La nascita dell’Enel, l’Ucraina, l’energia e le idee di Enrico Mattei

Un piccolo saggio di Maurizio Eufemi che ricorda I tempi travagliati della nazionalizzazione dell’energia elettrica, negli anni del centrosinistra, le divisioni all’interno della Dc, che pagò un prezzo elettorale, le insistenze del Psi, soprattutto di Riccardo Lombardi. L’azione comune di Moro e Fanfani

La questione energetica, esplosa dopo la invasione della Ucraina,  ha posto in evidenza le lungimiranti scelte strategiche operate negli anni Cinquanta e Sessanta tanto da fare ritenere che le idee e le proposte politiche di Enrico Mattei siano ancora attuali.

Un’altra questione è invece rimasta, allo stato,  confinata nel dibattito tra gli storici, gli studiosi e gli esperti:  la nazionalizzazione della energia elettrica con la costituzione dell’Enel e la valutazione di una politica energetica adeguata, compresa quella  nucleare.

Eppure rappresentò una vicenda politica che segnò la fase della apertura al centro sinistra con l’ingresso dei socialisti nell’area di governo  e il loro coinvolgimento nello storico incontro tra cattolici e socialisti e conseguente allargamento dell’area democratica, dopo il sostegno esterno al governo tripartito DC- PSDI –  PRI (Fanfani IV).

Nel patto di programma maturato dopo il Congresso democristiano di Napoli, del 1962, si prevedeva appunto il varo della nazionalizzazione dell’energia elettrica con la nascita dell’Enel. Il provvedimento trovava un ancoraggio forte negli articoli 41 e 43 della Carta Costituzionale.  Già  il nome aveva comportato un aspro confronto tra chi voleva un Ente di diritto pubblico controllato dal Ministero delle PP.SS ( Partecipazioni Statali)  e una società per azioni. L’Ente finirà sotto il controllo del Ministero dell’Industria. La DC pagò un duro prezzo, sia politico sia elettorale, rispetto a quella scelta che intaccava il potere economico che spostò le sue preferenze sul PLI di Malagodi. Nelle elezioni politiche del 1963 la DC perse quasi quattro punti percentuali che si spostarono sul partito liberale.

Le forze economiche e imprenditoriali  furono miopi e non percepirono il grande disegno politico volto a garantire stabilità,  governabilità e progresso, di forze politiche lungimiranti che guardavano  ad un disegno riformatore,  tagliando le estreme. Nella formazione del governo Fanfani uscirono gli uomini della destra DC come Scelba, Gonella, Pella e Spataro. Entrarono esponenti dorotei come Gui, Bernardo Mattarella; poi Medici e Corbellini. Naturalmente la nascita dell’Enel era dentro un disegno legato alla programmazione economica e al varo di altre riforme come quelle  sui suoli e sulla scuola,  con la scuola media unica, poi  il presalario universitario per gli studenti meritevoli.

In quell’anno si tennero anche le elezioni del Presidente della Repubblica. Fu eletto  Antonio Segni, che fece naufragare il tentativo di Togliatti di rompere il dialogo tra Dc e PSI puntando su Nenni e su Saragat. Aldo Moro respinse fermamente i tentativi di Saragat di far ritirare i candidati in contrapposizione, salvaguardando cosi l’unità della DC.

Il varo della riforma non fu semplice per il confronto anche aspro tra le forze politiche. L’Ingegnere Riccardo Lombardi, espressione del sindacalismo cattolico prima, poi del partito d’Azione, poi  esponente di spicco dei socialisti, era favorevole  alla nazionalizzazione fin dagli anni Quaranta.

