Inchiesta Cer – Rosolino Sini: Con le Comunità Energetiche Rinnovabili è in atto una rivoluzione. Dall’introduzione della corrente elettrica alla CER: il caso Benetutti

L’intervista di oggi, incentrata sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), è al ragionier Rosolino Sini. Che, un po’ per caso un po’ per desiderio, è diventato responsabile dell’azienda elettrica “Benetutti”. Un nome che è tutto un programma del paese in provincia di Sassari, in Sardegna. E un comune che è anche una comunità energetica rinnovabile. Ed è proprio in virtù di questo che noi di BeeMagazine l’abbiamo intervistato. E per capire se la strada delle CER è percorribile oppure no per far diventare il nostro Paese indipendente dall’estero dal punto di vista energetico.

Com’è iniziato tutto?

Tutto nasce il 2 agosto 1923, ci racconta il ragioniere. In quell’anno, infatti, per la prima volta nel Comune di Benetutti venne introdotta l’energia elettrica, grazie a un famoso imprenditore elettrico dell’epoca, Giuseppe Fumagalli. Il suo compito era realizzare la rete elettrica continua che interessasse Benetutti, fino ad arrivare al Comune, perché lì c’era il telegrafo. “Fumagalli doveva già predisporre tutto per l’eventuale corrente alternata. Quindi vediamo già da allora come si era lungimiranti”, ci spiega il ragioniere. “Il comune di Benetutti – prosegue – non appena avuto sentore di questa rivoluzione in atto, ha convocato questo gruppo di creditori e ha acquistato la privativa (il possesso esclusivo dell’introduzione dell’energia elettrica, n.d.r.): li ha pagati e ha detto “adesso ci penso io”. Quindi, da allora è stata sempre del Comune. Quindi abbiamo costruito la rete, abbiamo costruito gli impianti, i misuratori, la bollettazione… Insomma, facciamo tutto noi».

 

Documento storico dell’introduzione dell’energia elettrica nel Comune di Benetutti

 

Benetutti, fra azienda elettrica e CER

Come precisa il ragioniere, ciò di cui abbiamo parlato fino ad adesso riguarda l’azienda elettrica “Benetutti”, che produce energia. La comunità energetica rinnovabile, invece, è formata da 110 impianti fotovoltaici che a breve diventeranno 115 “con una potenza installata che sta superando il kWh per abitante”. In altre parole, la strada intrapresa dal Comune sardo è quella dell’indipendenza energetica.

“Questo, grazie all’interessamento di Sardegna ricerche – la società in-house della Regione – e della Regione stessa, che ci è venuta incontro finanziando la smart grid (rete elettrica intelligente, n.d.r.), ci consentirà di diventare una comunità energetica a tutto tondo”. Questo perché noi puntiamo a diventare autosufficienti, cioè a fare lo switch-off dalla rete Enel. Attraverso la smart grid andremo a massimizzare sia l’autoconsumo che la condivisione dell’energia» prosegue Sini. “Se noi spingessimo sulle CER, potremmo davvero affrancarci in brevissimo tempo dai sistemi di produzione di energia classici, dal petrolio al carbone”, sostiene il ragioniere.

Come si realizza una CER?

A questo proposito, specifica Sini, sono due gli attori che stabiliscono come deve essere realizzata una comunità energetica. Stiamo parlando del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), una società statale, e di ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), l’autorità di controllo. Secondo le loro regole, la CER ha bisogno almeno di 2 persone per potersi formare. Queste, poi, vanno dal notaio, costituiscono un’associazione, la registrano all’Agenzia delle Entrate e, poi, aprono una partita IVA. Si tratta di un codice formato da 11 cifre che individua in maniera univoca una società o un lavoratore autonomo.

Tale partita serve per pagare la relativa IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), cioè una tassa sui guadagni. A questo proposito, precisa il ragioniere, la CER non deve avere il profitto come scopo principale. “Questo perché”, ci spiega, “lo scopo principale della comunità energetica è quello di condividere l’energia e non di creare profitto”.

Fatto questo, bisogna realizzare un impianto di produzione di energia elettrica personalizzato, cioè pensato proprio per le esigenze di ciascuna persona che fa parte della CER. Ad esempio, se una persona consuma 20 kWh, allora l’impianto che bisogna realizzare deve avere quella potenza. Stando alla normativa in vigore, l’impianto non deve essere solo fotovoltaico, perché – precisa Sini – “può essere anche un eolico piuttosto che un minieolico, il biogas. Può essere quello che il legislatore identifica come fonte di energia rinnovabile. Una volta connesso l’impianto”, continua, “bisogna nominare un soggetto gestore”.

I vantaggi della CER

Dopodiché, i soci della CER iniziano a condividere l’energia che producono loro stessi grazie egli impianti installati. Il GSE, poi, dà un incentivo di 11 centesimi a MWh di energia condivisa.

“Quindi è importantissimo massimizzare la produzione e la condivisione di energia elettrica, perché così si massimizzerebbe questo contributo dello Stato, che ti consente, cumulandolo con agevolazioni fiscali dell’abbattimento del 50% oppure con l’Ecobonus 110%, di rientrare per l’investimento dell’impianto in pochissimo tempo. Ma non solo”, aggiunge Sini. “Far parte di una comunità energetica consente l’abbattimento della bolletta di energia elettrica, dal 40% al 50% a salire”.

