Gli archeologi italiani e iraqeni a Ninive salvano il patrimonio dell’umanità

Il patrimonio archeologico è un bene condiviso dell’Umanità intera e per questo deve essere protetto e valorizzato: osservare e toccare i resti materiali di tante generazioni umane dovrebbe aiutare la nostra memoria e il nostro senso di responsabilità.

Per arrivare sin qui ci sono voluti millenni di sacrifici, di errori e di conquiste. La materialità dell’archeologia, toccare gli oggetti o i muri delle antiche costruzioni, risveglia la nostra più profonda umanità.

Questa consapevolezza balza agli occhi quando ci si trova a scavare i centri maggiori del Vicino Oriente, in territori che hanno vissuto sofferenze indicibili e che hanno visto questo patrimonio calpestato e distrutto (cfr. Paolo Matthiae, Distruzioni, saccheggi, rinascite, Electa 2015).

In questo campo l’Italia eccelle. Lo ha dimostrato di recente la missione archeologica dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna diretta da Nicolò Marchetti a Ninive, l’antichissima capitale del regno assiro, una delle più antiche e più estese città del Vicino Oriente.

Le archeologhe e gli archeologi bolognesi, assieme allo State Board of Antiquities and Heritage dell’Iraq e con il fondamentale supporto del Ministero degli Affari Esteri (che sostiene le missioni archeologiche con un programma dedicato) e delle fondazioni J.M. Kaplan e Volkswagen hanno ripreso a lavorare a Ninive, inglobata dalla moderna Mosul, una delle città martirizzate da Daesh, nel 2019.

Ninive è la città più antica dell’Assiria e una delle più sante, sede del tempio della dea Ishtar, l’antica divinità guerriera degli Accadi, ricostruita dai re paleoassiri nei primi secoli del II millennio a.C. e diventata poi uno dei centri principali del regno assiro nel I millennio a.C.

Quando il re Sennacherib (704-681 a.C.) decise di trasferirvi la sua capitale, ampliò la città fino all’incredibile estensione di 700 ettari, proteggendola con un circuito di poderose mura lungo 12 km, in cui si aprivano 18 porte.

Secondo la Bibbia, che narra come Dio inviò a Ninive il profeta Giona (Gion 3), ci volevano tre giorni ad attraversare tutta la città. Il re assiro e tutto il suo popolo incitati dal profeta si vestirono di sacco e per quella volta la scamparono, ma nel 612 a.C. Ninive cadde dopo un assedio da parte degli eserciti dei Babilonesi e dei Medi e da allora perse il suo status di capitale.

Nell’Ottocento la città fu scavata dapprima da Paul Émile Botta console francese a Mosul (la città moderna sorta sul fiume Tigri, accanto all’antica capitale), e poi soprattutto dall’inglese Sir Austen Henry Layard con l’iraqeno Hormudz Rassam che nel Palazzo Sud-Ovest eretto da Sennacherib scoprirono la favolosa biblioteca di Assurbanipal (669-631 a.C.) contenente 25.000 tavolette cuneiformi (oggi al British Museum).

Il re assiro, uno dei dinasti assiri più feroci e imperialisti (se abbiano senso oggi questi giudizi è oggetto di discussione), aveva conquistato Babilonia nel 648 a.C. e aveva collezionato una biblioteca di testi rari e importanti, che illustrano in modo straordinario la civiltà dell’antica Mesopotamia.

Dagli stessi Palazzi dei re assiri (il Palazzo Sud-Ovest e il Palazzo Nord), portati alla luce sull’acropoli di Kuyunjik, provengono i famosissimi rilievi con le scene di caccia e di guerra oggi al British Museum che celebravano le imprese dei sovrani.

In questa strabiliante capitale, ancora in gran parte sottoterra, dopo gli sfaceli e i lutti portati da Daesh/Isis a Mosul, con grande coraggio e intraprendenza Nicolò Marchetti, ordinario di archeologia orientale all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, ha condotto la sua équipe interdisciplinare in un intervento di esplorazione e recupero di straordinaria importanza iniziato nel 2019 e oggi in pieno svolgimento.

Le prospezioni, condotte su un’area estesissima, hanno identificato nuove porte della città e iniziato a mostrare la struttura urbana tramite la geofisica, mentre gli scavi si sono concentrati in aree residenziali neoassire e nell’area della Porta di Adad, a nord, salvando un monumento, ancora oggi alto 10 m e con un arco di mattoni crudi conservato, che era stato deliberatamente attaccato dall’Isis (che ne distrusse la tettoia in cemento con i bulldozer, adesso ricostruita dopo aver rimosso gli enormi cumuli di macerie) e identificando anche, all’interno della città, un piccolo palazzo, nel quale, in un vano scala vicino ad una camera dotata di sedili intonacati con bitume, forse uno scriptorium, sono state ritrovate oltre cinquanta tavolette cuneiformi.

I testi, che sono frammentari e vengono collazionati e studiati dall’équipe diretta dall’epigrafista della missione, il professor Gianni Marchesi, sono testi letterari, appartenuti anch’essi ad una biblioteca e non ad un archivio amministrativo e si datano agli ultimi anni della città al tempo del re Sinsharishkun. Per questo rivestono il più grande interesse e forse annunciano ancor più grandi scoperte.

Si tratta, in ogni caso, del primo ritrovamento epigrafico a Ninive dall’Ottocento e questo merito va – oltre che agli archeologi iraqeni e italiani che ne sono protagonisti – al nostro Paese che ha sostenuto queste e molte altre imprese di successo nel campo dell’archeologia tramite il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

La diplomazia dell’archeologia può portare risultati insperati, così come gli scavi, condotti con competenza e impegno nel solco della scuola di Paolo Matthiae, portano a scoperte che arricchiscono non solo la comunità scientifica, ma l’intera Umanità.

 

Lorenzo Nigro – Professore Ordinario di Archeologia orientale Università di Roma “La Sapienza”; Delegato della Rettrice per la digitalizzazione, fruizione e comunicazione del patrimonio archeologico; Director of the Archaeological Expedition to Palestine & Jordan; Direttore della Missione archeologica a Mozia – Sicilia; Direttore del Museo del Vicino Oriente, Egitto e Mediterraneo 

 

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