Già nel gennaio del 1923, da studente al Politecnico di Milano aveva scritto un articolo sul Domani d’Italia . Preferiva la forma del decreto legge rispetto alla legge delega come poi fu utilizzata. La legge trova compimento in una forma diversa da quella ipotizzata. Per Lombardi e parte dei socialisti reta una operazione per sbloccare il sistema verso un futuro governo delle sinistre, per spezzare il monopolio privato, per mettere in difficolta la DC nel suo elettorato di centrodestra e verso i settori imprenditoriali. Le resistenze parlamentari si coagularono intorno ai Liberali, ai Monarchici, al Movimento Sociale, a frange della DC. All’esterno c’era l’azione della Confindustria e dell’Assolombarda. un ruolo importante lo giocarono i giornali di opinione come il Corriere della Sera e il quotidiano della Confindustria,  il Sole 24 ore,  alimentando un malessere nella borghesia.

Gli obiettivi tecnici ed economici della riforma erano di superare l’ assenza di concorrenza, l’avversione verso i monopoli privati, la questione tariffaria,  gli squilibri Nord-Sud, i deficit di coordinamento nella produzione e nella distribuzione, oltre sprechi e doppioni.

A ciò si aggiunse la concentrazione di potere economico, l’ assenza di investimenti, l’occultamento dei profitti con società di comodo.  Spiccano gli articoli di Ernesto Rossi sui “baroni dell’elettricità” e di Eugenio Scalfari contro il Trust elettrico.

La trattativa di Governo si concretizza con il varo di un disegno di legge e l’impegno del presidente del Consiglio Fanfani di approvarlo in tre mesi. Il provvedimento verrà esaminato da due  Commissioni speciali, alla Camera e  al Senato, presiedute da Togni e Tupini. Pasquale Saraceno esprimerá  perplessità con una lettera a  Ugo La Malfa. Parallelamente ai lavori parlamentari si mette all’opera una commissione mista in cui sono presenti esponenti dei partiti della coalizione, ma anche Pasquale Saraceno e Guido Carli, Governatore della Banca d’ Italia.

La DC con Mario Ferrari Aggradi punta ad una impresa mista sul modello delle Partecipazioni Statali che Lombardi giudica macchinosa preferendo la forma della corporation di diritto pubblico sul modello britannico. Una ipotesi era quella dello Stato azionista con irizzazione come fu fatto per i cantieri navali di Taranto.  Poi verrà il problema della governance ma fu marginale rispetto alle questioni che furono superate. La forma della spa contrastava con il fine della produzione di servizi pubblici com’ è l’energia elettrica. Sul punto vince  il Partito Socialista. Lombardi poi vuole gli indennizzi sotto forma di obbligazioni. Sorge il problema della tutela dei piccoli azionisti. Qui prevale la linea Carli degli indennizzi in contanti in venti semestralità con interessi al 5,5 per cento non agli azionisti, ma alle società per poterli reinvestire, così da evitare tensioni sui mercati e la flessione dei titoli.  Si dirà che gli indennizzi furono generosi e superiori del 31 per cento del valore contabile delle azioni (Zanetti e Fraquelli 1979). Il motivo risiedeva nell’obiettivo di sconfiggere la paura nei ceti medi possidenti e una seconda ragione stava nell’auspicio di indirizzare quelle risorse verso investimenti in altri rami industriali come la chimica.

 

Ci furono altre decisioni che influirono sul sentimento degli italiani. La cedolare secca differenziata tra azionisti italiani e stranieri provocò una fuga di capitali verso la Svizzera che proseguirà per una media di 660 miliardi all’anno fino al 1967 e per 1700 miliardi nel periodo 1968-1972.

Saragat si schiera con Carli. Solo a distanza di anni, nel 1977, nell’intervista ad Alberto Ronchey La Malfa sosterrà di avere sottovalutato la questione e che forse avrebbe meritato una crisi di governo.( Buferale,  Studi Storici, 2014).  Per Carli si trattava della soluzione meno traumatica, avendo limitato i danni rispetto agli ingenti indennizzi. Si trattava di 1.500 miliardi di obbligazioni. Nello scontro si inseriscono i giornali con la motivazione che l’indennizzo favorisce le grandi società e penalizza i piccoli azionisti che erano 500 mila.  Ballavano 130 miliardi di profitti!. Nelle considerazioni finali sull’anno 1962,  Guido Carli motiverà l’azione svolta dalla Banca d’Italia. Dopo avere evidenziato il fenomeno della esportazione di capitali, aggravatosi nel 1963, con effetti sulla bilancia dei pagamenti, con un disavanzo di 152 miliardi rispetto all’avanzo di 41 miliardi del 1961. Ad esso si era unito il forte passivo delle partite correnti. La contrazione dell’autofinanziamento e il  fenomeno dell’indebitamento delle imprese elettriche, oltre del settore chimico  verso le capigruppo non poteva non suscitare preoccupazione. In questi due settori si erano concentrati i due terzi dell’aumento dell’indebitamento delle principali società private.

