Le storie. Un principe del Foro da 30 anni in clausura in una Certosa, a Serra San Bruno

Cultura

Il mistero della clausura, don Ignazio Iannizzotto, da 30 anni in Certosa.

 

Il fascino discreto dell’intellettuale lo si coglie con mano anche a distanza, senza vederlo, senza poterlo guardare negli occhi, dialogando con lui via internet, è il segno dei tempi, ma è nelle parole che ci trasmette e ci trasferisce la vera forza di questo sacerdote di clausura che da 30 anni vive nel silenzio della Certosa di Serra San Bruno. Don Ignazio Iannizzotto è il testimone più vero di questo tempio di preghiera, dove uomini senza tempo e senza nome, di ogni estrazione sociale, di ogni cultura, di ogni periferia diversa del mondo, hanno scelto di vivere lontani dal mondo per aiutare con la propria preghiera il mondo a redimersi.

La storia che vi raccontiamo è una storia di rinunce e di preghiere, di silenzi e di meditazione, di canti e di tante albe trascorse al freddo di quella che oggi viene considerata una delle poche certose vive esistenti al mondo. Quando diciamo certose vive intendiamo dire certose vissute da monaci che trascorrono dentro queste mura tutta la loro vita nel silenzio e lontani dal mondo.

Avvocato, letterato, teologo, bibliotecario, conoscitore come nessun altro delle regole cristiane della meditazione, riconfermato dal Capitolo Generale della Grande Certosa di Grenoble Padre priore dell’eremo di Serra San Bruno, padre Ignazio (in primo piano nella foto del fotoreporter Bruno Tripodi)  è certamente un testimone del nostro tempo, uomo informatissimo, filosofo e intellettuale della Chiesa di Francesco più di quanto non potrebbe esserlo un vescovo o un cardinale, innamorato del suo mondo come da ragazzo potrebbe essere stato di una delle sue compagne di scuola in Sicilia da dove proviene, uomo semplice e carismatico che non si nega mai a nessuno, anzi fa di tutto per spiegare che il silenzio e l’isolamento in cui vive un monaco certosino è solo apparente. Perché dietro questa barriera di distacco che sembra a volte insormontabile c’è un filo che lega ognuno di loro al resto del mondo esterno, lasciatosi alle spalle tanto tempo fa per via di una vocazione forte e irrinunciabile.

Del mondo esterno don Ignazio sa tutto quello che un uomo di Chiesa deve sapere, sa della guerra, sa della depressione economica, sa della crisi morale, sa dei rapporti internazionali difficili tra paesi lontani, sa della fame che nel mondo attanaglia milioni di persone, sa del dolore di chi vive in miseria, sa della ricerca avanzata che in questi anni ha prodotto miracoli, sa soprattutto che milioni di uomini e donne non hanno mai perso la speranza di credere in Dio. E lui si sente paladino di questa missione divina, straordinaria, quasi visionaria del mondo, perché la preghiera –prova a spiegarci- è un’arma letale contro il male che pervade l’umanità.

 

 Padre Ignazio da quanto tempo lei vive in questa Certosa? Conosceva già questo monastero, questo posto?

La sua domanda cade proprio in un momento particolare per me, perché sono entrato in questo monastero esattamente 30 anni fa, nell’ottobre del 1992, e vi sono rimasto ininterrottamente fino ad oggi. Avevo già sentito parlare della Certosa di Serra San Bruno e dell’ordine certosino, perché mi interessavo molto al monachesimo; durante le vacanze, sia nel periodo dell’università, sia quando lavoravo, mi capitava spesso di visitare qualche monastero, in Italia o all’estero, ma non avevo mai visto una Certosa, per questo ho chiesto di provare questa vita e mi ha subito sedotto.

Posso chiederle come nasce la sua vocazione personale? Ha detto che ha studiato e lavorato, di cosa si occupava?

Mi sono laureato in legge all’università di Catania e per alcuni anni ho svolto la professione di avvocato. Le dico subito che la mia vocazione non è stato un rifiuto di ciò che vivevo, come se tutto fosse negativo; ho amato molto il mio lavoro e il servizio che svolgevo. La mia vocazione probabilmente è nata molto prima, quando ho cominciato a interessarmi dell’interiorità e ho scoperto che negli uomini di tutte le culture esiste un anelito al profondo, e quindi all’incontro con Dio, che poi ho scoperto come “monachesimo”.

