Le due culture. Campiti: la Matematica è un ponte tra cultura umanistica e scientifica

Riprende su queste pagine il dibattito sulle "due culture", che nei mesi scorsi prese l’avvio da un articolo del professor Mario Capasso. Sono stati poi pubblicati articoli di accademici dell’uno e dell’altro versante culturale, sociologi, scrittori. Oggi pubblichiamo un articolo del professor Michele Campiti, Ordinario di Analisi Matematica dell’UniSalento. Nei prossimi giorni seguiranno altri autorevoli interventi: del professor Antonio Leaci, di Unisalento, e del professor Ivano Dionigi, dell’Università di Bologna.

CulturaMondo

La matematica può essere considerata la scienza che maggiormente si presta come tramite tra una cultura umanistica ed una scientifico-tecnologica. Tali culture sono state a lungo ritenute distanti e anche oggi presentano alcune nette differenze.

Pur senza voler in alcun modo addentrarmi nella loro analisi, basti pensare che, in genere, la formazione di chi si occupa dell’una o dell’altra è abbastanza diversa, così come diverso è il linguaggio utilizzato e anche gli interlocutori fanno in genere parte di due mondi separati. La cultura scientifica utilizza un linguaggio più universale, meno sensibile alle differenze sociali, geografiche e anche storiche, anche se non la si può ritenere indifferente a tali contesti, soprattutto in termini di risorse necessarie per il suo sviluppo.

Probabilmente, in sintesi, si può semplificare la differenza tra le due culture mettendo in evidenza come quella umanistica segua un approccio qualitativo, mentre quella scientifica un approccio quantitativo.

Le due culture, tuttavia, hanno anche diversi punti di contatto e anche qui, volendo semplificare, si può affermare che la matematica ne rappresenti l’anello di congiunzione, la disciplina cioè dalla quale esse traggono spunto, origine e mediante la quale ritrovano anche sia motivazioni che obiettivi.

Storicamente il ruolo della matematica (prima come geometria, aritmetica e poi in tutte le sue espressioni) è stato sempre di contatto tra le due culture, ma il momento più significativo lo si trova a partire da Galilei e dall’affermazione del metodo scientifico, con cui la descrizione dei fenomeni diventa effettivamente quantitativa.

Tuttavia, il fatto che la matematica si presti come tramite tra le due culture non è dovuto solo al suo carattere quantitativo, che tenderebbe a farla inserire completamente nella parte scientifica, ma proprio al fatto che la matematica riesce a coniugare anche altri aspetti, come la logica, il linguaggio, la filosofia della scienza e così via.

È proprio questo che rende la matematica uno strumento utile anche in espressioni artistiche, in arti grafiche, in musica e in arti letterarie, come la poesia. Un errore che viene spesso commesso è quello di pensare che un approccio matematico porti automaticamente ad una analisi quantitativa; questo renderebbe poco significativo l’apporto ad esempio in campo artistico, in cui si otterrebbero risultati molto distanti da quelli che un’opera d’arte può prefiggersi. Qui entrano in gioco anche altri fattori che ispirano la matematica. In tutte le elaborazioni non si può prescindere dal rapporto tra matematica e bellezza; una teoria matematica suscita interesse non solo per la sua capacità di spiegare un fenomeno, ma anche per il fatto di spiegarlo in maniera “esteticamente” avvincente; il gusto estetico di un matematico è paragonabile, in questo caso, a quello di un artista nei confronti di un’opera o di un musicista nei confronti di uno spartito.

Alcuni concetti matematici si ritrovano nelle arti, come quello di periodicità/ciclicità, traslazione/trasposizione e anche l’idea di infinito viene interpretata ed espressa in varie forme. Innumerevoli sono quindi le relazioni con altre arti come poesia, pittura, scultura, musica e non solo da un punto di vista tecnologico. Addentrarsi in tali rapporti è sicuramente affascinante, ma allo stesso tempo molto arduo. Inoltre, pur mettendo da parte l’estetica della matematica e i risvolti in campo artistico e letterario, quello che, in definitiva, viene fuori è comunque un ruolo abbastanza riconosciuto della matematica come ponte diretto con la filosofia, nel momento in cui la si intende come linguaggio e con la fisica e con l’ingegneria nel momento in cui viene intesa come interpretazione della realtà e possibilità di generare innovazione attraverso la tecnologia.