L’attenzione al mercato dei capitali era preponderante con una soluzione che prevedeva effetti meno gravi di quelle che si sarebbero prodotte se si fosse proceduto alla liquidazione immediata degli indennizzi con titoli obbligazionari. Tutto era ispirato a non perdere il controllo del mercato, senza alternarne l’equilibrio, con una eventuale mobilizzazione  degli indennizzi entro limiti compatibili. La facoltà concessa all’Enel di effettuare  emissioni obbligazionarie accettando azioni elettriche poneva gli azionisti in grado di convertire azioni i obbligazioni, ma al tempo stesso alle Autorità monetarie di regolarne l’offerta.

Fanfani vedeva nella nazionalizzazione del settore elettrico un punto delle riforme che lo avevano visto protagonista,  in continuità con quelle già realizzate nella fase degasperiana: dalla riforma agraria al piano casa,  fino alla svolta delle partecipazioni statali, in linea dunque con i principi della economia sociale di mercato. Lo storico Fanfani, oltre che il politico Fanfani, allievo di Jacopo Mazzei, confutò a Max Weber la esaltazione del capitalismo calvinista, guardava al capitalismo corretto e pone lo Stato come centro di ordine e di riscatto per una economia che non può trovare equilibrio affidandosi soltanto al libero arbitrio dei singoli operatori.

Aldo Moro guardava all”orizzonte politico per spezzare il Fronte dei comunisti e dei socialisti portando questi ultimi

nell’area di governo. Ne aveva lungamente parlato nella relazione al Congresso di Napoli di fine gennaio 1962. La nazionalizzazione dell’energia elettrica era in fondo il prezzo da pagare all’alleanza organica con i socialisti di Nenni, pur in un quadro di rispetto dei vincoli costituzionali e delle leggi di mercato. Se ne fa carico ripetutamente di muovere il partito della Dc tutto, salvaguardarne l’unità. Ne parla il 18 giugno alla Direzione Centrale allargata ai gruppi parlamentari di Camera e Senato, dedicata a valutare l’iniziativa del Governo sulla nazionalizzazione presenti anche Ferrari Aggradi, responsabile economico e Pasquale Saraceno.

Si trattava di una iniziativa governativa pienamente rispondente alle intuizuioni originarie del Partito e alla sua visione di politica economica e sociale. Viene ribadito che questa scelta non significa sfiducia verso l’iniziativa privata, ma renderla possibile entro confini ben delimitati e non estensibili ad altri settori. In quella sede vengono dettate le linee guida da seguire per l’approvazione del provvedimento con la giusta tutela dei risparmiatori attraverso gli indennizzi, l’autonomia globale dell’Ente, l’opportuno coordinamento con le aziende municipalizzate  e regionalizzate, la salvaguardia dei legittimi interessi degli autoproduttori,  il pieno riconoscimento dei diritti acquisiti dal personale delle aziende coinvolte.

Moro sa bene la delicatezza della questione e si preoccupa di fare una dichiarazione al telegiornale il 20 giugno 1962 per ribadire il valore della decisione nel quadro dell’articolo 43 della Costituzione sulle materie riservate come le fonti di energia su cui sussista un preminente interesse pubblico che la DC rivendica di avere determinato a formulare rispondente ai valori della dottrrina sociale cristiana.

