Inchiesta Cer – Grazia Giovannetti: La Cooperativa di Comunità di Melpignano è stata la prima in Italia

Mettere i pannelli fotovoltaici sui tetti. Per non rovinare il paesaggio. La Presidente illustra i pro e i contro della prima cooperativa di comunità in Italia, che è anche una comunità energetica rinnovabile, nel paese famoso al mondo per la “Festa della Taranta”.

Un po’ di timidezza celata da un sorriso accogliente, nell’elegante cornice del Parco della Pace di Melpignano. È così che inizia l’intervista a Grazia Giovannetti, Presidente della Cooperativa di Comunità del paese salentino, che è anche una Comunità Energetica Rinnovabile. E che risponde alle nostre domande, con l’obiettivo che ci siamo posti. E cioè, capire sempre di più se questo tipo di comunità possa aiutarci a liberarci dalla dipendenza energetica dall’estero (come, ad esempio, dalla Russia) una volta per tutte.

Com’è nata la vostra Cooperativa? Come ha fatto un paese famoso per il Festival della Taranta a diventare la prima Cooperativa di Comunità in Italia?

Sono due idee distinte. Poi, durante tutto il percorso si sono incrociate. La Cooperativa di Comunità nasce per soddisfare le esigenze dal basso. Fu il nostro sindaco (allora era il  Dottor Ivan Stomeo, n.d.r.) che partecipò a un convegno di Legacoop, di cui era presidente Giuliano Poletti. Poletti raccontava della possibilità di soddisfare le esigenze delle persone dal basso, giacché le amministrazioni non riuscivano più a soddisfarle a causa dei tagli dei finanziamenti che avevano avuto. Al nostro sindaco si accese una lampadina.

E cioè?

Già da un po’ di tempo, pensava a un qualcosa da fare su Melpignano. Perciò, quando sentì Poletti che proponeva di organizzare i propri cittadini per risolvere i loro stessi problemi, il sindaco decise di sperimentare la cosa nel Comune di Melpignano. Come amministrazione avevano ricevuto un po’ di richieste per mettere i pannelli fotovoltaici a terra. Chiaramente questa cosa, molto bella dal punto di vista della produzione, non lasciava niente al territorio se non bruttezza.

Ci spieghi meglio.

Generalmente funzionava che arrivava una multinazionale da chissà dove, installava il suo impianto, prendeva gli incentivi per 20 anni e poi andava via. E al territorio non restava che la bruttezza. Questo era un fenomeno che l’amministrazione voleva combattere, senza dire di no alle energie rinnovabili. Perciò, l’amministrazione voleva trovare subito una soluzione.

Di che si trattava?

Invitare i cittadini a mettere pannelli fotovoltaici sui tetti per beneficiarne loro stessi. Realizzare, quindi, un impianto fotovoltaico diffuso sui tetti, in modo che non fosse visibile da terra. In questo modo non avrebbe avuto nessun impatto paesaggistico né ambientale.

In che modo si è realizzato tutto ciò?

Attraverso una cooperativa. I soci sono quelli che decidono di avere un impianto sul tetto. Gli incentivi li avrebbe presi la cooperativa, che spende inizialmente i soldi per gli impianti fotovoltaici. I benefici non ritornano direttamente ai soci che hanno il pannello fotovoltaico sul tetto, ma a tutta la comunità. Questa era l’idea: un miglioramento e un benessere di tutta la comunità. Il socio che mette a disposizione un tetto ha un beneficio: poter consumare gratis l’energia che viene prodotta mentre viene prodotta e, anche, quello scambio sul posto che permette di ricevere un compenso per l’energia immessa in rete e non consumata.

E gli incentivi, quindi, non vanno direttamente al cittadino?

No, perché li prende la cooperativa, che ripaga il mutuo che è stato fatto inizialmente per l’acquisto dei pannelli. Ma resta un qualcosa che, anno per anno, viene deciso dai cittadini come spendere. Sono stati acquistati i libri per i ragazzi delle scuole medie e superiori delle famiglie meno abbienti; è stata pagata la mensa ai bambini della scuola dell’infanzia. Il progetto è partito inizialmente con 29 impianti gestiti dalla cooperativa che ne ha acquistati altri e li ha ridati ai soci a un prezzo “calmierato”, diciamo.

E poi com’e andata a finire?

