Il medioevo tecnologico

Un’amara riflessione sulla disumanizzazione del nostro tempo

Medioevo tecnologico è l’unica formula ossimorica con cui riesco ad esprimere lo sconcerto e la consapevolezza di vivere in un mondo ripiombato nel buio, nella barbarie. Il buon vecchio Vico ci aveva ben orientati a questa evenienza: La Storia ritorna con la sua ciclicità, con i suoi corsi e ricorsi. E quando nelle nostre aule si voleva dare contezza in forma chiara del concetto, l’esempio del Medio Evo che si manifesta nella mancanza di cura per l’uomo e l’ambiente, o nella superficialità che riconduce all’ignoranza, sembrava essere calzante.

Ora no.

Alla luce di tanta barbarie, di tanto buio interiore, di tanta noncuranza per la vita, di tante menti obnubilate, ora il paragone non calza più. Quello che viviamo oggi è un Medio Evo ottuso, di una ottusità che deriva dalla mancanza di pietas, da una assoluta dimenticanza della opportunità e della capacità di riflessione, di raccoglimento, di azione lenta, di sguardo, anche se solo fugace, verso l’alto. Il Medio Evo, lo sanno i nostri studenti, aveva verticalizzato il valore dell’esistenza vissuta in funzione di un dopo, di un oltre.

Questo Medio Evo tecnologico vive di presente, di visione orizzontale di breve, brevissimo passo. Non assurge a livelli appena più alti del sé. È bruciare l’attimo che importa, così come si dissolvono il cervello e il cuore in un sistema che non controlla, che non nega, che non argina, che consente a chiunque e dovunque di farsi  e di fare del male, impunemente.

Perché, in fondo, è la libertà individuale che va tutelata! Come le dosi personali!

È un mondo in cui saper muovere il mouse o digitare velocemente sulla tastiera, pur se con uso modesto, conoscere termini inglesi, senza riuscire a darne immediata traduzione nella lingua più bella del mondo, la nostra, crea “competenze”.

Senza cuore, senza anima.

Abbiamo la responsabilità noi tutti, di aver creato i mostri, non gli eroi, le belve dagli occhi insanguinati, non i mercenari, gli ignoranti assoluti dei sentimenti, non gli analfabeti, gli incapaci di sincera socialità, non gli eremiti. Li abbiamo lasciati soli, davanti agli schermi, davanti al virtuale; li abbiamo abbandonati a un destino pericoloso per se stessi e per gli altri, quando riescano ad accorgersi degli altri. La TV è cattiva maestra, diceva il grande maestro Karl Popper, e non solo: i guru della comunicazione, del giornalismo, sono sempre pronti a pescare nel torbido, perché il male vende bene.

Ma, si sa, i Maestri, quelli veri, li seguono in pochi.

Gli altri maestri, quelli cattivi, hanno stuoli di adepti.

Peccato!

 

Rita RuccoDocente. Direttrice di collana editoriale di saggistica poesia e narrativa

 

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