Al tempo stesso ribadisce che il programma politico della DC è contro ogni livellamento collettivistico della vita economica e sociale. Quindi sgombra ogni residua ombra affermando che la DC “non ritiene che altri settori della vita economica e sociale debbano soggiacere ad una restrizione che per noi ha carattere sussidiario e singolare”. Dunque quella nazionalizzazione sarà unica e non ripetibile. Si volevano solo combattere gli squilibri di settore e di zona, per rendere più concreta la libertà umana.

Sarà peró il Consiglio Nazionale del 3, 4, 5 luglio del 1962 la sede dove Aldo Moro affronta con compiutezza la riforma che si inquadra nella nuova alleanza politica della DC con i Socialisti. La DC paga un prezzo alle elezioni  amministrative  di giugno. Si sforza di chiarire il vero volto della DC rispetto ad obiettivi di libertà e di sviluppo democratico piuttosto che di un partito classista o di sinistra, o le accuse di debolezza verso il PCI.

Rivendica l’azione riformatrice del Governo Fanfani con il Piano per la Sardegna, il piano per le ferrovie, il piano per i fiumi, la attuazione del Piano Verde in agricoltura, e quello per le Autostrade, nonchè l’ingente sforzo finanziario per lo sviluppo della scuola italiana. Nel frattempo si portava a compimento la istituzione della Regione a Statuto Speciale del Friuli- Venezia Giulia.

Ma Moro guardava lontano e riguardo alla politica della energia ribadiva tre  obiettivi di fondo: come fosse necessario assicurare la copertura di ogni possibile fabbisogno; condizioni uniformi a tutte le categorie di utenza in conformità alla esigenza di progresso civile e di sviluppo economico; la riduzione dei costi.

Era una atteggiamento prudente, ma libero da condizionamenti.  Il provvedimento doveva rispettare due condizioni: una nazionalizzazione che non creasse problemi di squilibrio nel mercato finanziario; una nazionalizzazione conforme a principi di giustizia e libertà. Dunque pieno controllo delle autorità monetarie delle misure adottate. Conclude ribadendo  di “impiegare coraggio, iniziativa, fiducia, prudenza, e la fermezza che abbiamo cercato di usare”.

Tutto ciò avviene dopo la elezione del Presidente della Repubblica Antonio Segni, un passaggio parlamentare in cui Moro sottolinea come “il Partito comunista intendesse battere e umiliare la DC, interferendo nelle sue scelte e  cercando di piegarle secondo la sua influenza. Ed è importante che la DC abbia reagito efficacemente e con risuluta fermezza, a questo tentativo di condizionarla e di mortificarla.” Prosegue la polemica con Malagodi rispetto alla possibilità di altre nazionalizzazioni e alle falsità che venivano diffuse sulla nazionalizzazione degli autotrasporti. Voteranno a favore della Mozione presentata da Salizzoni, Scaglia, Forlani, Zaccagnini, Gava in consiglio nazionale 76 si e 19 no tra cui Scelba, Scalfaro,Restivo, Lucifredi, Elkan, Martinelli, Gonella ed altri.

Il 10, 11, 12 e 13 luglio si riunisce il Gruppo parlamentare della Camera. Pella invia un telegramma di dissenso sulla nazionalizzazione. Il ministro dell’Industria Emilio  Colombo nel su intervento ribadisce come il pensiero sociale cristiano e la tradizione democratica cristiana contemplino la possibilità di nazionalizzazione dei settori produttivi ai fini di pubblica utilità, ma se giustificata per il servizio pubblico, pone anche il limite alla adozione di altre nazionalizzazioni. Piccoli presenterà un odg della maggioranza su cui voteranno contro sia Pella sia Tambroni, ma la polemica non era piu soltanto sull’Enel, ma sulle aperture a sinistra.

Fanfani e Moro, da posizioni e ruoli diversi si muovono all’unisono

 Entrambi rivendicano la scelta operata evitando che possa passare come scelta subita. Il successo di Fanfani e di Moro è stato quella di avere portato il governo e il Partito in unità ad una riforma che non può appartenere  solo a  leader illuminati ma a tutta  una classe dirigente che ne  condividesse  le scelte operate.

