Juve, Barcellona e Manchester City: la punta dell’iceberg della crisi del calcio. Vulpis: “Di questo passo rischio fallimento per molte società”

Intervista a Marcel Vulpis, Direttore di Sport Economy e vicepresidente vicario uscente della Lega Pro, sullo stato di salute del calcio non solo italiano. Il calcio italiano è indebitato per miliardi, ma anche le società spagnole e inglesi. La pandemia è stata una delle cause di questa situazione. I riflettori sulla Juventus sono sempre puntati anche perché è una società quotata in Borsa. Penalizzazione Juve, nel caso fosse confermata, sarebbero coinvolte anche altre società

La crisi della Juventus sembra soltanto la punta dell’iceberg di un “sistema calcio”, che presenta un paesaggio abitato da calciatori ricchi ma con società indebitate fino al collo. La Juve è stata definita la Banca d’Italia della Serie A e la sua crisi accompagna problematiche forti come le disdette di Dazn e Sky. Quali sono le sue opinioni a riguardo?

La situazione del calcio italiano è abbastanza in linea con quello che avviene in Europa. Un indebitamento generale del football soprattutto se ci focalizziamo sui cosiddetti big five, cioè i cinque campionati principali del Continente. La Serie A ha dei debiti bancari per circa 1 miliardo di euro. l’Inter ha un rosso di 390 milioni e la Juventus che ha superato i 223. Però è anche vero che il campionato spagnolo, sempre se parliamo di debiti bancari, ha superato i 2 miliardi e mezzo, così come quello inglese, vicino ai 2 miliardi.

La crisi, quindi, è internazionale e sta impattando, dopo quella sanitaria, sui conti delle società sportive. È bene ricordare che tutti i club di calcio professionistici arrivano da due anni duri di pandemia, che ha toccato come emergenza sanitaria tutti i continenti. Quello europeo, soprattutto, oggi è coinvolto e toccato dalla crisi russo-ucraina che il prossimo 24 febbraio compirà un anno. Questo non aiuta i conti economici delle società e impatterà, in generale, sul concetto di sostenibilità del sistema.

Per tornare alla sentenza sulla Juventus, il secondo filone è legato alla manovra stipendi: come si sono organizzate le società? Sembrerebbe quasi che solo i bianconeri si siano comportati in maniera scorretta, ma è anche vero che in quel momento era complicato per tante società erogare puntualmente i compensi (come è accaduto a Sampdoria e Inter per esempio). Potrà questa essere una delle problematiche dell’imminente futuro?

Se parliamo della manovra stipendi bisogna costatare che è chiaramente collegata a quanto avvenuto durante la pandemia, poiché tutti i club hanno dovuto trovare degli accordi con i propri tesserati per poter ridurre i costi di gestione collegati ai salari. È chiaro che i riflettori sulla Juventus sono sempre più accesi rispetto ad altri perché, oltretutto, è una società quotata in borsa e deve quindi rispondere a una serie di principi di correttezza e trasparenza verso il mercato e verso i propri azionisti.

Se ci spostiamo sul tema delle plusvalenze, in questo momento i 15 punti di penalizzazione – in attesa del Collegio di garanzia del Coni a marzo – sono sicuramente una misura molto dura nei confronti del club piemontese. È bene però ricordare che qualora verranno confermate determinate attività non regolari da parte degli amministratori della Juve, è parallelamente chiaro che la squadra sia riuscita a mettere in campo queste operazioni con il supporto di altre società. Quindi, l’eventuale penalizzazione della Juventus quale essa sia in termini di punti, alla fine dovrebbe comunque prevedere un coinvolgimento in termini di penalizzazione anche di tutte le altre squadre collegate a queste attività.