Nel seguito preferisco soffermarmi, tuttavia, sull’evoluzione recente dei rapporti tra matematica e cultura umanistica e scientifica e in particolare sulla possibilità che la matematica continui ad avere la stessa funzione dei secoli/decenni scorsi. Questo perché la matematica, e altre discipline, hanno avuto uno sviluppo esponenziale negli ultimi decenni ed è naturale porsi il problema se continuino a valere le stesse interconnessioni.

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Un punto di partenza deve riguardare necessariamente, a mio avviso, le motivazioni che spingono oggi ad interessarsi alla matematica. Il matematico Ennio De Giorgi evidenziava già, nel secolo scorso, una certa differenza tra lo studente che scopre di avere una certa inclinazione per gli studi in fisica, ingegneria, biologia, economia, filosofia e lo studente portato alla matematica. Quest’ultimo, infatti, ha difficoltà a sviluppare il proprio interesse anche a causa dell’apparente lontananza tra la matematica e lo sviluppo della cultura contemporanea.

Questa è una difficoltà purtroppo intrinseca, in quanto le conoscenze matematiche sono “cumulative”, nel senso che conoscenze specifiche, se pur riguardanti un tema particolare, non possono essere acquisite senza le costruzioni precedenti. Viene quindi a determinarsi un grosso limite alla possibilità di far interessare gli studenti alla matematica, in quanto spesso le motivazioni e le applicazioni più interessanti richiedono una quantità di strumenti di cui in genere lo studente non dispone.

I programmi scolastici e coloro che si occupano della divulgazione della matematica cercano ovviamente di adeguarsi alla situazione e propongono interessanti interconnessioni tra la matematica e le altre discipline. Non possono però riuscire a mettere in evidenza in maniera completa alcune interconnessioni contemporanee come, per esempio, lo sviluppo di modelli finanziari, il funzionamento dei motori di ricerca, gli algoritmi che regolano l’acquisizione e il trattamento dei dati, l’acquisizione di immagini e video, e questo solo per restare in un ambito più tecnologico; risulta ancora più difficoltoso far percepire l’attualità della matematica in questioni sociali e politiche, per esempio a livello di strategie comunicative e di confronto, e il risultato è che si è spesso convinti che queste siano basate su elementari intuizioni piuttosto che su modelli matematici.

Anche rispetto a discipline non tecnologiche, come la musica e la pittura, l’approccio matematico sembra molto distante e difficilmente esprimibile in risultati concreti. Proprio la profonda interconnessione tra la matematica e le altre discipline potrebbe, in definitiva, limitarne l’interesse da parte delle nuove generazioni, in quanto ogni spiraglio di interesse richiede l’acquisizione di una mole molto grande di conoscenze. In base a tali considerazioni, potrebbe venir fuori l’esigenza di sollecitare una funzione diversa della matematica, meno teorica e più concreta, nel senso di più facilmente applicabile agli interessi quotidiani della società. Il problema è capire se tale esigenza può essere perseguita senza compromettere il ruolo della matematica e la sua importanza nello sviluppo delle altre discipline.

Pensiamo, ad esempio, ad alcuni grandi problemi che hanno attraversato la storia della matematica. Senza voler in alcun modo stabilire un ordine in base all’importanza del tema, cito solamente alcuni esempi, per poi trarne qualche considerazione.

Nel 2003 il matematico Grigori Perelman di San Pietroburgo aveva pubblicato una serie di appunti nei quali risolveva sostanzialmente la cosiddetta congettura di Poincaré, uno dei problemi più avvincenti della matematica la cui soluzione era stata inclusa dal Clay Mathematics Institute tra le sette meritevoli di un premio di un milione di dollari. Per la cronaca, Perelman non ricevette tale premio e rifiutò anche la medaglia Fields (l’equivalente del premio Nobel per la matematica).

