La lotta di classe annientata dai selfie: le illusioni perdute del Quarto Stato

Un emozionante saggio partendo dal "quadro– simbolo" di Pellizza da Volpedo. Le tragedie del lavoro e sul lavoro di ieri e di oggi

“L’assessore Vannucci, la vicesindaco Giachi e l’assessore Funaro di fronte all’opera” (didascalia e foto da Firenze, ecco “Il Quarto Stato”: via alla mostra. “
“L’asse con Milano esempio da seguire”, “La Nazione”, 30 aprile 2022, https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/quarto-stato-1.7621350)

 

Dall’inizio del secolo scorso, La città sale di Umberto Boccioni e Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo sono forse le opere d’arte che meglio rappresentano emblematicamente la transizione sociale e politica italiana del Novecento attraverso la trasformazione di Milano, città che appare come la vera capitale d’Italia anche per avere permesso a generazioni di proletari, spesso immigrati dal Sud, di affermarsi grazie al proprio lavoro.

La città sale oggi è a New York (al MoMA), Il Quarto Stato dal 1920 fa parte del patrimonio permanente delle collezioni pubbliche di Milano e fino alla metà di aprile apriva il percorso del Museo del Novecento in piazza Duomo, introducendo alla più ampia e superba collezione pubblica al mondo di arte futurista.

Per la sua iconografia ispirata agli ideali socialisti Il Quarto Stato si è prestato a innumerevoli declinazioni: la più popolare è sicuramente quella apprestata in Novecento. Atto I da Bernardo Bertolucci nei titoli di testa e nella scena della reazione pacifica della comunità contadina ai soldati a cavallo che nel giorno di San Martino sfrattano i mezzadri perché i loro contratti sono scaduti.

La protesta pacifica dei contadini socialisti il giorno di San Martino in Novecento. Atto I, regia: Bernardo Bertolucci. Produzione: P.E.A. – Produzioni Europee Associate, Artemis Film, Berlin, Productions Artistes Associés, Paris (Italia, Germania ovest, Francia, 1976).

 

Esistono anche interpretazioni che da Il Quarto Stato attingono la forza cinetica, trasformando beffardamente la marcia pacifica dei contadini socialisti nella marcia delle camicie nere del partito fascista fondato dall’ex socialista direttore anti-interventista dell’ “Avanti”. Per il decimo anniversario della marcia su Roma Giacomo Balla adatta Il Quarto Stato a una fotografia ufficiale, ridicola e agghiacciante, che ritrae Mussolini che si avvia a passare in rassegna le camicie nere a Villa Borghese il 30 ottobre 1922.

Giacomo Balla, olio su tela, 1932-1935, 260 x 332 cm, dipinto capovolto sul verso di Velocità astratta (1913), Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli (https://www.pinacoteca-agnelli.it/collezione/velocita-astratta/)

 

Il quadro è dipinto a rovescio sul retro della tela in stile futurista Velocità astratta (1913). Il “grande quadro patriottico” (così lo definisce Balla, con aggettivazione oggi sinistramente attuale) resta nel salotto di Balla in via Oslavia a Roma; poi passa nella collezione del presidente della FIAT e adesso è nella Pinacoteca intitolata a lui e a sua moglie, esposto dal recto con Velocità astratta visibile al pubblico (sul rifiuto di un grande quadro commissionato per la casa di Roma da Marella Agnelli a Mario Schifano, che per scherno aveva dipinto una festa comunista cinese, ho scritto qui.

Il Quarto Stato è uno dei primi casi macroscopici, per tempi di gestazione e dimensioni dell’opera, in cui (in un quadro grande di soggetto storico dipinto per essere esposto) la superficie è importante quanto il soggetto, a sua volta coincidente con un titolo che fa parte dell’opera, non ne è un mero accessorio. Quando un quadro è in primo luogo un quadro, cioè un oggetto fatto di un supporto, di pigmenti, magari anche di altri materiali, anche il titolo è parte integrante della progettazione e serve anche alla promozione dell’opera.

