“Dalla parte del cuore”, un’antologia di varia umanità. La narra un grande cardiologo

Primario in terapia intensiva, ordinario all’Università Cattolica, editorialista del "Messaggero", autore di 240 pubblicazioni, Antonio Rebuzzi racconta il suo modo di intendere la professione medica: come missione. E il modo di vedere il paziente: al di là delle differenze sociali, di età, di status, il paziente è "ciò di cui necessita: attenzione, professionalità e comprensione"."Bisogna sempre fare di tutto per salvare una vita"

Renato Zero nella sua prefazione scrive che “conviene” leggerle le memorie di Antonio Rebuzzi e in effetti, pagina dopo pagina, ci si accorge che si sta meglio, lo spirito si rinfranca e ci si predispone ad un surplus di ottimismo e altruismo che di questi tempi è tanta roba.

Tanta, tantissima roba è l’avventura professionale di questo cardiologo che da 40anni si occupa del nostro muscolo più importante, cosicché “Dalla parte del Cuore”, vergato insieme alla giornalista Evita Comes (ed. Rubbettino) e presentato con Mara Venier e Alberto Matano al Salone “Più Libri Più Liberi”, diventa una sintetica antologia di varia umanità alle prese con una delle sue insidie peggiori: la malattia cardiovascolare.

Primario per anni della terapia intensiva cardiologica del Policlinico “Gemelli”, docente all’Università Cattolica di Roma, editorialista de «Il Messaggero» e autore di oltre 240 pubblicazioni, Antonio Rebuzzi è uno che ha sempre inteso la professione come missione, un modo -il suo specialissimo modo!- di stare davvero accanto a chi viene colto dall’attacco all’improvviso e rischia la sua vita.

Cardiologo Rebuzzi

 

“Per fare il medico bene, serve stare dalla parte del paziente, non sentirsi protagonisti della cura, ma ricordarsi che si sta combattendo al fianco della persona che si assiste per aiutarla a superare la malattia. Non dovrebbe esserci, come scrivo alla fine del libro, attraverso il mio angelo custode che è la voce narrante, altro modo di fare il medico di come lo abbiamo raccontato in queste pagine: presente, semplice e umile”.

Il paziente può essere un conoscente o un estraneo, giovane i meno, comune o famoso, non importa: quel che è certo è ciò di cui necessita, ovvero attenzione, professionalità e comprensione. È così che nasce, cresce e si fortifica la vocazione, l’abnegazione di chi che è chiamato ad intervenire affinché la crisi non diventi dramma.

E se è purtroppo vero che non sempre il risultato può essere quello sperato, altrettanto vero è che -come sottolinea Rebuzzi- bisogna sempre dare tutto per salvare una vita. Sapendo che il nostro Angelo custode ci accompagna e ci sostiene in corsia come in sala operatoria. Sempre.

 

 

Redazione

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