Henri Poincaré

La formulazione della congettura sembra essere di interesse solo all’interno di un gruppo ristretto di studiosi e questo dà l’idea del perché la matematica non riscuota un interesse diffuso a livello sociale. È difficile vedere infatti nell’enunciato “Ogni 3-varietà compatta e senza bordi è omeomorfa a una sfera tridimensionale” qualcosa di significativo a livello sociale, e anche le formulazioni equivalenti (in termini rigorosi) non sono accessibili né comprensibili a studiosi di discipline diverse. Per decifrare l’interesse verso tale risultato, bisogna tornare indietro alla Divina Commedia di Dante e alla rappresentazione del Paradiso; i cieli vengono rappresentati come una successione di sfere crescenti, che raggiungono un massimo di intensità oltre il quale vi è l’infinito dell’Empireo, rappresentato come una successione di sfere decrescenti che conducono ad un minimo in un punto abbagliante, che è Dio.

La rappresentazione risulta naturale se viene osservata in una dimensione inferiore di una unità: se si guardano i paralleli andando dal Polo Sud al Polo Nord della Terra (o viceversa), si osservano appunto delle circonferenze concentriche con raggio crescente fino all’equatore e decrescente poi fino all’altro polo.

La rappresentazione dantesca, quindi, riporta tale rappresentazione in una dimensione superiore, in cui le sfere sono immerse in uno spazio di dimensione quattro. Vi sono in letteratura anche altri esempi in cui viene fornita una rappresentazione geometrica simile, ma, senza dubbio, quella del Paradiso dantesco è quella più nota e autorevole. Agli inizi del Novecento, il matematico francese Henri Poincaré propose una formulazione matematica della rappresentazione dantesca e la dimostrazione di Perelman conferma che la rappresentazione è corretta; per questo motivo oggi Perelman viene ricordato come colui che ha capito la struttura del Paradiso e che, per questo motivo, fosse indifferente ai premi terreni come quelli che gli erano stati conferiti e che, pertanto, ha rifiutato.

Questo ricorda il matematico altrettanto famoso Andrew Wiles, che nel 1995 aveva dimostrato il teorema di Fermat e non potette ricevere la medaglia Fields per limiti di età; la soddisfazione di aver risolto un problema, che resisteva da circa tre secoli, era stata di gran lunga maggiore di qualsiasi premio potesse essergli conferito come riconoscimento di tale risultato. In questo caso la formulazione è semplice, in quanto si afferma che non esistono soluzioni intere positive dell’equazione a^n+b^n=c^n  se n>2 (per n = 1 il problema è banale mentre per n = 2 le soluzioni sono le cosiddette terne pitagoriche come 3, 4 e 5).

Anche se l’enunciato in questo caso è semplice, la dimostrazione è invece basata su concetti molto complessi, introdotti successivamente e riguardanti le curve ellittiche e forme modulari; conseguentemente, l’enunciato non risulta più accessibile a studiosi di discipline diverse dalla matematica e, in molti casi, neanche a matematici di aree diverse. Ma allora, ci si chiede quale possa essere l’interesse verso tali congetture e perché sia necessario investire tanto tempo e risorse umane per cercarne aperte possibilità.

Le risposte a questo quesito sono molteplici.

Sicuramente c’è un aspetto legato al desiderio di conoscenza e di sapienza. La matematica è stata storicamente rappresentata come una delle arti liberali (cioè che rendono l’uomo libero) e anche nel famoso affresco La scuola di Atene di Raffaello, allegoria dell’incontro dei saperi, uno dei ruoli principali viene assunto dalla geometria e dalla matematica. Senza dubbio, quindi, la matematica è collegata alla saggezza, intendendo questa in senso molto ampio, e non solo in maniera riduttiva attraverso il legame con il metodo razionale del pensiero.