Il Quarto Stato era un progetto già dal 1891. Pellizza dipinge la realtà che conosce e in cui si identifica orgogliosamente: è figlio di contadini benestanti, con un padre garibaldino radicale e anticlericale, impegnato nella locale Società di mutuo soccorso. L’artista aveva realizzato opere di transizione con altri titoli (un gruppo di disegni, cartoni e bozzetti sotto il titolo Ambasciatori della fame prima; poi Fiumana, già un quadro grande che misura 255 x 438 cm, dal 1986 a Milano alla Pinacoteca di Brera, dove non è esposto: https://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/fiumana/).

Pellizza si impegna a creare il “più grande manifesto che il proletariato italiano possa vantare fra l’Otto e il Novecento” tra 1898 e 1902. In primo piano nel Quarto Stato i volti dei personaggi che camminano verso di noi sono ispirati alla famiglia di Pellizza (la moglie Teresa Bidone, figlia di contadini, la figlia Maria Pellizza e Giacomo Bidone, falegname), e inoltre al piccolo Luigi Albasini, figlio di contadini, a Giovanni Zarri e a Giovanni Gatti, muratore e farmacista.

Come nella Scuola di Atene Raffaello fa coincidere l’idea di storia e di progresso con la conciliazione tra discipline umanistiche e scientifiche di cui è simbolo il dialogo tra Platone e Aristotele che camminano affiancati, in Il Quarto Stato Pellizza fa coincidere l’idea di storia e di progresso con la lotta di classe dei contadini che manifestano. La famiglia e i concittadini del pittore permettono ai morti di vivere per sempre: titolo e iconografia definitivi di Il Quarto Stato seguono un orribile fatto di cronaca che vide i lavoratori trucidati dallo Stato carnefice.

Durante la primavera del 1898 il prezzo del grano raddoppia, passando da 35 a 60 centesimi al kg: come sta succedendo anche da due anni a questa parte, lo Stato tassa l’alimento più democratico di tutti, il pane, per gravare sui poveri e non sui ricchi. Alla fine di aprile cominciano le prime manifestazioni in Romagna, in Puglia, a Firenze. Il culmine si raggiunge tra il 6 e il 9 maggio 1898 a Milano, dove il generale Fiorenzo Bava Beccaris ordina lo stato di assedio e fa massacrare la folla dei manifestanti, causando un numero di feriti e di vittime mai stabilito ufficialmente, tanto da guadagnarsi il soprannome di “macellaio di Milano”:  almeno ottanta morti, tra cui molte donne con i propri bambini, centinaia di feriti, migliaia di arrestati.

 

Il trasferimento in carcere degli arrestati in seguito ai moti di Milano del maggio 1898

 

Il generale macellaio viene premiato con la Croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia e con le congratulazioni scritte di Umberto I; due anni dopo, l’anarchico militante Gaetano Bresci rientra dagli USA dove era emigrato e vendica i morti uccidendo “Re Mitraglia” a Monza. Stando al primo quotidiano d’Italia, Bresci durante il processo rivendica l’assassinio politico con parole che non mi scandalizzerei di ascoltare di nuovo oggi che le condizioni sociali di chi fa lavori non privilegiati sono drammaticamente tornate simili a quelle della fine dell’Ottocento e che i potenti assegnano onorificenze a chi compie stragi autorizzate nel proprio nome:

“Oltre vendicare gli altri, volevo vendicare anche me, costretto, dopo una vita miserrima, ad emigrare. I fatti di Milano, in cui si adoperò il cannone, mi fecero piangere di rabbia e pensai alla vendetta. Pensai al Re, perché costui, oltre a firmare i decreti, premiava gli scellerati che avevano compiuto le stragi” (Il processo e la condanna del regicida Bresci alla Corte d’Assise di Milano, “Corriere della Sera”, 30-31 agosto 1900, p. 1).

