Elezioni presidenziali, parla Gerardo Bianco Un illustre veterano apre il cassetto dei ricordi politici

Quando la Dc nel ’71 preferì Leone a Moro e Craxi nel ’92 disse no ad Andreotti. Scalfaro non fu eletto perché era successa la strage di Capaci

Politica

Dopo l’approvazione della manovra di bilancio per il 2022, l’inizio del prossimo anno vedrà l’elezione del nuovo Capo dello Stato, essendosi concluso il settennato di Sergio Mattarella.

Ne parliamo con Gerardo Bianco, parlamentare dal 1968 al 2006, dopo il genetliaco festeggiato nei giorni scorsi. Ha partecipato alla elezione di ben sei Presidenti della Repubblica, quindi un grande conoscitore della storia democratica del Paese. Con lui vogliamo aprire il cassetto dei ricordi politici e delle vicende parlamentari che hanno caratterizzato quegli appuntamenti.

Partiamo dalla elezione di Leone nel dicembre del 1971. Che ricordi ci sono della elezione di Leone?

Ricordo l’Assemblea dei senatori e dei deputati Dc nella sala dei Gruppi parlamentari a Montecitorio: ci fu un ampio dibattito. Ero entrato a Montecitorio nel 1968, chiesi la parola e mi fu data, parlai in favore di Moro nel gelo dei presenti. Dopo di me intervenne anche Donat-Cattin che sostenne la tesi; gli interventi prevalenti, fra cui quello di Franca Falcucci, Fiorentino Sullo, non furono favorevoli a Moro, poi però fu fatta la votazione a scrutinio segreto – ed essendo segreto  non si seppero precisamente i voti- e  prevalse Leone, ma pare che Moro prese moltissimi voti. Leone fu eletto dopo moltissimi scrutini (23). La cosa che mi ha colpito fu la discrezione, la misura, in un certo senso, perfino il distacco di Moro, il quale non partecipò a quella Assemblea. Chi non era sfavorevole a Moro nel 1971 seppure con una posizione sfumata e prudente era Arnaldo Forlani, segretario politico della DC. Era tutt’altro che contrario. Aveva un atteggiamento di grande misura e prudenza. Teneva conto del clima politico.

Questo ci riporta in un certo senso a un metodo che era quello delle designazioni interne dentro i partiti attraverso le votazioni interne. Adesso invece si lanciano nomi senza nessuna verifica.

Accade esattamente quello che stai dicendo. Quando in sostanza si doveva decidere il Presidente della Repubblica il partito di maggioranza relativa forniva una indicazione. C’è da ricordare, per esempio, la indicazione che dette De Gasperi con Einaudi come elemento di garanzia dell’unità nazionale. Non si sceglieva un candidato interno al partito, ma si sceglieva un nome che poteva raccogliere il consenso ampio delle altre forze politiche.

La stessa cosa, va ricordato, se andiamo indietro nel tempo, venne con la scelta che fece Fanfani, che indicò Merzagora, ma all’interno ci fu la fronda antifanfaniana anche con l’appoggio delle forze esterne al partito democristiano. Importante fu l’apporto del partito comunista. La preferenza cadde su Gronchi che rappresentava in un certo senso la posizione più aperta alle istanze della sinistra. Sembrò, ad un certo punto, che Gronchi potesse rinunziare e invece ci fu una riunione in casa di Salvatore Scoca in cui parteciparono alcuni leader della DC tra cui Pella, Andreotti etc; fu riconfermata la candidatura di Gronchi sulla quale ovviamente fu costretto anche Fanfani a convenire, e Gronchi fu eletto. Scoca era un avvocato generale dello Stato,. Dovendo fare recentemente la sua commemorazione leggendo alcuni documenti storici emerse che ci fu la voce, pare diffusa da Fanfani, che Gronchi avesse rinunziato e invece ci fu, appunto, la riunione a casa Scoca nella quale usci un comunicato che diceva una cosa molto semplice: che Gronchi non poteva rinunziare non avendo posto la candidatura e quindi rimaneva in lizza. A questo punto Fanfani ne prese atto e fecero macchina indietro.