Un ruolo centrale potrebbero averlo le amministrazioni locali. “Questo perché potrebbero intervenire partecipando direttamente alla comunità energetica in qualità di socio e, quindi, anche loro andrebbero ad abbattere la bolletta elettrica. Per esempio, per l’illuminazione pubblica, per gli uffici, per le scuole, per tutta la rete in consumo dei semafori e quant’altro», ci spiega. «I risparmi economici potrebbero essere utilizzati dalle amministrazioni locali per essere investiti, per esempio, nel sociale, nella cultura, negli anziani, nell’arredo urbano, nel verde pubblico”.

“È una rivoluzione talmente bella che è difficile da crederci”

“A maggior ragione se aggiungiamo il discorso del gas e quant’altro a causa della guerra in Ucraina”, aggiunge Sini. Ora come ora si può condividere l’energia autoprodotta solo all’interno della propria comunità energetica. E questo,  a causa del mercato tutelato che impedisce di immettere energia elettrica all’esterno. In futuro,  con il mercato libero questo ostacolo verrà superato: sarà, così, possibile condividere l’energia fra cittadini che abitano molto lontano dalle città. Ritornando, invece, all’attualità è stato superato un altro limite. Infatti, se fino a ieri si poteva installare un impianto che producesse al massimo 200 kWh, ora la sua potenza è stata portata a 1 MWh.

Ci sono altre novità, ci spiega il responsabile dell’azienda elettrica “Benetutti”. La prima è che l’energia in più prodotta, nella CER ma non consumata, può essere venduta nel mercato libero, creando un margine di profitto. La seconda è che le CER potranno svolgere al loro interno i servizi ancillari, cioè servizi di manutenzione delle reti elettriche, servizi di domotica, di efficientamento e similari.

“È una cosa assolutamente incredibile questa che sta accadendo (le CER, n.d.r.). e lo dico con cognizione di causa, dato che lavoro in energia da 36 anni”, sostiene Sini. Anche il PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) – osserva – sta dando una mano a realizzare le CER destinando loro 2 miliardi e mezzo di euro, seppur attualmente per i Comuni fino a 5 mila abitanti. Ma questa norma – egli prevede – verrà estesa ai comuni fino a 10 mila abitanti. Questo incentivo, rivolto a finanziare le CER e i loro impianti, si aggiunge al contributo di 110 euro a MWh.

“Fondamentalmente avverrà una cosa”, prosegue il ragioniere. “Che andremo a parlare di democrazia energetica. Ciascuno di noi potrà liberamente produrre energia, autoconsumarla, condividerla, accumularla e, anche, venderla”.

Perché le CER non si diffondono

Come accennato poco fa, la CER per poter funzionare al meglio ha bisogno delle smart grid: “se la si intende come un qualcosa di tecnologico, allo stato dell’arte oggi ci consente di fare tutto quello che vogliamo. Ma, se le CER non si diffondono è perché manca l’altra smart grid, cioè la rete intelligente di persone che ci credono“. Che fare, allora, per incentivarle? “Bisogna che le amministrazioni locali o le persone di buona volontà ci mettano la faccia, letteralmente. Perché la gente ha necessità di esempi. Ci vuole che le CER nascano e, dopo 2 o 3 mesi, facciano vedere pubblicamente la bolletta. Dopodiché”, prosegue Sini, “bisogna lavorare tantissimo nelle scuole e nelle università per far capire ai giovani che è in atto una rivoluzione. Questa sì che è la vera transizione energetica”.

Dato che le CER, in quanto tali, devono lavorare in autonomia, potrebbero sottrarre clienti alle grandi compagnie di energia elettrica. Perciò, abbiamo chiesto al ragionier Sini se avessero mai ricevuto delle pressioni da parte loro. “No, perché siamo talmente piccoli che gliene importa poco. Però, provano a ostacolarci”, ammette il ragioniere. “Ci provano complicandoci la vita con la burocrazia che a chiamarla folle è dir poco. Come dire: ci appesantiscono talmente il lavoro che se uno non è resiliente e testardo come lo siamo noi sardi viene portato a dire basta, mi arrendo. Perciò, spingono a rinunciarci in maniera molto subdola”.

Il progetto Horizon: fra Benetutti ed Europa

Il fatto che Benetutti sia un piccolo paese nella provincia di Sassari non deve trarre in inganno che sia isolato dal resto del mondo. Ne è la conferma TwinERGY. Si tratta di un progetto Horizon finanziato dalla Commissione Europea, relativo alla creazione dei gemelli digitali. Come ci spiega il ragioniere, lo scopo di questo progetto è di “cercare soluzioni tecnologiche all’avanguardia per massimizzare le CER, che andranno a condividere, produrre, accumulare e autoconsumare l’energia». A questo progetto, ci spiega il ragioniere, partecipano la città di Bristol, di Atene, l’Università di Patrasso e altre città in Spagna e Portogallo”.

 

Ragionier Rosolino Sini, responsabile azienda elettrica “Benetutti”

 

Dario Portaccio – Giornalista

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