i primi ad interessarsi al lavoro di Leandro. Tra gli scritti di Toti Carpentieri trovo la descrizione del Santuario definita “architettura fiabesca e brut…; dove con i reperti più strani ed eterogenei , oltre che gratuiti, Ezechiele ha inventato una nuova maniera di vedere e concepire l’arte e la vita”. 

Toti Carpentieri costruisce le sue associazioni facendo riferimento a Gaudì dal Parco Quel a Barcellona, a Cheval ed il Palais Idéal di Hauterives e scrive: “Credo che alla fine, questi tre personaggi siano stati animati dalla medesima ragione emotiva, riassumibile nella reazione e nella conseguente rivincita nei confronti non solo degli altri ma anche di se stessi. Didascalie di contenuti si susseguono tra generali che ammiccano dietro le quinte, e passando sotto tegole e tetti costruiti con tappi di coca-cola, la fantasia corre libera e sfrenata in una solarità caratteristica e particolare, per cui tu immagini che i personaggi fantastici e quasi mostruosi delle sue opere, d’improvviso, vengano fuori da ogni angolo per rendere omaggio al loro re, leone solitario dalla bianca criniera che invita a sostare in silenzio (quasi raccoglimento) dinanzi al monumento al lavoratore”.

 

La mostra Ezechiele Leandro. I denti del leone, con cui il MuST, Museo Storico della Città di Lecce, confermando la sua vocazione primigenia volta a valorizzare l’identità culturale del Salento (purtroppo ora inattivo da molti mesi), ha inaugurato la stagione 2014/2015, a cura di Toti Carpentieri. Questo nuovo incontro con l’artista salentino, il leone dalla “bianca criniera che il vento muove”, segue ad un sodalizio iniziato dalla metà degli anni Sessanta, e vuole conferire, scrive Toti Carpentieri, “ai suoi tre modi espressivi: la pittura, la scultura, la scrittura, la consistenza dei denti, ovvero di ciò che, come afferma Elias Canetti, sono  il più evidente strumento di potere che gli uomini portano in sé. Per potersi nutrire, per potersi difendere, per poter aggredire. Per poter vivere, insomma!”.

Nello stesso catalogo Renzo Margonari rammentando che l’antica amicizia con l’artista scrive dei primi incontri avvenuti “in un’atmosfera alquanto carbonara, con un Ezechiele libero anche da se stesso, uno sciamano”. Continua raccontando: “Era autocrate come artista rispetto all’arte e come individuo rispetto al prossimo. Era consapevole della propria genialità e si attribuiva orgogliosamente la capacità creativa che pochi gli riconoscevano. Mi spiegò che non poteva considerarsi un naif, semmai prossimo a quella categoria ma non eguale e neppure simile. disse che non era il caso di cercare una classificazione per la sua opera perché era insitamente “sua”, solitaria, per la quale utilizzava tutto ciò che gli altri scartavano”.

 

 

I disegni di Leandro sulle pagine di quaderno parlano di un tempo concluso per un’umanità in corsa verso il proprio futuro, di un senso d’amore che ha lasciato le sue tracce, del tentativo di altri artisti di comporre storie riciclando materiali recuperati, ma di Ezechiele amo lo sguardo rivolto verso il cielo verso un senso di infinito realizzato in terra, ne Santuario della pazienza.

 

Vittoria Biasi – Storica dell’arte

 

 

 

 

 

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