Che famiglia ha lasciato fuori da qui in Sicilia? È mai riuscito a convincere i suoi genitori della giustezza della sua scelta monastica?

Ricorderò sempre con immensa gratitudine la bellezza e la serenità della famiglia che il Signore mi ha donato; i miei genitori erano dei credenti, forse un po’ all’antica, ma di una grandissima apertura mentale, che li rendeva capaci di una straordinaria accoglienza e generosità verso tutti. Quando ho scelto di diventare monaco, mio padre non c’era più, e quando ne parlai con mia madre, mi ricordo perfettamente lo sforzo che ha fatto per non farmi percepire il suo dispiacere, anzi mi ha detto subito: “se è questo che il Signore ti chiede, sia benedetto il tuo cammino”. Credo che mia madre sia la persona che più mi ha sostenuto nella mia vocazione, fino al giorno della sua morte, che ho vissuto dalla Certosa con molta serenità, perché dopo tanti anni di vita monastica si impara a vivere le relazioni in modo molto profondo, senza bisogno di contatti materiali.

Come ricorda gli anni della sua infanzia?

Ho una grande riconoscenza per tutto ciò che ho vissuto nella mia terra e per tutto ciò che essa mi ha donato. Ricordo con grande simpatia una conversazione fatta da bambino con mio nonno, che mi diceva: “Noi siciliani abbiamo il sangue di tutti i popoli del mondo: dei greci, dei romani, degli africani, degli ebrei, degli arabi, dei normanni, degli spagnoli, e di tanti altri. E se tu hai il sangue degli altri popoli, vuol dire che sei fratello di tutti”. Questa frase, ascoltata da bambino, mi ha sempre accompagnato tutte le volte che ho riflettuto sulle caratteristiche della cultura siciliana e sulla sua ospitalità.

Se tornasse indietro, rifarebbe questa scelta? Ha mai pensato per un solo istante della sua vita di tornare tra la gente?

Rifarei questa scelta senza alcun dubbio! Credo che il dono più bello che un uomo possa ricevere è di essere felice delle scelte che ha fatto nella propria vita, e quando si sceglie di fare la volontà del Signore si vive una gioia immensa, quella stessa gioia che traspariva continuamente dal volto del nostro Padre san Bruno. Per questa gioia del cuore e per questa misteriosa pace interiore, non ho mai pensato di tornare nel mondo; noi monaci impariamo ad essere vicini a tutti, anche rimanendo separati da tutti.

Non le mancano i suoi affetti passati?

I certosini non rinunciano agli affetti, semplicemente li vivono in un modo differente, più profondo e meno legato al bisogno di contatti. Questo livello più profondo delle relazioni viene subito percepito dai nostri parenti e dai nostri amici, che scoprono subito quanto gli affetti veri ne vengano arricchiti.

Come scorre la vostra giornata tipo? Continuate a svegliarvi di notte per i canti gregoriani?

La preghiera notturna rimane ancora, dopo tanti secoli, una parte fondamentale della nostra liturgia. Ci alziamo a mezzanotte per recarci in chiesa e insieme pregare i salmi, è la nostra preghiera più nascosta, ma forse quella che ci fa sentire più vicini all’umanità sofferente: gli ammalati e coloro che li assistono vegliando, le famiglie afflitte dalle difficoltà, coloro che avendo perso la gioia e la speranza vivono quelle ore tentando di dimenticare; tutta un’umanità che accogliamo nella nostra preghiera notturna e presentiamo al Signore Misericordioso. Gli altri momenti di preghiera comune sono la Messa al mattino e i Vespri alla sera, il resto della giornata viene vissuto da ogni monaco nel silenzio e nella solitudine del proprio eremo, dove prega, lavora, studia, consuma i pasti, vive “solo con Dio solo”.

La regola del silenzio e della clausura è ancora ferrea come lo era in passato?