Le vicende che danno origine a Il Quarto Stato hanno esiti tragici per tutti i coinvolti (la riuscita di un buon romanzo ottocentesco prevede che i cattivi abbiano la meglio e che sul finale resti un alone di mistero per gli ingenui). Il 22 maggio 1901 il cadavere di Bresci pestato di botte viene trovato impiccato alle inferriate della cella del carcere di Santo Stefano; si tratta molto probabilmente di un omicidio di Stato. Come vanno certe cose lo racconta meglio di qualunque storico il più grande pittore figurativo vivente, Gerhard Richter, nel ciclo sulle morti in carcere dei membri del gruppo anarchico rivoluzionario tedesco Rote Armee Fraktion (noto con l’acronimo RAF, cioè Frazione dell’Armata Rossa), noto anche come Baader-Meinhof dal nome di due dei fondatori.

Del ciclo di Richter fa parte il grande quadro Erhängte (Impiccata), in cui il cadavere di Gudrun Ensslin pende appeso alle sbarre della cella del carcere di Stoccarda. A lei e ai suoi compagni della RAF tocca la stessa sorte di Bresci: il 18 ottobre 1977 anche Andreas Baader e Jan-Carl Raspe vengono trovati morti per colpi di arma da fuoco nelle loro celle del carcere di massima sicurezza e di tutti e tre si dichiara ufficialmente la morte per suicidio. Irmgard Möller invece sopravvive a ferite da coltello al petto che negherà sempre di essersi inferta da sola. Il 9 maggio 1976 era stato certificato il suicidio per impiccagione nello stesso carcere anche per Ulrike Meinhof. Viene liquidata così la fase più sanguinosa della “guerra dei sei contro i sessanta milioni” (a caldo raccontata anche nei risvolti dei sacrifici familiari, inevitabili nella militanza della Essling, da Margarethe von Trotta nel bellissimo Die bleierne ZeitAnni di piombo, Leone d’oro a Venezia nel 1981).

 

Gerhard Richter, Erhängte (Impiccata), 1988, olio su tela, 200 cm x 140 cm. Catalogo ragionato: 668. The Museum of Modern Art (MoMA), New York, USA (dal sito ufficiale dell’artista: https://www.gerhard-richter.com/it/art/paintings/photo-paintings/baader-meinhof-56/hanged-7690).

 

Fino al 1907 le esposizioni pubbliche in Italia di Il Quarto Stato non guadagnano il successo sperato dal pittore, alla fine vittima delle sue scelte coraggiose. Per giunta, il 6 maggio 1907, a trentadue anni, Teresa muore di parto insieme al neonato. Il 14 giugno di quello stesso anno  il pittore trentanovenne, solo e incompreso nei luoghi dove più avrebbe voluto essere celebrato, si impicca nel suo studio con un cappio di filo di ferro.

Nel 1920 il Comune di Milano acquista il Quarto Stato grazie a una sottoscrizione pubblica con la quale si tassano anche i proletari che avevano posato per Pellizza. Solo da quel momento, e a seconda delle posizioni politiche e delle classi sociali a cui si ammicca, Il Quarto Stato si presta a strumentalizzazioni diverse: ho rievocato quella dell’anziano fascista Giacomo Balla, più consistente e coerente è stata la fortuna presso le associazioni operaie e le Camere del lavoro. Ecco la più recente.

A fine aprile del 2022 lo stesso Comune che nel 1920 ha comprato il Quarto Stato ha prestato il quadro a un altro Comune, quello di Firenze, in occasione delle celebrazioni per il 1° maggio. I sindaci di Milano e di Firenze, il ministro del Lavoro e altre personalità di primo piano politico sono stati protagonisti dello svelamento dell’opera a Palazzo Vecchio, sede del Comune ospitante, e di un convegno sul tema del lavoro che si è tenuto il giorno della Festa dei lavoratori.

