Farsi pellegrino

Una testimonianza del cardinale Fernando Filoni al ritorno da un viaggio in Terra Santa. "Il pellegrino che si reca in Terra Santa non tornerà mai a casa come prima, e la sua vita di fede ne verrà coinvolta ogni volta che, leggendo un brano del Vangelo, ricorderà luoghi e panorami":

Andare a Gerusalemme non è mai un fatto turistico. È sempre un pellegrinaggio.

È andare alla radice della fede o delle fedi.

Già Egeria (IV-V sec. d.C.), autrice romana di un affascinante diario itinerante delle sue visite in Palestina (Peregrinatio ad Loca Sancta), era rimasta attratta non solo dalla bellezza dei luoghi, ma dalla spiritualità che da essi promanava.

In qualità di Gran Maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro, una istituzione che, alla nobiltà di vita e d’animo, richiede dai suoi membri, Dame e Cavalieri, un impegno caritativo, educativo e di affetto verso la Terra Santa, come per antica tradizione, ho fatto il solenne ingresso nella Basilica del Santo Sepolcro, il luogo più suggestivo per la fede cristiana.

 

Il cardinale Filoni a Gerusalemme

 

Percorrendo le strette e attraenti vie dell’antica Città Santa, passando attraverso le storiche porte delle vetuste mura dove il tempo sembra essersi quasi cristallizzato, si ha la sensazione di una Città senza tempo.

I suoi quartieri contesi, divisi e difesi fortemente dalle antiche comunità che li abitano (ebrei, musulmani, cristiani), offrono al pellegrino mai saturo di guardare, lo spaccato di una realtà cara e densa di storia a cui nessuno intende rinunciare. Qui la visibilità è quasi d’obbligo: i frati francescani con il proprio saio, le religiose di varie Congregazioni, i pellegrini, giovani e meno giovani, i venditori di souvenir, i militari israeliani e la polizia municipale, i rabbini, gli uomini con la Kippah (zucchetto) e i fedeli ortodossi ebrei con i capelli arricciati che fuoriescono dal caratteristico cappello nero e cadenti lungo il viso, si incontrano ovunque.

La denominazione delle stradine – via Dolorosa, della Custodia, del re David, degli Armeni, ecc. – ci raccontano la storia antica e delle successive epoche, fissata da chiese, cappelle, moschee, costituendone i punti di riferimento e la memoria di conquiste e pie imprese subite da questa Città. Presenza e preghiera, pellegrinaggi e turismo da tutto il mondo, toni di lingue note e meno note accompagnano l’incedere tra salite gradinate, discese, tortuosità, brevi piazzette che costituiscono il tessuto della Città più amata da sempre, specialmente dai fedeli delle tre grandi religioni monoteiste.

 

Sì! Andare a Gerusalemme è sempre un pellegrinaggio. Vi si reca ogni buon ebreo e ogni buon cristiano. Gesù fu pellegrino varie volte, secondo la tradizione ebraica, fin da adolescente; anch’egli vi andava cantando i salmi dell’ascensione mentre saliva verso la Città di Davide, previsti dal Libro dei Salmi. Vi andavano Maria e Giuseppe per gratitudine verso l’Eterno per il Figlio dato loro in dono, portandovi due colombe e due tortore, volatili ancora così presenti nell’habitat della Città.

Vi andò Maometto (si racconta secondo la tradizione islamica che in una notte attorno al 621, un angelo accompagnò Maometto a Gerusalemme, dove oggi è situata la moschea di Al Aqsa) e i pellegrini musulmani che hanno il diritto di accedere alla spianata del Tempio, strenuamente rivendicata da essi, ma anche dagli Ebrei, i quali sostano pregando presso i resti dell’antico muro dell’originario Tempio di Salomone, ricostruito da Erode il Grande.

Il cuore della vecchia Gerusalemme è la fede. I francescani da otto secoli hanno la custodia dei luoghi più sacri ai cristiani in Palestina e in Israele. Francesco d’Assisi li volle presenti in umiltà e semplicità; una presenza viva per la cura di quelle “pietre” che parlano del Signore e dei pellegrini che da sempre vi si recano con devozione, con rispetto e con amore. Il pellegrino che si reca in Terra Santa non tornerà mai a casa come prima, e la sua vita di fede ne verrà coinvolta ogni volta che, leggendo un brano del Vangelo, ricorderà luoghi e panorami.

 

 

In Terra Santa, tra cristiani, si fa l’esperienza vera di relazioni ecumeniche, fortemente volute a cominciare da Paolo VI che, primo papa della storia, il 5 gennaio 1964, andò pellegrino a Gerusalemme incontrando il venerabile Patriarca greco-ortodosso, Atenagora. Qui si tessono anche le relazioni tra comunità cristiane, musulmane ed ebraiche e, non di rado, si vivono tensioni drammatiche. Qui le scuole cristiane sono aperte e si costruisce quella coeducazione che è alla base di un futuro di pace per la Città Santa.

Non si può andare in Terra Santa senza visitare poi Betlemme e Nazaret: i luoghi dell’umiltà di Dio, che entra visibilmente nel mondo in una famiglia, e del silenzio. La storia di Dio, cioè la storia di Gesù (perché Dio non ha storia) che entra in questo mondo qui, in Palestina, ha avuto inizio e epilogo. Quella storia per il cristiano è divenuta sacra, ed è offerta a tutti coloro che – dice Gesù – “crederanno in me” (Gv 17, 20).

Le emozioni non si possono raccontare.

In Terra Santa si vivono e sono sempre nuove, anche dopo successive peregrinazioni.

Anche per me è stato così.

Al lettore, auguro, facendosi pellegrino, di viverle con intensità.

 

Cardinale Fernando Filoni – Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro

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