Il silenzio è il cuore stesso della nostra vocazione perché è il luogo dove si incontra quel Dio che cerchiamo. La clausura custodisce questo silenzio e ci aiuta a viverlo in pienezza; gli antichi monaci, come anche San Bruno, non avevano bisogno di mura di clausura, perché vivevano nel deserto o nelle montagne boscose, oggi invece siamo a maggiore contatto con i luoghi frequentati, quindi è necessario creare un deserto attorno a noi per vivere la solitudine e il silenzio a cui siamo chiamati.

C’è differenza tra la clausura dei frati e quella delle suore?

Sostanzialmente le regole sono uguali. L’unica differenza è che noi monaci possiamo accogliere, in casi speciali e col permesso dei superiori, degli ospiti in Chiesa per pregare con noi, ma soltanto uomini, perché alle donne non è consentito entrare in clausura, secondo un’antica regola monastica, che è presente anche in diversi altri ordini.

Qual è la cosa che più le pesa di questo silenzio e di questa chiusura al mondo esterno? -Non vi manca l’amore di una compagna? Come vivete questo vuoto dell’anima?

È un po’ difficile da spiegare, ma la vita monastica non è vuoto, ma pienezza; il silenzio e la solitudine che, come ogni cosa, all’inizio richiedono uno sforzo formativo, nel monaco diventano fonte di gioia e di pace. Questa gioia e questa pace nascono dalla percezione dell’amore di Dio, che ci ha chiamati a vivere in intimità con Lui; quindi la nostra solitudine diviene relazione, il nostro silenzio è pienezza e la nostra castità non è certo rinuncia, ma approfondimento dell’amore.

Quanti sono oggi i confratelli che vivono qui con lei? Che esperienze hanno alle spalle?

Oggi la nostra comunità è composta da quattordici monaci, provenienti dai vari contesti e nazionalità, abbiamo ben otto nazioni rappresentate tra noi. Questa è stata sempre una caratteristica della nostra Certosa, fin dai tempi di San Bruno che era straniero anche lui. Viviamo questa diversità come un dono e una sfida: le differenze culturali e linguistiche ci educano ad ascoltare l’altro, a parlare nella sua lingua (che significa guardare dal suo punto di vista), ad accogliere le peculiarità di ciascuno. Anche l’età è molto varia, andiamo da poco più di trent’anni fino a quasi novanta!

Come state a vocazioni? Qual è stata l’ultima volta che qualcuno le ha chiesto di unirsi a voi nella vita di clausura?

Le domande vocazionali non mancano, ci sono diversi giovani che chiedono di provare la nostra vocazione, anche se solo pochi poi continuano nella vita monastica. Adesso abbiamo alcuni novizi in formazione, l’ultimo ha iniziato tre mesi fa, ed attualmente qualcun altro sta facendo discernimento.

 L’ultima volta che noi siamo entrati il Padre Priore del tempo non usava internet: cosa è cambiato oggi? Un tempo i giornali non erano ammessi in Certosa. Oggi leggete i giornali? Cosa sapete in Certosa di cosa accade nel resto del mondo?

Oggi i nuovi sistemi di comunicazione sono ammessi in Certosa, anche se non per tutti i monaci, ma solo per coloro che debbono svolgere un compito specifico: il priore, il maestro dei novizi, il procuratore ecc. In alcuni casi abbiamo visto che, se usati bene, ci aiutano anche a custodire la clausura, come per esempio questa nostra intervista fatta via e-mail. E comunque, abbiamo scelto di non aderire a nessun tipo di social. La stampa è stata sempre usata con sobrietà in Certosa, privilegiando le riviste piuttosto che i quotidiani; in questo modo i monaci sono sempre informati di ciò che accade nel mondo, ma senza sottoporsi passivamente al bombardamento quotidiano dell’informazione. Un’informazione più tranquilla aiuta a riflettere meglio e ad essere più critici verso le notizie.

Due anni di pandemia hanno isolato ancora di più il mondo esterno da quello della Certosa?

Paradossalmente per noi è quasi avvenuto il contrario. Mentre in clausura la vita non è cambiata di molto per noi, la gente ha invece vissuto l’esperienza del lockdown in modo molto forte; per alcuni si è trattato di rinunciare per diversi mesi ai contatti, e perfino ad assistere alla Messa. Ci siamo subito resi conto del dramma che il mondo stava vivendo e l’abbiamo fatto nostro, stando vicini a tutti nella preghiera quotidiana, ma poi anche rispondendo a tanta gente che sentiva il bisogno di scriverci per affidarci le loro preoccupazioni e sofferenze; abbiamo scoperto tanta fede e tanta generosità, soprattutto nelle persone più semplici e umili

 Come vivete la guerra in Ucraina?