La grande tela continuerà a stazionare a Palazzo Vecchio fino al 30 giugno, non è certo il rientro nello spazio che ha lasciato all’Arengario alla fine della mostra fiorentina, quando forse troverà altra collocazione a Milano. Il prestito non è stato concordato per un ritorno economico immediato (cioè non è stato stabilito un prezzo di noleggio) né per esigenze scientifiche e didattiche. La grande tela non ha alcun rapporto storico, geografico, politico con il Comune fiorentino che ne sollecita l’acquisizione (se pur temporanea, per fortuna).

Eppure, nonostante l’assenza di motivi fondati, Milano presta un quadro che rappresenta la propria identità storica, oltre a essere unico al mondo, per numerose ragioni. Dal giorno in cui la notizia del prestito ha circolato, giornalisti e storici dell’arte hanno espresso valutazioni e perplessità in ordine all’operazione politica. Non ho niente da aggiungere a pareri autorevoli. Mi limito a soffermarmi su un dato materiale, che aggrava la già traballante motivazione politica mascherata da scambio culturale alla base del prestito: in fondo, Il Quarto Stato è un oggetto alle cui condizioni di conservazione e materiali è bene pensare quando si fa viaggiare e si tiene a lungo in condizioni di luce e climatiche diverse da quelle in cui è abitualmente esposto,  con le attenzioni tecnico-scientifiche dovute.

Il 30 aprile, in occasione della preview del quadro, il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha dichiarato a “La Nazione”:

“La collaborazione con Firenze è sempre molto viva. Il Quarto Statoè un’opera molto attuale. Il lavoro oggi è centrale: se il Quarto Stato era composto dai contadini e poi con la rivoluzione industriale era il proletariato, oggi il Quarto Stato è un insieme molto largo, che rischia di allargarsi. Penso al lavoratore del call center che prende 600 euro per lavorare 32 ore alla settimana. Molto bene dunque dare visibilità a quest’opera per il messaggio che porta, molto bene portarla qua per il 1 maggio”. “Le ragioni per dipingere ancora oggi il Quarto Stato ci sono ancora”, ha affermato in aggiunta il ministro Orlando (https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/quarto-stato-1.7621350).

Poiché nei primi tre mesi del 2022 le denunce di incidenti sul lavoro che hanno causato la morte dei lavoratori sono state 189 e i dati resi noti dall’Inail riguardano l’”insieme molto largo” del “Quarto stato” contemporaneo a cui ha alluso il sindaco Sala (cioè tutti i settori produttivi e in particolare industria, trasporti, magazzinaggio), in effetti le “ragioni per dipingere ancora oggi il Quarto Stato ci sono ancora”. A fare queste affermazioni non è un rappresentante del Quarto stato ma della classe dirigente. Ma qual è “il messaggio che porta” Il Quarto Stato da Milano a Firenze nell’aprile 2022?

Di certo la classe operaia deve aspettare di andare in paradiso per godere del rispetto che i padroni non le danno in terra, a giudicare dall’uso de Il Quarto Stato da parte dei due sindaci, dell’assessore milanese alla cultura (già nella giunta Nardella a Firenze) che ha favorito l’operazione e di altri rappresentanti dello Stato intervenuti allo svelamento dell’opera e al convegno.

Il quotidiano di Firenze, “La Nazione”, ha pubblicato in rete fotografie imbarazzanti che immortalano i protagonisti dello scambio, tirati a lucido, dare le spalle al quadro, poi guardarlo velocemente girando solo la testa, poi usarlo come sfondo per selfie di cui è stato allegro protagonista il trio composto dall’assessora all’educazione e al welfare, l’assessore a welfare e sanità, accoglienza e integrazione, associazionismo e volontariato, casa, lavoro, sicurezza urbana, lotta alla solitudine (sic), tradizioni popolari e la vicesindaca e assessora alla Protezione civile, servizi demografici, avvocatura, toponomastica (trascrivo dal sito del Comune senza modificare una parola).