Va anche ricordato che nelle elezioni presidenziali del 1964 Donat- Cattin e De Mita furono sospesi per sei mesi dall’attività di Gruppo perché sostenevano la candidatura di Fanfani rispetto al candidato ufficiale del partito.

Dopo Leone, con la vicenda delle dimissioni, la strage di Via Fani e l’assassinio di Moro, nel luglio 1978 arriviamo a Sandro Pertini, che nel discorso alle Camere disse appunto “ alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un amico, di un uomo onesto, di un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura: Aldo Moro” “ quale vuoto ha lasciato nel suo partito e in questa Assemblea; se non fosse stato crudelmente assassinato, lui non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi”. 

Fece un nobile discorso, Pertini. La scelta di Pertini avvenne su indicazione di Zaccagnini. Fu data questa indicazione, ma nel voto interno, poiché le scelte del Segretario del Partito non è che venivano accolte senza una verifica interna, si fecero le votazioni interne e un gruppo di noi sosteneva la candidatura di Ugo La Malfa. Prese un certo numero di voti. Trenta, quaranta voti, poi La Malfa si ritirò e anche lui fece convergenza su Pertini che era presidente della Camera e in un certo senso la scelta fu oculata, dimostrando come si sapeva indirizzare, orientare, fare una regia. Sembra che La Malfa abbia poi chiesto a Pertini di portare come persona di garanzia Antonio Maccanico alla segreteria generale del Quirinale, cosa che poi avvenne. Maccanico è stato un elemento fondamentale. Ritengo Pertini un grande Presidente. Mi rinfacciava di non averlo votato. Non lo feci nel voto interno, ma ovviamente lo feci in Aula quando la scelta fu decisa. E con Pertini ho avuto uno dei rapporti migliori con i Presidenti della Repubblica da presidente del Gruppo;  meglio con Pertini che con gli altri Presidenti democristiani.

Pertini aveva un sentimento popolare forte. Era molto amato.

Fu accusato di andare oltre quelle che erano le sue funzioni. Invece era accuratissimo. Quando ci fu la vicenda dei controllori di volo lui continuava a dirmi: “ma io sono intervenuto perché me lo ha chiesto il Presidente Cossiga” di intervenire per tamponare un fatto che era molto grave. Al contrario di ciò che si pensa, era scrupoloso. Aveva un grande consigliere che era Antonio Maccanico che nelle sue memorie ha raccontato questi episodi. C’era un bilanciamento molto importante e secondo me la presidenza di Pertini va valutata come una delle più belle presidenze anche perché riconciliò le Istituzioni con il sentimento popolare. E’ una funzione che non gli si può negare nel modo più assoluto.

Dopo il settennato di Pertini giungiamo alla elezione di Cossiga.

Cossiga fu una idea intelligente di De Mita che concordò immediatamente con il Partito Comunista l’ intesa sul suo nome. L’operazione riuscì pienamente. Si votò all’interno per Cossiga e fu eletto con una grande maggioranza. Fu una operazione intelligentemente costruita da De Mita con una rapporto diretto con il partito di opposizione allora guidato da Natta.

Dopo Cossiga, un giovane presidente che esce di scena. Una volta non si eleggevano i Presidenti perché troppo giovani perché si diceva: dopo che escono dal Quirinale che fanno?. Cossiga infatti uscì giovane

Ugo Stille disse una cosa molto interessante che la costituzione italiana aveva intelligentemente risolto il problema facendo in modo che i Presidenti della Repubblica diventino senatori a vita, mentre il problema rimaneva per gli Stati  Uniti d’America dove i presidenti giovani non avevano più un ruolo pubblico e invece i Presidenti divenuti senatori potevano svolgere un ruolo di mentori, di guida, di suggerimento, non è che perdessero ruoli e funzioni. I Costituenti italiani erano stati lungimiranti. Non lasciavano il Presidente della Repubblica che aveva rappresentato la Nazione senza un ruolo politico. Quindi era stata una scelta molto accurata e intelligente.