Da qui si è innescato tanto altro. Inizialmente è stata una difficoltà il fatto che la Cooperativa di Comunità era la prima. Perché non era riconosciuta da nessuno. In banca, per chiedere un finanziamento, nel modulo prestampato non c’era la barretta “Cooperativa di Comunità”. Però, a furia di insistere e di diffondere questa pratica – tantissimi l’hanno imitata in tutta Italia – è nata la legge regionale sulle Cooperative di Comunità nel 2014; mentre nel 2016 è uscito il regolamento attuativo. Nel 2018 è uscita una linea di finanziamento per aiutate le cooperative a lanciare i loro progetti.

E poi, cos’è accaduto?

Nel frattempo, sono nate le “Casette dell’acqua”, che sono una cosa straordinaria dal punto di vista ambientale. Noi distribuiamo ogni giorno circa 30 mila litri di acqua che, se fossero arrivate in bottiglie di plastica significherebbe un tir e mezzo al giorno che arriva nel Salento e, quindi, oltre mezza tonnellata di plastica. Che arriva e poi deve riandarsene – si spera – in qualche impianto di riciclaggio. E questo, insieme all’impatto del carburante comporta inquinamento. Mentre, in questo modo, molte persone si sono convertite all’utilizzo delle “Casette dell’Acqua”. Noi speriamo che, con il tempo, questo fenomeno aumenti ancora. Oggi ne abbiamo 59 su oltre 40 Comuni.

Ciò rientra in quelli che sono gli obiettivi di una cooperativa di comunità. Cioè, creare benessere, opportunità e – usiamo una parola grossa – felicità per la comunità. E poi…

Cosa?

Ciò che manca nel nostro territorio sono le opportunità lavorative. Grazie agli impianti fotovoltaici hanno lavorato tutte le persone di Melpignano. A parte l’acquisto dei fotovoltaici, in quel periodo non c’era nulla di costruito in zona. Per cui, furono acquistati da lontano. Però, gli ingegneri che fecero la progettazione, coloro che fecero i rilievi, il fabbro per montare lo scheletro degli impianti fotovoltaici, gli elettricisti… Erano tutti persone e soci di Melpignano. Si è, perciò, incentivata l’economia.

In tempi non sospetti avevamo creato dei “laboratori di comunità”, che sono il nostro modo di confrontarci. Abbiamo, così, visto quali erano le esigenze della comunità per poter intervenire con dei progetti ad hoc.

La cooperativa di comunità può essere considerata un’evoluzione della comunità energetica?

Più che un’evoluzione, è una forma primitiva di comunità energetica. Perché è nata quando di comunità energetiche ancora non si parlava. Però, a vedere il nostro Statuto, sembra costruito apposta per una comunità energetica. Infatti, stanno nascendo molte altre comunità energetiche che ce lo chiedono. È nata in tempi non sospetti, però ha lo stesso principio di una CER: la condivisione dell’energia.

All’epoca non era possibile mantenerla sul posto, perché bisognava per forza immetterla in rete. Però, a parte questo, c’è il prodursi l’energia da soli e il farlo in maniera sostenibile. Cioè, evitare quello che adesso è saltato all’attenzione di tutti: importare energia. E da dove viene nessuno mai se lo chiede. Adesso, invece, iniziamo a chiedercelo.

Infatti, si parla della guerra in Ucraina ed è diventato di attualità il tema dell’indipendenza energetica, in particolare per il gas e il petrolio, dalla Russia. Dal momento che, secondo i dati Terna, l’energia elettrica in Italia la si produce usando soprattutto queste due fonti fossili, lei crede che le CER possano essere utili per l’indipendenza energetica?

Assolutamente sì. E bisognerebbe andare ancora oltre quello delle CER in senso stretto. Sempre in tempi non sospetti, avevamo messo in piedi dei rapporti con Nicola Conenna. È un fisico che ha il sogno di accumulare l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici, trasformandola in idrogeno. Purtroppo, tutto questo ha dei costi insostenibili perché è sperimentale.

Però, se si incominciasse a lavorare in questa direzione, l’energia con l’idrogeno sarebbe veramente sostenibile. Non prevede nemmeno delle batterie, cioè degli accumulatori che hanno degli impatti ambientali. Bisognerebbe guardare molto oltre, senza aspettare che si presentino i problemi.

Qual è il vostro sogno?