Non so a chi verrebbe in mente di scattarsi un selfie sorridente davanti a un’immagine che rievoca persone scomparse per morte violenta, o comunque un episodio storico doloroso. “Quel che aborriscon vivo, aman dipinto”, scrisse a metà Seicento il pittore e poeta Salvator Rosa a proposito di simili atteggiamenti di ricchi e potenti nei confronti di quadri che avevano come soggetti gli umili e i vinti, piegati da quella stessa società che li sfruttava tenendoli a distanza (è stato Tomaso Montanari a richiamare a proposito e per primo, su Twitter e poi su “Il Fatto quotidiano” del 9 maggio,  il verso dalla satira La pittura di Salvator Rosa: https://volerelaluna.it/controcanto/2022/05/12/la-storia-il-potere-la-propaganda/).

La vera questione in ballo tra i Comuni di Milano e di Firenze non è orientare i riflettori su un presente e un futuro del lavoro che oggi solo i compagni di strada artisti di Pellizza e un Charles Dickens redivivo potrebbero di nuovo raccontare con le parole giuste. La vera questione che interessa sindaci e assessori in carriera è l’uso del patrimonio pubblico come merce di scambio gratuita:

“Ma il dipinto di sei metri per tre, simbolo delle lotte del proletariato, porta con sé anche le perplessità di una Milano che a Firenze lo ha prestato. Il motivo? Nessuna opera, almeno per ora, è stata prevista in cambio da parte del capoluogo toscano. Pensare che Milano raramente concede Il Quarto Stato, l’ultimo prestito risale a 14 anni fa, quando era stato spostato per una mostra alle Scuderie del Quirinale. Nel capoluogo lombardo, non mancherebbero i mugugni per un’iniziativa che, per il modo in cui è stata attuata, negli ambienti storico artistici è considerata “irrituale”. Tra i registi dell’operazione l’assessore comunale alla Cultura, quel Tommaso Sacchi che fino a pochi mesi fa ricopriva lo stesso incarico a Firenze. Ad ora sia da Milano che da Palazzo Vecchio fanno sapere che è presto per annunciare una contropartita. Non è infatti ancora stato previsto uno scambio, ma neppure un canone di affitto, come si usa in queste circostanze. Sacchi però puntualizza: “I rapporti tra le due città sono così buoni che sono certo ci accorderemo per un prestito all’altezza. Da parte di Firenze non mancherebbe la volontà di accontentare le esigenze milanesi, il problema è che malgrado l’enorme patrimonio artistico del capoluogo toscano, quasi tutti i grandi dipinti della città fanno parte dei musei statali, che sono però fuori da questa partita. Mentre i musei civici (della cui rete il Salone dei Cinquecento fa parte) possiedono straordinari affreschi ma pochi quadri dell’importanza e del richiamo de Il Quarto Stato. Tra i pezzi su cui da Milano pare possa esserci interesse per contraccambiare il prestito si ipotizzano la Madonna dei Cordai di Donatello (opera polimaterica del museo Bardini) o il Genio della Vittoria di Michelangelo (statua dello stesso Salone dei Cinquecento). Su Il Quarto Stato è stata fatta una scansione 3D, che sarà ripetuta al suo ritorno da Firenze per verificare il pur minimo danneggiamento” (Giulio Gori, “Il Quarto Stato” è arrivato a Firenze (con qualche dubbio di Milano, “Corriere fiorentino”, 28 aprile 2022).

Prestito, contropartita, scambio, canone di affitto, richiamo: le parole e il tono con cui le amministrazioni comunali discutono dell’operazione sono propri del commercio, non della tutela né della divulgazione scientifica. Il Quarto Stato è una merce di proprietà del Comune da scambiare con un’opera attribuita a Donatello o con un’altra altrettanto unica e altrettanto fragile di Michelangelo di proprietà di un altro Comune: le opere amministrate dai Comuni appartengono ai cittadini, non alle giunte comunali.