Si tratta di un dramma enorme, come tutte le altre guerre in corso nel mondo, perché nelle guerre non ci sono mai vincitori, ma solo sconfitti: infatti è già una sconfitta per una civiltà pensare di risolvere in questo modo i problemi. L’aspetto più drammatico di questa guerra è che nessuno sta operando veramente per la pace, e ci stiamo quasi abituando a questo dramma della porta accanto. Soltanto il Santo Padre Francesco sta richiamando ogni giorno gli uomini a prendere coscienza di questo degrado della nostra civiltà. Per noi monaci si tratta evidentemente di accogliere nella preghiera tanta sofferenza innocente e presentarla al Signore, affinché tocchi il cuore di coloro che possono finalmente decidere di fermarsi.

Come giudica la Chiesa di Francesco?

Ogni Papa viene donato alla Chiesa nel momento giusto per migliorarla col proprio carisma, e Papa Francesco è arrivato proprio nel momento giusto, per testimoniare alla Chiesa l’autenticità e la semplicità del Vangelo. Il pontificato di Francesco va letto alla luce del discorso che Benedetto XVI, l’allora Card. Ratzinger, fece all’apertura del conclave che poi lo avrebbe eletto: ha parlato in modo molto forte dei mali che affliggono la Chiesa al suo interno e della riforma necessaria della Curia romana. Francesco sta attuando con forza e coraggio quel programma che Benedetto aveva iniziato, ma non era riuscito a portare avanti. Si tratta di un programma che certamente dà fastidio a molti perché tocca interessi e poteri forti, ma il Santo Padre ha una grande forza interiore, che è la forza della verità e della semplicità di Gesù Cristo.

La Certosa aveva una bellissima biblioteca, vale ancora oggi?

L’antica biblioteca della Certosa è andata praticamente dispersa col terremoto del 1783. Oggi abbiamo una biblioteca che è abbastanza aggiornata e, attraverso il museo, rendiamo disponibili i testi a chi chiede di consultarli.

Cosa sta leggendo in queste settimane?

Ho ripreso un libro di Solov’ev del 1899 Tre dialoghi su guerra, morale e religione. Un testo veramente profetico e che consiglierei a chi vuole approfondire il dramma che l’Europa (sia occidentale che orientale) sta vivendo in questi tempi.

Il ricordo più bello e quello meno bello che lei si porta dentro della sua vita monastica?

Il monachesimo insegna a non dare molta importanza ai ricordi, ciò che è veramente importante è l’attimo presente, che è sempre colmo di una bellezza e di una forza che nessun altro momento della vita potrebbe darci. Ecco, il momento più bello della mia vita monastica, di tutta la vita, è proprio questo momento che sto vivendo adesso. Probabilmente ho vissuto anche dei momenti spiacevoli, delle contrarietà o delle delusioni, ma sinceramente … non me li ricordo più!

Un padre priore arriva e riparte, lei sa dove andrà dopo Serra San Bruno?

Ho il piacere, forse sarebbe più giusto dire l’onore, di essere il primo priore dopo il terremoto del 1783, ad essere stato eletto tra i monaci della comunità di Serra San Bruno. I miei predecessori sono venuti tutti da altre Certose, io ho la grazia di svolgere il mio ministero dove ho iniziato a fare il monaco. Non so se il Signore un giorno mi chiamerà altrove, in tal caso sarò felice di seguirlo, come ho fatto, tanti anni fa, venendo qui.

C’è un posto che le piacerebbe diventasse la sua ultima dimora?

La Certosa di Serra San Bruno, o qualunque altra Certosa del mondo, perché in tutte si trova il medesimo spirito del nostro Padre Bruno, colui che ha scoperto la gioia di darsi totalmente a Dio in una pienezza d’amore.

 

 

Pino Nano – Giornalista, già capo redattore centrale della Rai

 

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