Per Riccardo Lombardi la nazionalizzazione era il successo di un lungo percorso dalle prime esperienze universitarie alla guida poi della Societa Elettrica Siciliana, poi da parlamentare con  iniziative congiunte con Ugo la Malfa sulle intese industriali e commerciali ( atto Camera 248 del 1958) poi la proposta di legge come primo firmatario, sottoscritta con Nenni, Pertini, Basso, Pierraccini, Ferri, Luzzatto, AC 269 del 20 settembre 1958,sulla nazionalizzazione della industria elettrica. Ma sarà Fanfani di concerto con tutto il governo a presentare il disegno di legge A.C. 3906 il 26 giugno del 1962 che istituiva l’ Enel  e trasferire ad esso le otto  imprese esercenti le industrie elettriche.

Lombardi finirà per accentuare l’aspetto rivoluzionario della riforma.

Mentre La Malfa era ispirato a un riformismo moderato, la sinistra socialista di Riccardo Lombardi insieme ad Antonio Giolitti “cercava di mantenere un dialogo se non un collegamento con il PCI, maggiore forza di opposizione”. Il PSI doveva avviare una politica di riforme strutturali capaci di dislocare il potere economico dai tradizionali centri di decisione (grandi industrie, percettori di rendite urbane immobiliari)  alle istituzioni rappresentative cioè allo Stato.  Le riforme erano concepite in un rapporto di competizione intesa con il PCI come segno di un mutamento radicale nella gestione della politica economica, il cosiddetto “ideologismo dimostrativo” teorizzato da Luciano Cafagna nel 1981.

Quella riforma del 1962 fu un passaggio fondamentale per l’alleanza  tra DC e PSI del primo centrosinistra che trova in Lombardi il suo culmine e anche la  sua fine,  perchè poi passerá alla opposizione interna di Nenni e De Martino.  Seguiranno in quella stagione riformista infatti altre riforme sulla scuola, sulla università. La politica di piano verrá messa in discussione dai rallentamenti della crescita economica, dalle tensioni sociali. Nuovi protagonisti politici si affacceranno sulla scena. Verrá il Sessantotto e verranno gli shock petroliferi che imporranno la ristrutturazione dell’apparato industriale. Resteranno le debolezze del Paese in campo energetico che potranno essere superate solo con il coraggio della politica.

Furono fatti errori?

Certamente sul piano tecnico e sulle relative aspettative. La mediazione non impedì di aprire una fase nuova nel rapporto tra cattolici e socialisti che verranno spinti sempre più verso la via dell’autonomia e dopo la solidarietà nazionale una ripresa di rapporti che negli anni Ottanta e primi anni Novanta raggiungeranno i momenti più alti con i governi Craxi, Andreotti e Amato.

Bibliografia essenziale

  • Aldo Moro scritti e discorsi a cura di G. Rossini, edizioni Cinque Lune, 1986
  • Piero Roggi, Amintore Fanfani, imprenditore della politica,  Firenze, Regione Toscana, 2011
  • Atti e Documenti della Democrazia Cristiana  1943 – 1967 a cura di Andrea Damilano edizioni Cinque Lune
  • L’accordo politico programmatico per il governo di centro-sinistra tra Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Socialista Democratico italiano, Partito Repubblicano Italiano  Italiano, Roma, 1963 Arti Grafiche Italiane
  • Economia Italiana Storia Economia e Società in Italia 1947 – 1997 Rivista quadrimestrale del Banco di Roma nn 1 e 2, 1997
  • Luca Buferale, Riccardo Lombardi e la nazionalizzazione dell’energia elettrica in Studi Storici LV n. 3 luglio, settembre 2014
  • Carmine Pinto il riformismo possibile. La grande stagione delle riforme: utopie, speranze, realtà (1945-1964 Rubbettino, Cosenza 2008
  • Banca d’Italia, Relazione annuale 1962

 

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