Dopo Cossiga, che è anche il Presidente della Repubblica nella fase della caduta del Muro di Berlino, dei nuovi rapporti tra Est e Ovest, con crepe sullo scenario internazionale e sul versante della costruzione europea dopo l’Atto Unico di Delors ci si muove verso l’integrazione monetaria con il Trattato di Maastricht, si arriva al 1992 e alla elezione di Scalfaro.

La elezione di Scalfaro avviene dopo la rinunzia di Arnaldo Forlani al quale mancavano – se non vado errando – 29 voti per essere eletto. Forlani ci riunì (la delegazione dei presidenti dei Gruppi parlamentari e De Mita, presidente del Partito, a Piazza del Gesù e come se si fosse liberato di un peso disse: No, io non intendo più mantenere la candidatura, facciamo altre scelte e consultò perfino Valiani che venne alla Camera dei Deputati. Poi  ci fu la proposta dei socialisti. Se il candidato democristiano non ce la fa, lo proponiamo noi e si propose Vassalli. Il quale fu votato ma si vide che c’era una grande distanza dal quorum per essere eletto. Mancavano parecchi consensi, centinaia di voti per raggiungere la maggioranza mentre il PCI era inchiodato su De Martino.

Craxi indicò Vassalli mentre il Pci si orientava su De Martino per cercare di dividere i socialisti. Il problema della mancata elezione di Forlani fu determinato da due vicende: ci fu, non va dimenticata, una esplicita dichiarazione di Segni che non votava Forlani e alcuni lo seguirono; poi ci fu un dato: mancavano 30-40 voti del gruppo vicino ad Andreotti, il quale aspirava chiaramente a subentrare alla candidatura, ma la candidatura non è mai decollata perché nel gruppo parlamentare la maggioranza a favore di Forlani era schiacciante. Andreotti prese pochissimi voti e poi la esclusione della candidatura di Andreotti a Presidente della Repubblica fu netta da parte dei socialisti. Andai da Craxi perché Andreotti mi aveva chiesto di fare una verifica e Craxi, presente Martelli, rispose che non era possibile. Martelli fu perfino molto deciso. La cosa mi infastidì perché non era garbato il modo in cui liquidava la candidatura di Andreotti. Il nome di Andreotti non è mai esistito come candidato tra quelli possibili. Poi un altro nome che era circolato era quello di Martinazzoli che era stato accennato da qualcuno come punto di incontro, ma fu subito escluso dal capogruppo D’Alema in una conversazione. Disse che non poteva andare. In realtà a sciogliere il nodo a favore di Scalfaro fu Craxi il quale aveva un disegno ben preciso. Immaginava il presidente della Repubblica democristiano, il presidente della Camera comunista e indicò come nome su cui convergere Napolitano e il presidente del Consiglio socialista, che doveva essere lui. Poi le cose andarono diversamente. Craxi mostrò molta lungimiranza. Accettò che fosse Amato il presidente del Consiglio. Adesso si dice che la scelta di Scalfaro fu fatta sulla base dell’attentato criminoso di Capaci che uccise Falcone.

Sono dubbioso su questo. Mi pare di ricordare che la intesa su Scalfaro era già avvenuta. Già ci si orientava su Scalfaro . La vicenda di Capaci acceleró tutto, ma la convergenza era già stata raggiunta. Purtroppo non ho un diario su cui ho registrato questi passaggi. Abbiamo ricordato molte cose. Alcune le ho rimosse, ma fino a Scalfaro ho una memoria precisa e puntuale.

La scelta definitiva avveniva – lo sai perché facevi parte dell’equipe – con voto segreto nominale e poi le schede venivano bruciate. Quando ci fu la scelta di Forlani ero presidente del Gruppo e come membro della delegazione partecipai allo scrutinio interno.

Dopo Scalfaro, nel 1999 abbiamo la elezione di Ciampi  che ha registrato un nuovo punto di incontro ampio in sede parlamentare.