Alcuni dei risultati più importanti in matematica sono dovuti proprio al fatto che essa non si limita a considerare solo aspetti razionali e prevedibili. Il ragionamento matematico spesso conduce ad argomentare e supporre il contrario di quanto ci si aspetta e a stabilire, talvolta, risultati imprevedibili che sconvolgono le conoscenze precedenti.

Ad esempio, questo è avvenuto in maniera eclatante nel 1930 ad opera del matematico Kurt Gödel, che ha inaspettatamente dimostrato l’incompletezza di ogni formalizzazione coerente della matematica in cui si possa assiomatizzare la teoria elementare dei numeri naturali; in altri termini, in tali formalizzazioni esiste sempre una proposizione di cui non è possibile stabilire né se è vera né se è falsa. Ovviamente, tale risultato ha avuto conseguenze evidenti non solo nella stessa matematica, ma in tante discipline connesse alla logica, come la filosofia e la comunicazione.

Ci sono quindi diverse ragioni che possono attrarre verso lo studio della matematica; utilizzando un linguaggio in un certo senso “universale”, essa si adatta sia ad uno spirito pratico che teorico e continua pertanto, come in passato, ad essere presente in tutti i tipi di società evoluta. Un problema che bisogna però porsi è se nella società attuale le motivazioni precedenti si stiano consolidando oppure stiano diventando più deboli, sostituite da interessi diversi.

La famosa frase di Bertrand Russell (filosofo e matematico), secondo la quale “La matematica può essere definita come la scienza in cui non sappiamo mai di che cosa stiamo parlando, né se ciò che diciamo è vero” ha suscitato sicuramente interesse, curiosità e attrazione verso la matematica per vari decenni; con la sua affermazione, Russell non riduce la matematica ad una disciplina né ad un contenuto disciplinare, ma l’afferma come pensiero metodologico. Oggi non è detto che tale frase continui ad avere lo stesso effetto sulle nuove generazioni ed è possibile che in molti casi generi, al contrario, un senso di inutilità e di repulsione ad investirci del tempo.

Oggi la tecnologia ha profondamente modificato le modalità di apprendimento, basti pensare all’uso di computer e smartphones che fanno circolare informazioni veloci con modalità diverse e maggiormente condivise. La quantità di stimoli dai quali veniamo costantemente bombardati spinge ad una selezione che esclude gli interessi non immediati e quindi affievolisce la curiosità e, in un certo senso, anche la sete di ulteriori conoscenze. Ciò che non è immediato non viene spesso considerato, perché non se ne ha a disposizione il tempo sufficiente per l’elaborazione. Quindi si è più propensi ad accettare definizioni sintetiche e magari incomplete, piuttosto che definizioni suggestive, ma che necessitino di una riflessione.

Tutto questo incide sulla considerazione sociale della matematica ed ha, come conseguenza, una tendenziale affermazione più incisiva dell’aspetto applicativo, rispetto a quello legato alla conoscenza e alla sapienza in generale. Da ciò potrebbe derivare anche un’attenuazione dei rapporti tra la matematica e la cultura umanistica e un conseguente indebolimento di entrambe nelle prossime evoluzioni sociali.

D’altra parte, tutto il sistema produttivo si evolve con ritmi molto intensi e il modo più veloce per ottenere risultati concreti è quello di mettere a frutto la tecnologia esistente, piuttosto che cercarne di nuove, con la sola eccezione di enti o aziende talmente grandi da poter sviluppare innovazione e/o dover lottare con la concorrenza. Questo fa sì che si incentivi e si sviluppi una ricerca con ricadute immediate (o quasi), a discapito di una ricerca di base in cui i risultati, sebbene potenzialmente migliori, rischierebbero di arrivare in tempi non più utili a livello di mercati.

Eppure, la tecnologia veramente innovativa ha sempre avuto bisogno di nuovi strumenti ed è stata spesso ispirata da teorie altrettanto innovative; basti pensare, ad esempio, all’algebra di Boole e al suo utilizzo nei calcolatori. A posteriori, la stessa teoria ha trovato in tali applicazioni una delle sue motivazioni più forti, realizzando quindi una perfetta simbiosi tra ricerca e applicazioni.

