Giappone, cosa succede dopo l’omicidio di Shinzo Abe. Intervista al prof. Frattolillo

L’omicidio di Shinzo Abe ha scosso il Giappone poco prima delle elezioni. La politica nipponica si prepara a continuare le opere portate avanti dall’ex premier soprattutto in tema di sicurezza e per la difficile riforma costituzionale. Abbiamo parlato dell’attuale situazione politica giapponese con Oliviero Frattolillo, professore associato di Storia e istituzioni dell’Asia dell’Università Roma Tre.

Si è speculato molto sul fatto che potessero esserci anche interessi dietro la morte di Shinzo Abe, quello che è successo è da classificarsi come l’atto di un folle o c’è qualcosa in più?

Escluderei che si tratti di un piano organizzato che nasconde degli interessi di altro tipo. Certo, non abbiamo tutti i dati ancora a disposizione. È presto per capire che cosa emergerà delle indagini ma io tenderei ad escludere che si possa trattare di un piano ordito ai danni del leader del partito al governo o quantomeno dell’establishment politico giapponese. Questi episodi non sono rari in Giappone, a differenza di quello che si potrebbe aspettare: Abe era già scampato a diversi attentati contro di lui.

Quella di Shinzo Abe è una famiglia da sempre attiva nella politica?

Abe era il nipote di Kishi Nobusuke, primo ministro giapponese dal 1957 al 1960 (Partito Liberal Democratico). Kishi era stato Ministro del commercio nel gabinetto di Tojo Hideki prima della fine della Guerra del Pacifico. Imprigionato per tre anni come sospetto criminale di guerra, poi riabilitato, è passato alla storia per aver ratificato il Trattato di cooperazione e sicurezza nippo-americano nel 1960 in un clima di diffuso dissenso popolare, che hanno visto le più imponenti proteste popolari che il Giappone abbia conosciuto.

Quindi fenomeni simili sono già accaduti?

In passato sono successe già cose simili: ad esempio pensiamo ai moti studenteschi del ‘68, quando gli studenti armati di manganelli perseguitavano soprattutto i docenti universitari che avevano preso di mira con atti di violenza efferata. Anche Hosokawa Morihiro, premier giapponese del partito democratico nel 1994 che ha rappresentato una parentesi storica di interruzione nel governo del Paese da parte del governo liberaldemocratico, è stato vittima di un attentato. Prima di lui nel 1992 un altro attentato era stato fatto ai danni di Kamemaru Shin, vicepresidente del Partito Democratico. Ricordiamo che in base ai dati Ocse il tasso di omicidi in Giappone è allo 0,2 su 100mila abitanti contro il 6 degli Usa.

Quanto influirà sulla politica di governo questo recente atto?

Sulla politica del governo qualcuno ha già detto -come gli stessi suoi compagni di partito- che la tragica e improvvisa scomparsa di Shinzo Abe non potrà che incentivare la volontà politica di portare a termine alcune dei programmi politici che Abe aveva promosso. Amici e capi di Stato stranieri, specie del mondo occidentale, che erano vicini ad Abe hanno confermato che la sua scomparsa non potrà che rafforzare l’idea di portare avanti l’idea politica di Indo-Pacifico e del dialogo sulla sicurezza quadrilaterale (QUAD) con gli Usa, l’India e l’Australia della quale si era fatto promotore.

Quali sono le relazioni con Stati Uniti e Cina?

Il QUAD prevede proprio quella che i cinesi hanno ironicamente e polemicamente etichettato come una estensione della Nato in Asia. Una nuova geometria di sicurezza che mette sinergicamente insieme le potenzialità militari di Giappone, degli Stati Uniti, dell’India e dell’Australia che verosimilmente saranno ancor più intenzionati ad andare in questa direzione.

La Cina, poco dopo l’attentato, ha osservato che quanto accaduto non potrà fare altro che accelerare il processo di creazione di una “nuova Nato” o per altri termini, si potrebbe anche dire un’estensione della Nato in Asia. Il tutto è stato detto con toni critici, gli stessi utilizzati da Pechino quando con Abe era stata lanciata l’idea dell’Indo-Pacifico che metteva insieme le capacità militari di alcuni paesi asiatici ed europei, compreso il subcontinente indiano.

Quindi Abe è stato il “fautore” di questa idea della difesa nell’Indo-Pacifico?

