La prendiamo alla lontana, è vero, per parlare della prossima elezione del presidente della Repubblica, ma forse giova analizzare alcune chiavi interpretative o schemi descrittivi.
Consiglieri fedeli o utili?
Questa la condizione di dilemma ma anche di dramma in cui si dibattono i leader politici.
Meglio avere consiglieri yesmen, che ti dicono sempre sì per compiacere, solleticare il tuo ego, e avallare le tue scelte, anche quelle più palesemente sbagliate?
O consiglieri che, se il capo sottopone loro un quesito e un parere, non esitano a dire in tutta sincerità che la scelta è sbagliata? Posizione rischiosa, che può compromettere la stessa permanenza nel ruolo di consigliere e costare il posto.
Certo, occorrerebbe da ambo le parti un atteggiamento chiaro: il capo dovrebbe esigere lealtà e sincerità assoluta ma anche dirsi pronto a essere contraddetto; e il consigliere dovrebbe avere quasi una polizza di assicurazione che se si esprime sinceramente e in tutta libertà non perde la stima e la benevolenza del capo di cui è mentore.
Questa dinamica, o dialettica, apparentemente così schematica e chiara in teoria, nella pratica però non funziona quasi mai… Bisogna avere, parlo dei consiglieri, una forte personalità che li induca a parlare al “capo” a viso aperto e senza paura.
Quando Napoleone fece uccidere il duca d’Enghien, che egli considerava un pericolo per il suo potere e il suo futuro- un delitto Matteotti ante litteram- Talleyrand, alla richiesta di un parere rispose: “E’ più che è un delitto, è un errore!”
Un errore che, secondo la cinica e realistica visione politica del vescovo di Autun, in gravità sopravvanzava persino il delitto.
Vogliamo cambiare schema e fare un altro esempio? C’è una novella che può aiutare a capire la corsa di alcuni protagonisti della corsa al Quirinale: la favola del vestito dell’Imperatore, di Hans Christian Andersen.
Troppo nota per essere qui distesamente raccontata, se non per il punto che ci interessa: quando un finto sarto porta al re un finto vestito e glielo fa fintamente indossare, tutti i cortigiani presenti magnificano il vestito, e coprono il re di elogi e di lodi, sicché il re comincia a convincersi di aver indossato un vestito vero e reale. Finché è la voce di un bambino, da sempre la voce della verità, a squarciare il velo della finzione generale e a gridare la verità: il re è nudo!
Ebbene, nel caso di Silvio Berlusconi, che punta al Quirinale, che si affanna a cercare consensi, a telefonare ad amici e ad avversari per chiedere il voto, ci sarà qualcuno che prenderà alla fine il posto del bambino e gli dirà la verità? Con parole diverse certo, non: il re è nudo ma semplicemente, alla napoletana, visto che Berlusconi ama la parlata partenopea: “Cavaliere lassa perdere, nun è cosa”.
Intendiamoci: il leader di ‘’Forza Italia’’, non per sottolineare l’ovvio, ha raggiunto la bella età di 85 anni compiuti, età che già dovrebbe dissuadere dall’imbarcarsi in una avventura istituzionale che dura sette anni, e finirebbe il mandato a 93 anni!
Ma se è un problema per un comune mortale, non lo è per Berlusconi.
Del resto Giorgio Napolitano (classe 1925) quando i partiti nel 2013, incapaci di eleggere il presidente della Repubblica, quasi tutti salirono le scale del Quirinale per scongiurarlo di accettare la rielezione, rispose garibaldinamente: Obbedisco, rimangiandosi le parole che aveva detto mesi prima: io rieletto? Finirei il mandato a 95 anni! Non se ne parla!
Ma se avesse accettato di mantenere il secondo mandato per intero, e non per due anni (anomalia costituzionale) Napolitano ci sarebbe riuscito, dacché grazie alla sorte è vivo e vegeto.
Oltre a questa circostanza, Berlusconi potrebbe addurre dalla sua, in un singolare curriculum esistenziale, il verdetto del suo medico personale di anni fa, non Zangrillo ma Scapagnini, allora sindaco di Catania e deputato di Forza Italia, che, o per probabile piaggeria o per eccessiva fede nel suo idolo, dopo averlo visitato lo definì ‘’tecnicamente immortale’’. E gli pronosticò una vita fino a 120 anni. Il che consentirebbe a Berlusconi non solo di essere eletto ma anche rieletto.
Ma parlando seriamente e con il massimo rispetto che si deve al personaggio, diciamo anche le cose come stanno: Berlusconi sta conducendo la partita della vita. Ha sempre raccontato che tra i suoi obiettivi ideali espressi da ragazzo c’era anche quello di essere eletto presidente della Repubblica.
Desiderio non è peccato, recita detto meridionale, forse ignoto ma congeniale al brianzolo Cavaliere.
C’è da capirlo, Berlusconi: come imprenditore, ha dimostrato di essere il numero uno; sceso in campo in politica ha fatto subito centro, vincendo le elezioni e diventando presidente del Consiglio; poi ha rivinto le elezioni e ha rifatto il presidente del Consiglio altre volte.
Fin qui tutti allori.
Ma la sua strada è stata lastricata, oltre che di buone intenzioni, anche di vari incidenti di percorso: giudiziari, condanne, scandali personali, decadenza da senatore in base alla legge Severino; già da imprenditore, quando ancora non era in politica, il suo nome comparve nella lista della P2, tessera 1816.