Badate al concetto chiave che emerge alla fine dell’articolo del “Corriere fiorentino”: gli oggetti che potrebbero essere spostati da Firenze a Milano per lo scambio sono tanto unici quanto fragili per dimensioni, tecnica, materiali, condizioni di conservazione: la Madonna dei Cordai e il Genio della Vittoria andrebbero spostati solo per conclamate esigenze di ricerca e confronto con altre opere, altrimenti è bene che vengano lasciati dove sono.

Le considerazioni valgono anche per Il Quarto Stato. La grande tela di dimensioni equivalenti a quelle di una pittura murale rinascimentale per la quale Pellizza mise in posa sua moglie e i contadini e gli artigiani di Volpedo in piazza Malaspina, pagandoli tre lire al giorno, è dipinta con una tecnica divisionista moderna e sontuosa, elaborata sulla conoscenza e sul culto delle immagini pittoriche del Quattrocento fiorentino e delle Stanze vaticane di Raffaello.

Il “sol dell’avvenire” illumina i lavoratori tramite una pittura fatta di piccoli tocchi, segni, linee sottili e più spesse, stesa su una base di terre di colori diversi, secondo criteri cromatici complementari, per ottenere una particolare visione d’insieme da lontano. La disposizione dei colori sulla tela non è impressionista né casuale, nel senso che non è lasciata a combinazioni cromatiche occasionali; lo scopo di Pellizza è il massimo della luminosità ottenibile con contrasti cromatici studiati con criteri scientifici (sull’evoluzione delle tecniche dei pittori divisionisti italiani e il loro rapporto con i pigmenti e i supporti offre una sintesi molto efficace Mattia Patti nella lezione La rivoluzione industriale dell’arte: nuovi materiali e nuove pratiche nella pittura tra Otto e Novecento del 3 febbraio 2022 per il corso Storia dell’arte.Tecniche e materiali, Accademia dei Lincei e Normale per la scuola, di cui per la SNS è referente Flavio Fergonzi: https://www.sns.it/it/evento/storia-dellarte).

È una lingua, il divisionismo, al servizio di un’idea politica visualizzata nella pittura sociale. Dal 1895 a Firenze Pellizza si interessa alle tele per arazzi; poi a Milano compra una tela di tre metri dalla fabbrica Cerri in via Beccaria, che per 5 lire al metro vende una partita di 20 metri. Come nella pittura murale antica, Pellizza dedica grande cura alla preparazione del supporto: prepara un’imprimitura a colla di pesce e gesso macinato molto finemente per coprire le trame del tessuto. Sceglie pennelli e spatole di vari tipi, seleziona senza fretta i colori della ditta francese Lefranc (la più diffusa sul mercato dall’epoca degli Impressionisti), sceglie le terre macinate consigliandosi con il collega Angelo Morbelli.

Il titolo Il Quarto Stato deriva dalla divisione delle classi sociali come è raccontata in un libro di storia importante per i socialisti europei: Storia socialista della Rivoluzione francese di Jean Jaurès, un professore universitario di filosofia che nel 1914 muore ammazzato da un colpo di pistola per essersi opposto alla guerra in nome dell’Internazionale socialista (la Storia socialista della Rivoluzione francese ha una diffusione persistente presso la sinistra italiana grazie all’edizione economica in 10 volumi pubblicata tra 1953 e 1955 dalla Colip, laCooperativa del Libro Popolare promossa dal PCI su iniziativa di Togliatti e rilevata da Giangiacomo Feltrinelli nel 1954: https://www.biblioteche.regione.lombardia.it/vufind/OpacrlRecord/IEI0053978).