In matematica c’è una grande mole di questioni aperte, che potrebbero avere risvolti e ricadute importanti. Solo a titolo di esempio, un altro dei grandi sette problemi posti dal Clay Mathematics Institute riguarda l’esistenza di soluzioni globali regolari di un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali, che descrive il comportamento di un fluido in uno spazio a tre dimensioni, note come equazioni di Navier-Stokes. Le applicazioni sono svariate e spaziano dal campo ingegneristico (settore aerospaziale) a quello medico (ad esempio la circolazione del sangue), allo sport (nuoto e atletica), alla geofisica (studio dell’atmosfera, oceanografia, sismologia) e così via.

Se si studiano tali equazioni in un piano, i fenomeni di turbolenza possono essere controllati ed è possibile dimostrare l’esistenza di soluzioni globali; questo non avviene invece nello spazio, in cui si hanno a disposizione solo delle soluzioni deboli e non sufficientemente regolari. La risoluzione del problema avrebbe notevoli conseguenze, sia nel caso di una risposta affermativa che negativa, sull’esistenza di soluzioni globali e regolari.

Gli investimenti nella ricerca di una risposta a tale problema non sono però paragonabili a quelli, ad esempio, che si effettuano solo per approssimare le soluzioni di tale problema e questo perché una soluzione approssimata viene ritenuta, in molti casi, sufficientemente soddisfacente. Le ultime considerazioni incidono, ovviamente, a livello generale e più o meno uniforme in tutte le società sviluppate.  Ci si può chiedere, infine, cosa accade più in particolare in Italia, rispetto alla comunità europea e al resto del mondo.

Viene subito in mente il fatto che in Italia non ci sono multinazionali paragonabili a quelle di altri Stati; le aziende, quindi, concorrono a un livello più basso rispetto al mercato globale e hanno quindi meno bisogno di innovazione. Da questo ci si può attendere una richiesta ancora minore di ricerca di base, che tuttavia renderebbe il sistema produttivo impossibilitato, anche nel futuro, ad emergere a livello globale. Se da un lato la ricerca con ricadute immediate trova subito applicazioni, solo con quella di base il sistema produttivo può avere una prospettiva di crescita globale e non essere relegato ad uno sviluppo solamente locale.

Il rischio di non rafforzare la matematica nella sua componente più teorica comporta quindi, a lungo termine, un decadimento del sistema produttivo. È altrettanto chiaro che non ci può aspettare dalle aziende lo sviluppo di una ricerca di base, in quanto, se queste non avessero già una capacità di concorrere a livello globale, rischierebbero di fallire in investimenti con un termine troppo lungo. La promozione della ricerca di base spetta al sistema universitario e agli enti di ricerca e, quindi, alle politiche attuate dallo Stato su tali sistemi.

Oggi si parla spesso di incentivi alle imprese, ma in questo non si include mai quello che potrebbe derivare da una ricerca a più lungo termine. I fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) vengono indirizzati completamente verso la ricerca, con ricadute immediate e in settori specifici e questo determinerà, prevedibilmente, un ulteriore disequilibrio tra la ricerca di base e quella applicata, con un indebolimento, per le imprese, della prospettiva di potersi elevare ad un livello di competizione più elevato.

Attualmente, la scuola italiana si difende molto bene in molti campi della matematica; proprio recentemente, nel 2018, è stata assegnata la già menzionata medaglia Fields all’italiano Alessio Figalli, a dimostrazione del fatto che la ricerca in Italia è di prim’ordine e in grado di competere a livello globale. Bisogna tuttavia sperare che le politiche sul sistema universitario non incidano negativamente e non minino quell’immagine dell’Italia, in cui sono stati sempre presenti matematici che hanno fornito grandi contributi sia in campo scientifico che umanistico.

 

Michele CampitiProfessore Ordinario di Analisi Matematica

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