Una situazione simile a quella della Juventus del 2006 sembra essere la corruzione arbitrale legata al Barcellona – notizia degli ultimi giorni – o ancora di più il famoso fairplay finanziario non rispettato dal Manchester City, per il quale i club stanno chiedendo la retrocessione a causa delle oltre 100 violazioni delle regole del massimo campionato inglese. Secondo lei, perché si è arrivati a questo? E quali possono essere le prospettive?

I casi di Barcellona e Manchester City dimostrano intanto che ci sono delle difficoltà nel sistema del calcio internazionale: è sempre più costoso e per mantenerlo in piedi c’è bisogno – e mi riferisco soprattutto ai Citizens – di trovare delle formule di finanza creativa o di sponsorizzazioni nettamente superiori ai valori di mercato. Questa è una problematica che il Manchester City ha dovuto gestire con la Uefa già negli anni precedenti, proprio per mantenere un determinato valore della produzione che consenta di pagare stipendi molto alti. Ricordo che, secondo l’indagine Deloitte, in questo momento il City è sopra i 700 milioni di valore della produzione, ma questo non vuol dire che non abbia comunque un forte indebitamento. È vero che ha alle spalle un fondo sovrano nazionale, che quindi può immettere denaro fresco in qualsiasi momento, però questo sistema di aumento e lievitazione dei costi degli ingaggi porta comunque ad un effetto di doping finanziario per tutto il calcio internazionale. Ci vorrebbe un tavolo di concertazione fra i proprietari ed i massimi dirigenti di queste società per mettere un punto e far sì che oltre a un determinato livello di asticella non si possano pagare determinati salari o cartellini. Se si arriva a sborsare 50 o 60 milioni di euro per un difensore è chiaro che poi, la figura dell’attaccante che è un ruolo ancora più importante, andrà inevitabilmente sopra 100 milioni di euro. Il calcio, quindi, cresce come fatturato ma crescono, se non raddoppiano, i costi di gestione dei club stessi e questo potrebbe portare non solo ad un effetto bolla, e già ci siamo, ma proprio ad un’esplosione e a un eccessivo indebitamento: l’ipotesi del fallimento di alcune società, non in grado più di reggere determinati costi, non è quindi così remota.

 

Marcel Vulpis, "Il Taranto ha diritto ad avere uno Stadio su cui poter giocare" - Giornale RossoBlu

Marcel Vulpis

 

Tempo fa si diceva che la Serie C fosse per certi veri un motore importante dell’economia italiana. Come vicepresidente lei ha cercato in questi anni di portare a casa degli accordi importanti con società private, con qualcosa di nuovo e di innovativo. Quali sono, secondo lei, le prospettive di questa Lega?

Nell’esperienza che ho fatto in questi ultimi due anni (come vicepresidente vicario con delega al marketing e al commerciale) posso sicuramente certificare che ho lasciato una Lega Pro con oltre 30 aziende partner che precedentemente non esistevano, o che comunque non avevano generato determinati ricavi a favore della Lega, e che hanno ora puntato molto sull’innovazione digitale, sul marketing e sul commerciale. C’è un progetto che sicuramente sarà portato avanti dal nuovo Presidente sul tema della monetizzazione dei dati con un partner importante italiano ma di profilo internazionale. C’è ancora tantissimo da fare perché quella del marketing era un’area che esisteva ma che doveva essere sviluppata e abbiamo lavorato sempre affinché ciò accadesse. Quando c’è stato il tema della rateizzazione dei debiti soltanto il 42% ha deciso di aderire perché comunque veniva da una gestione della pandemia che aveva colpito in molti casi anche le casse e i bilanci. Questo però vuol dire anche che il 58% è riuscito comunque a rimanere nella regolarità dei pagamenti anche nei confronti dell’erario o comunque degli istituti previdenziali. La Lega Pro talvolta non viene osservata con grande attenzione da parte dei media, mentre oggi ce ne vorrebbe molta di più: c’è un calcio sano, in termini numerici molto più vasto e largo rispetto a tante altre.

 

Simone MassaccesiRedattore

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