Passare all’accumulo di energia con l’idrogeno. E ci stiamo lavorando insieme a lui. Certo, l’Italia non è strutturalmente pronta, però bisognerebbe iniziare a parlarne, prima che quella diventi un’altra urgenza.

Quanta energia producete?

I nostri 29 impianti gestiti dalla cooperativa producono annualmente 223.902 kWh. Tra l’altro, noi abbiamo installato un impianto di monitoraggio dei nostri impianti. Per cui, se qualcuno non funziona ci arriva subito l’alert e, perciò, interveniamo subito. E questo per non perdere nessuna energia. Ciò perché ci siamo resi conto che, se va fuori servizio qualche impianto, prima che te ne accorgi passano mesi.

E, quindi, avete una smart grid, cioè una rete intelligente che controlla i consumi?

Sì. Abbiamo un impianto di riferimento che controlla lo stato climatico e, rispetto a quello, vengono confrontati gli altri per vedere se stanno producendo in maniera ottimale.

Tutta l’energia che producete vi basta?

No. Questo perché ci siamo dovuti fermare a 29 impianti che occupano la terrazza di 29 famiglie. Mentre ci sono molte più abitazioni. Perciò, c’è tanto spazio per lavorare con il sistema attuale delle comunità energetiche, per aggregare persone, produrre energia e scambiarsela. È questo il sogno. L’amministrazione ha degli impianti fotovoltaici sugli edifici pubblici, sul Comune, sulle scuole. E che vorrebbe ottimizzare. Questo perché, purtroppo, molti di questi impianti non immettono energia in rete, perché le reti sono sovraccariche. Perciò, tenere l’energia prodotta sul paese sarebbe un grandissimo vantaggio.

Dal momento che essere una comunità energetica significa non dipendere più dai fornitori di energia elettrica come Enel e tanti altri, se si diffondessero in Italia iniziative come la vostra questo potrebbe far paura alle grandi aziende?

Probabilmente sì. Come sempre, c’è chi frena perché non gli conviene che le cose vadano in quella direzione. Questo in Italia lo sappiamo benissimo. C’è sempre qualcuno che ha grossi interessi a frenare il progresso. Per il momento non abbiamo avuto attacchi da nessuno (fa un gesto plateale con le mani), possiamo dirlo tranquillamente. Credo che questa storia qui non piaccia a molti imprenditori e multinazionali.

Cosa pensate di fare per le case sprovviste di pannelli fotovoltaici?

In realtà Melpignano è stata premiata come uno dei paesi che ha più impianti fotovoltaici rispetto al numero di abitanti. Perché la cooperativa di comunità, oltre ad aggregare le 29 persone che hanno messo l’impianto, ha diffuso anche una buona pratica. Perché in molti hanno detto “allora lo faccio da me”. Per cui, c’è un grandissimo numero di impianti. Ovviamente, ci sono ancora i terrazzi disponibili per andare oltre.

Vi capita di produrre energia in più con i pannelli fotovoltaici, che potrebbe andare dispersa?

No, perché è stata rimessa in rete. Per cui non va dispersa.

Quanto conviene ai soci usare queste fonti di energia rinnovabile?

A loro conviene dal punto di vista economico, perché la loro bolletta si è sensibilmente ridotta. Però, non completamente annullata. Perché il sistema è quello di prendere energia nel momento in cui non la si produce. Che viene un po’ compensata con quella immessa in rete se c’è iperproduzione. Perciò, gli è convenuto se si considera che un impianto è costato a ciascun socio 25 euro, pari alla quota associativa.

Dal momento che in Italia ci sono poche comunità energetiche, così come poche cooperative di comunità, il dubbio è che ci siano delle difficoltà nel cercare di organizzarle e gestirle. Ce ne sono?

Ci vuole sempre buona volontà e caparbietà, perché la gestione di tutto questo non è semplicissima. O, meglio, quella dei pannelli fotovoltaici è la più semplice, perché c’è questo impianto che li monitora. Però, tutte le attività nate nella cooperativa di comunità richiedono una presenza e un’amministrazione costante. È impegnativo.

Avete in programma di diventare un’azienda energetica nel futuro, per poi immettere la vostra energia nel mercato libero?

No. Al momento questa cosa non l’abbiamo mai pensata. Sappiamo che ci sono degli esempi di cooperative che hanno fatto questo, diventando un’attività lavorativa. Hanno già acquistato impianti già presenti in Italia e li hanno fatti loro, realizzando una rete molto larga. Però non è quello il nostro obiettivo, che è invece rimanere nella nostra comunità. Per il momento, almeno.