Quando il Quarto Stato è stato esposto nella collezione permanente della Galleria d’Arte moderna della Villa Reale (uno dei luoghi più magici e meno frequentati dai milanesi, nel centro di Milano) dal 1980 e per molti anni è diventato il culmine di un percorso nel museo che con coerenza fin dai titoli chiariva quale fosse il legame della tecnica divisionista della pittura a destinazione pubblica lombarda con gli ideali socialisti e il tema del lavoro: L’ora del riposo ai lavori dell’Esposizione di Carcano (1881); Giorni ultimi di Morbelli (1883); Le cucine economiche di Porta Nuova di Pustarla (1886-1887); il Minatore di Butti (1888); La mezzana, Lo scugnizzo, Lo scaccino, La portinaia, Il bambino all’asilo dei poveri di Medardo Rosso; Le due madri di Segantini (1889); La massaia di Tallone (1894); L’alba dell’operaio di Sottocornola (1897); Il morticino di Mentessi (1906).

I lavoratori morti durante i moti di Milano (che richiamano in qualche modo quelli sempre più numerosi e sempre più inaccettabili degli ultimi due anni appena trascorsi) ci guardano per sempre grazie alla pittura. L’unico modo di omaggiarli sarebbe stato di camminare verso di loro arrivando all’ingresso del percorso del museo nella piazza principale della città che fu teatro del massacro di Stato. Non si affronta la questione del futuro del lavoro e dell’emergenza sociale ridicolizzando con cerimonie e selfie festanti le vittime (pur involontariamente e per mera ignoranza).

Sarà inoltre importante tenere desta l’attenzione dopo che Il Quarto Stato verrà restituito a Milano per constatare se tornerà danneggiato come accadde al bronzo di Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni: anche in quel caso in occasione di un evento eccezionale, il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, il Comune fece spostare dal Museo del Novecento una delle opere più rappresentative della collezione e per la città (la riproduzione del fianco sinistro del bronzo sta sul verso delle monete da 20 centesimi di euro) per prestarla al Musée d’Ixelles (Bruxelles).

La statua venne danneggiata da una caduta di un dipendente del museo che spingeva un carrello. Nonostante sette anni di giudizio, il Tribunale di Milano ha rigettato tutte le richieste del Comune, in primo luogo perché il Museo del Novecento non aveva compilato il condition report, il documento indispensabile per il prestito di ogni opera d’arte per attestarne le condizioni al momento del prestito. Anche se su Il Quarto Stato è stata fattauna scansione 3D che sarà ripetuta alla fine della mostra (due operazioni impegnative e non gratuite), l’eventuale constatazione di danni su un dipinto grande, delicato, fragile e unico non restituirebbe nella sua integralità un oggetto importante per il patrimonio pubblico e per la storia e la coscienza politica e civile degli italiani dell’uso improprio fatto di esso.

Il senso dell’operazione politica in corso, inaspettato per chi l’ha organizzata offendendo il nuovo proletariato senza che nulla abbia a che fare con il suo manifesto figurativo, emerge dal confronto tra due immagini del Salone dei Cinquecento. Una risale al 29 aprile 2022 ed è un particolare della platea che ha assistito alla presentazione dell’iniziativa, con esponenti politici in primo piano. L’altra risale al 27 aprile 1937, quando nello stesso Palazzo Vecchio la Madonna di Ognissanti di Giotto, a cui è dedicata una delle varie mostre di Stato fasciste, fa da scenografia al tavolo degli oratori che accolgono il re d’Italia. Anche allora le autorità sono in prima fila in platea, parlano un podestà (cioè il sindaco) e un ministro. I civili di Guernica erano stati bombardati dai nazisti e dai fascisti il giorno prima. Solo coincidenze?

“La platea” (New Press Photo) (didascalia e foto da Firenze, ecco “Il Quarto Stato”: via alla mostra. “L’asse con Milano esempio da seguire”, “La Nazione”, 30 aprile 2022, https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/quarto-stato-1.7621350)

 

“Vittorio Emanuele III assiste nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio al discorso inaugurale di Ugo Ojetti, Firenze, 27 aprile 1937” (da Alessio Monciatti, Alle origini dell’arte nostra. La Mostra giottesca del 1937 a Firenze, il Saggiatore 2010, tav. II)

 

 

Floriana Conte Professoressa associata di Storia dell’arte a UniFoggia e Socia  corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia

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