Abe era amato dai suoi sostenitori per l’idea di un’area geostrategica che andasse dall’India al Giappone e che facesse da controbilanciamento alla OBOR cinese. Questo è stato visto da Obama e poi da Trump con entusiasmo, ma con Biden le cose si sono un po’ “intiepidite” nel momento in cui, oltretutto, la Cina stava per siglare il trattato di commercio con l’Ue alla fine dello scorso anno. Il trattato è stato bloccato a due mesi dalla sua firma a causa della questione della violazione dei diritti umani contro la comunità uigura nello Xianjang, per cui Bruxelles ha emesso sanzioni ad personam contro alcuni diplomatici cinesi. In un momento in cui tutti guardavano alla Cina come l’unico importante partner asiatico, l’Ue ha operato un cambio di rotta significativo, riavvicinandosi al Giappone e alla sua idea di Indo-Pacifico. Abe rimarrà nella storia del Giappone anche per questo, oltre alla sua Abenomics. Il progetto di Indo-Pacifico ha le potenzialità per marginalizzare la Cina: quell’idea che una “forma di Nato” possa prendere piede in Asia per controbilanciare soprattutto le mire egemoniche cinesi nel Mare Cinese Meridionale.

Qual è il panorama politico a fronte delle elezioni?

Amici e colleghi che vivono in Giappone mi hanno parlato di una situazione naturalmente “tesa”. Non dobbiamo pensarla nel senso occidentale: è una tensione mista a tristezza che i giapponesi, per il modo classico di reagire alle cose, tendono a contenere dal punto di vista emotivo. Sul piano più squisitamente politico si potrebbe pensare che l’attuale premier Kishida Fumio, pupillo di Abe, non potrà che cercare di promuovere con determinazione ancora maggiore il suo programma elettorale. Quello che sembra comunque emergere è che nel panorama interno politico giapponese non ci siano personalità politiche carismatiche, al punto tale da poter rappresentare una efficace alternativa all’attuale premier in carica.

In Giappone sono presenti estremismi che preoccupano?

Il Giappone dal punto di vista socioculturale e politico è un paese sui generis perché presenta certamente degli estremismi ma sono raramente declinabili in termini violenti. Il precedente per antonomasia va rintracciato nei primi anni Sessanta e poi nel 1968. Viene poi in mente la setta Aum Shinrikyo che nel 1995 aveva perpetrato un attentato terroristico al gas nervino della metropolitana di Tokyo.

Il Giappone è il paese dell’Asia confuciana, che prima ancora della Cina, è pervaso dall’etica confuciana che arriva persino a gestire e a determinare i comportamenti sociali. Questi estremismi ci sono e ci saranno ancora presumibilmente ma è ipotizzabile che essi non assumeranno una dimensione tale da destare particolare preoccupazione.

Si parla di riforma costituzionale. Cosa prevedrebbe? Come è accolta dai giapponesi?

È uno dei temi cardine nella politica di Abe nei suoi diversi mandati. Il punto è la modifica dell’articolo 9 della Costituzione che definisce l’identità militare del Giappone, quella di un Paese pacifico e pacifista: si tratta di un’esigenza che da un po’ di tempo ormai è avvertita da parte del Partito Liberal Democratico.

Lo stesso Shinzo Abe aveva cercato di estendere i poteri attribuiti alla difesa giapponese in termini anche un po’ ambigui, che hanno destato grande preoccupazione e un diffuso malcontento popolare. Ragion per cui Abe era ad un passo dal riuscire ad ottenere la maggioranza dei 2/3 della Camera Alta, prevista dalla Costituzione per una riforma costituzionale che prevede allo stesso tempo che queste procedure passi per un referendum popolare. Quest’ultimo passaggio non si è mai concretizzato.

Come mai?

Probabilmente perché il referendum popolare avrebbe bloccato tutto: la maggior parte dei giapponesi sono ancora contrari a qualsiasi idea di riforma della Costituzione in termini militari, cioè di dotare il paese di un esercito che abbia anche funzioni offensive e non solo difensive come quelle attuali.

Questo costituisce il principale ostacolo per un’eventuale riforma costituzionale e la diretta conseguenza del vulnus atomico. Ricordiamo che i giapponesi sono l’unico popolo al mondo ad aver vissuto il trauma dell’olocausto atomico. Inoltre, diversi movimenti pacifisti in Giappone hanno fin dagli anni Cinquanta pervaso profondamente le coscienze.

È probabile che dopo l’evento tragico di questi giorni, il Partito Liberal Democratico possa tornare su questo fronte e farne un nuovo cavallo di battaglia. Tuttavia, sarei portato a pensare che se ciò accadesse continuerebbe a non portare a grandi risultati.

 

Francesco Fatone – Giornalista

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