Quali sono i pro e i contro di una comunità energetica, così come di una cooperativa di comunità?

I pro sono evidenti: un qualcosa che va a redistribuirsi su tutta la comunità, migliorandola. Questo dovrebbe aumentare la partecipazione della comunità. Noi, al momento, abbiamo 320 soci, cioè 320 cervelli: una potenzialità enorme! Se ognuno desse un piccolo contributo ci sarebbe un’esplosione di idee, di sensibilità e di cose da fare.

E i contro?

Be’, che ci vuole qualcuno che conduca tutti verso l’obiettivo. Cosa che non è sempre facile da trovare. Tutto questo si deve raggruppare in una dimensione lavorativa modesta, poi. Ci vogliono delle persone che si devono mettere a disposizione e non sempre ci sono. Cosa che è sempre stata un freno nelle cooperative di comunità.

Però, se impostate bene e se si arriva a delle attività che portano effettivamente reddito, anche le persone che conducono possono essere giustamente premiate e retribuite. Il bello della cooperativa di comunità è che non fa lavorare gratis nessuno, che paga tutti in maniera dignitosa. Non c’è lavoro nero o sfruttamento, cioè i mali del Sud.

Cosa faceva prima di diventare presidente della cooperativa?

Io mi occupavo di educazione ambientale. Ero prima vicepresidente e poi presidente di una cooperativa che gestiva attività di educazione ambientale nelle scuole. Poi, quella cooperativa la trasformammo in un’associazione e gestivamo i laboratori di educazione ambientale della provincia. Il mio lavoro – bellissimo e al quale mi piacerebbe tornare – è stare con i bambini e i ragazzi e parlare di ambiente. E, anche, di accompagnare i turisti in escursione d’estate.

Quindi, facevo la guida e l’educatrice ambientale. Cosa che ho portato all’interno della comunità, perché facciamo molte attività di educazione ambientale. Sia quelle relative all’apiario che quelle delle Casette dell’Acqua. Adesso ci sono 4 ragazzi che stanno facendo il servizio civile con noi e che stanno realizzando un bellissimo progetto contro l’utilizzo degli imballaggi in plastica. Quindi, andiamo nelle scuole e nelle cittadinanze a fare progetti di educazione ambientale con loro.

Uno degli sviluppi futuri della vostra comunità energetica è quello di produrre l’idrogeno tramite energia solare che, per ora, è solo un sogno. Quali sono, però, gli sviluppi futuri concreti della vostra comunità?

Continuare con le azioni che sono ancora in corso. C’è questo parco da gestire, che non significa tenere aperto il bar ma, anche, creare delle attività che diano un senso culturale a questo posto. Come organizzare eventi in questa area spettacoli. E coinvolgere la cittadinanza, sempre per un progresso mentale. La gestione di questo posto ci impiegherà parecchio tempo ancora. Anche la gestione delle “Casette dell’Acqua” potrebbe avere un leggero ampliamento. Ma…

Cosa?

In questo ultimo anno o poco più sono aumentati i costi terribilmente per noi: di energia elettrica, di materie prime… Anche realizzare una “Casetta dell’Acqua” costa quasi il doppio rispetto a un anno e mezzo fa. Questo le rende poco facilmente ammortizzabili nel tempo. Il mercato è stato un po’ drogato da quel 110% (Ecobonus, n.d.r.) che ha fatto schizzare i costi delle materie prime. Poi, l’energia elettrica, già prima stava aumentando, e adesso è diventata intoccabile. Le nostre casette hanno bisogno di energia elettrica.

Voi avete sospeso l’installazione di impianti fotovoltaici. Ma avete intenzione di riprendere questo discorso? Le dico questo perché al momento ci sono gli incentivi, come quello di 11 centesimi al MWh che concede il Gestore dei Servizi Energetici.

Sì. In futuro vorremo muoverci con le comunità energetiche. La differenza tra prima e adesso è che sono le persone a poter prendere questi incentivi. E non possono essere passati a un terzo.  Perciò la cooperativa non può fare l’acquisto iniziale degli impianti. Ci deve essere comunque un acquisto da parte delle persone. C’è da ripensare un pochino tutto, ma è possibile.

 

Dario Portaccio – Giornalista

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