La elezione di Ciampi vide una convergenza successiva. Marini continuava a ripetere che il candidato nostro era la Iervolino, ma si sapeva benissimo che non poteva essere eletta perché mancava il consenso soprattutto di Forza Italia; c’era una sorta di veto di Berlusconi su Iervolino perché la ritenevano molto vicina a Scalfaro e il loro atteggiamento nei confronti di Scalfaro assolutamente era negativo; era quindi una specie di candidata di bandiera. Quando ci riunimmo alle Botteghe Oscure sollecitati all’incontro da Veltroni; Veltroni uscendo disse: il nome che sarà scelto è Ciampi . Ebbi una telefonata di Ciampi che voleva capire quale era il nostro atteggiamento; gli dissi Presidente sarai tu il candidato. Ci fu una convergenza su Ciampi. Non fu il Partito Popolare a fare da kingmaker.

Lo fece Veltroni il kingmaker.

Si, Veltroni giocò bene la partita. Non escludeva il candidato democristiano, ma puntava su Ciampi. Ciampi era stato scelto – non va dimenticato – come presidente del Consiglio da noi. Come ha ricordato Martinazzoli nelle sue memorie, fui io ad indicare Ciampi come candidato alla presidenza del Consiglio nel 1993. Era una indicazione che veniva dal nostro gruppo parlamentare.

Quindi se andava bene come presidente del Consiglio, un andava bene anche come presidente della Repubblica!

Era assurdo, incredibile potere dire di no. E’ come quello che accade oggi per Draghi. Come fate a dire di no a Draghi dopo che sono stati al governo con lui.!

Poi Ciampi era stato un presidente del Consiglio attentissimo alle posizioni del nostro partito. Non c’era scelta che faceva se non consultava noi. L’asse portante del governo Ciampi –  come tu ricorderai – era il gruppo democristiano. Eravamo noi l’asse portante, qualsiasi movimento, qualsiasi scelta qualsiasi decisione la comunicava in anteprima. Sotto certi aspetti Ciampi è stato attento alle posizioni della Dc perfino più di Prodi.

Il candidato che poteva passare, ma il tempo era scaduto, era il nome di Mancino. Il nome fu fatto ma non decollò. Il nome di Mancino era un nome che Berlusconi aveva detto accettabile, ma non fu mai candidato dalla DC.

Non superò il vaglio interno?

Esatto e direi che Mancino con grande classe fece un comunicato stampa dicendo che ritirava la candidatura. Fu correttissimo.  In un certo senso favorì con questa presa di posizione la opzione Ciampi.

 Dopo Ciampi c’è l’elezione di Napolitano a maggio 2006. Si ritorna a una votazione più risicata.

Oltre essere elettore, su Napolitano non ebbi alcun ruolo. Dovevano uscire un po’ di voti dall’UDC in favore di Napolitano.

Un ruolo lo ebbi io, perché lo votai. Ero convinto che ne dovessero uscire pochi solo per raggiungere il quorum, allora tanto vale farne uscire di più! 

E’ stato un atto di responsabilità. Il Presidente della Repubblica più ha vasto consenso, più ha quel ruolo di garanzia, ecco perché le elezioni risicate del Presidente  della Repubblica non sono una buona cosa.

 Adesso c’è un problema rispetto al passato. Nella Prima Repubblica fino a Scalfaro si votava per scheda che si depositava nell’urna, poi furono introdotti i ‘’catafalchi’’ per garantire la segretezza del voto. Abbiamo però visto che attraverso la scrittura del nome nelle varie combinazioni nome cognome sono stati posti in atto mezzi per controllare il voto ed identificarne la provenienza di gruppo.

Oggi dunque c’è il problema del controllo del voto. I rischi della pandemia farebbero ipotizzare una sola votazione al giorno tanto da far avanzare il voto a distanza per garantire il voto a tutti i grandi elettori. 

Il voto a distanza è molto discutibile.

Quello che si può immaginare è di far votare quelli che hanno problemi, alla fine della seconda chiama. Mi sembra più logico. Saranno un numero limitato di grandi elettori. Si potrebbe prevedere un turno per quelli in difficoltà o per quelli non vaccinati adoperando quelle che sono le misure prudenziali, facendoli votare con tutte le garanzie.

Anche aumentando i catafalchi?

Appunto con tutte le misure prudenziali, allungando i tempi del voto.

 

*senatore nella XIV e XV legislatura

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