Quindi è comprensibile, è umano che, abituato dalla vita, dalla sorte e dai miliardi, alle sfide e ai successi, Berlusconi voglia coronare il suo medagliere con quello di capo dello Stato.
Ma gli è mai passato per la mente qualche dubbio che la cosa forse non sia possibile, e comunque non così facile?
I suoi consiglieri glielo hanno fatto presente?
Le cronache dicono che, a parte i suoi turiferari di professione, e la stampa amica, nello strettissimo entourage dei suoi consiglieri ci sia qualcuno che gli ha prospettato le enormi difficoltà da superare sulla via per il Quirinale. E lo avrebbe invitato a fare piuttosto il kingmaker, l’artefice della elezione di un altro personaggio. Ma, ecco la premessa da cui siamo partiti, Berlusconi ha in uggia chi fa il problematico e non sposa le sue idee sulla magnifiche sorti e progressive.
E sempre le cronache dicono che il cavaliere alla sua segretaria abbia dato l’ordine di non passargli le telefonate di coloro che hanno avuto la sventura (o la sincerità) di istillargli qualche dubbio sulla fattibilità dell’impresa.
Si ha il sospetto che Berlusconi, che pure è laureato in legge ed è pur sempre il fondatore delle televisioni private, che sono anche imprese culturali, consideri il Quirinale come uno dei tanti trofei – sia pure il più prestigioso – da aggiudicarsi, come farebbe un atleta con le gare olimpiche.
Più i dubbiosi gli oppongono difficoltà, ostacoli, controindicazioni, e più Berlusconi crede che ci possa riuscire: insomma una traduzione politica del religioso “credo quia absurdum”.
Obiettano i critici, e ce ne sono tanti: Berlusconi si è domandato se egli è una figura che unisce e non divide? Sì, ha unito il popolo del centrodestra, ma sarebbe capace di unire tutti gli italiani?
Si faccia venire dei dubbi, lo esortano, e commissioni alla sua sondaggista preferita (nonché bravissima) Alessandra Ghisleri un sondaggio, Lui che ha introdotto in Italia il metodo di governare e decidere in base ai sondaggi, ne commissioni uno ponendo la domanda: gli italiani vogliono Berlusconi presidente della Repubblica?
Un sondaggio di tal genere potrebbe forse chiarire le idee, non solo ai grandi elettori ma allo stesso Berlusconi. Viene il sospetto che lo abbia commissionato e che il risultato lo abbia incoraggiato a insistere. Ma questa circostanza, se vera, aprirebbe tanti altri discorsi sull’Italia e gli Italiani che qui non vogliamo aprire ma solo far intuire.
Le controindicazioni, sulla bocca degli avversari, acquistano il volto di tanti interrogativi, che cerchiamo di riassumere schematicamente:
Può essere presidente della Repubblica un capo partito? Mai è successo nella storia d’Italia (unica eccezione Saragat, presidente peraltro di un piccolo partito; ma né Moro, Nenni, né Fanfani e Andreotti, né Forlani sono mai stati eletti capi dello Stato).
Può essere presidente della Repubblica un personaggio che è stato dichiarato decaduto da senatore?
Può essere presidente della Repubblica uno che ha subìto condanne ed è stato affidato ai servizi sociali?
Può essere presidente della Repubblica uno che ha processi penali in corso?
Può essere Presidente della Repubblica uno che compariva nella lista della P2, associazione massonica deviata che la commissione d’inchiesta parlamentare, presieduta da Tina Anselmi, definì un pericolo per la democrazia e un presidente del Consiglio in carica, Spadolini, definì un centro di potere corrotto e corruttore?
Se questi interrogativi sono tutti campati in aria, propaganda dei soliti odiatori antiberlusconiani, propaganda dei “comunisti”, come non detto.
Ma se hanno qualche fondamento, come mai i partiti del centrodestra, a parte Forza Italia, dichiarano di sostenerlo e di votarlo per il Quirinale?
Oddio, nel fronte ci sono già delle crepe. Salvini non sembra voglia gettarsi nel fuoco per la causa; dalla Lega (capogruppo Molinari), voce dal sen fuggita, trapela la frase che la candidatura di Berlusconi è divisiva.
E qui, come nel gioco dell’oca, torniamo al punto di partenza e alla favola del vestito dell’imperatore.
Quanto durerà questo gioco illusionistico per Berlusconi? Durerà il tempo dei primi tre scrutini? E al quarto?
Ai franchi tiratori l’ardua sentenza.
Da ultimo, una considerazione: Berlusconi comunque può in un certo senso dire di aver già vinto. Non il Quirinale, ma la battaglia mediatica, campo su cui è stato sempre imbattibile e la sinistra l’ha sempre subito. Il leader di Forza Italia è riuscito a dettare l’agenda della comunicazione sulla ‘’operazione Quirinale’’; di fatto il nome sul tavolo, anche se non ufficialmente, è il suo.
Di questo certamente potrà ritenersi soddisfatto.
L’impressione (per molti la speranza) è che alla fine si accontenti di questo risultato, vedendo in prospettiva come approdo finale una sua nomina a senatore a vita, che taciterebbe perfino gli attuali oppositori che non lo vogliono sul Colle: infatti, all’idea di averla scampata bella, essi si acconcerebbero ad accettare una sua nomina vitalizia a senatore. Magari accompagnata alla nomina di Romano Prodi. Già intuibile la motivazione di questo eventuale riconoscimento ai duellanti di oltre quindici anni di lotte politiche della cosiddetta Seconda Repubblica: la pacificazione.
*Direttore editoriale