Come si può raggiungere questo obiettivo? ( ampliare la cultura dell’intelligence)
Compito della Società Italiana di Intelligence – che è presente in tutte le regioni italiane con la presidenza di ogni sezione affidata a un professore universitario – è adoperarsi affinché questa disciplina diventi materia di studio accademico se non addirittura anche scolastico, nell’accezione della individuazione delle informazioni rilevanti. Contemporaneamente intende diffondere la cultura dell’intelligence anche attraverso la pubblicazione di libri e ricerche. Non a caso, la nostra collana editoriale, pubblicata da Rubbettino, lo scorso maggio in occasione del Salone internazionale del Libro di Torino, ha ricevuto i complimenti del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Tra le nostre attività spicca, come detto, il “Premio Francesco Cossiga per l’intelligence”, assegnato nel 2020 a Carlo Mosca, indimenticabile e spirituale servitore dello Stato; nel 2021 a Paolo Savona, più volte ministro e attualmente presidente della Consob e nel 2023 a Franco Gabrielli, ultimo direttore del Sisde e primo direttore dell’Aisi, Autorità delegata del governo Draghi. Inoltre, quest’anno abbiamo anche promosso il “Premio Carlo Mosca per le tesi post-laurea in intelligence”, che è stato assegnato il 9 giugno al Senato della Repubblica alla presenza di Gianni Letta, Simone Guerini, Bruno Frattasi, Antonio Uricchio e Marco Valentini, in assoluto tra gli allievi prediletto di Carlo Mosca
Ma perché un Premio intestato proprio a Francesco Cossiga?
Perchè Francesco Cossiga è stato l’uomo di Stato e il politico che ha apertamente espresso la sua attenzione verso l’intelligence, considerandola un fattore decisivo per perseguire l’interesse nazionale. La passione di Cossiga per l’intelligence rispondeva a esigenze di trasparenza e non a logiche di segretezza, incompatibili con i sistemi democratici.
Come nasce in realtà il Premio?
Il Premio nasce proprio per questo, per promuovere la cultura dell’intelligence nel nostro Paese. Oggi l’intelligence le ripeto si puó considerare un’autentica necessità sociale poiché serve alle persone per fronteggiare la società della disinformazione in cui si è immersi; serve alle aziende per affrontare la competizione sfrenata della globalizzazione e serve agli Stati per garantire il benessere e la sicurezza dei cittadini. Il Premio è appunto promosso dalla Società Italiana di Intelligence che ha come scopo principale quello di fare riconoscere l’intelligence materia di studio nelle università italiane, come accade in tanti altri Paesi.
Alla manifestazione legata al Premio Cossiga lei ha tessuto le lodi del Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. È vero che lo conosceva direttamente molto bene?
Come si fa a non parlare o a pensare bene di lui? Cossiga aveva il senso delle istituzioni e la capacità di guardare lontano. Nel primo caso, per rafforzare la democrazia e difendere la sicurezza dello Stato nell’ambito delle alleanze internazionali. Ne sono un esempio le dimissioni da ministro dell’Interno – dopo l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse – e l’impegno da presidente del Consiglio per creare le premesse irreversibili per l’installazione dei missili Cruise che secondo alcuni hanno rappresentato la causa principale dell’implosione dell’Unione Sovietica.
E nel secondo caso?
Nel secondo caso, Cossiga fu uno dei pochi a comprendere cosa avrebbe significato l’abbattimento della cortina di ferro per il sistema politico italiano, dimostrando una straordinaria capacità profetica. La stagione delle “picconate”, dell’inascoltato messaggio alle Camere del 1991 – a cui Paolo Savona, insieme a Pasquale Chessa, ha dedicato un libro dal titolo “La grande riforma mancata” edito da Rubbettino – si inserisce in questa visione di necessario cambiamento. Ma Cossiga fu inascoltato, incompreso, contrastato, deriso.
-Tredici anni dopo la sua morte la Società Italiana di Intelligence lo riporta idealmente alla Camera dei Deputati, non siamo fuori tempo?
Vede, parlare oggi di Cossiga significa “voler bene all’Italia”.
Mi approfondisce questo concetto?
Semplicissimo. Cossiga ebbe la capacità di guardare oltre il Muro, comprendendo il cambiamento profondo dell’ordine mondiale con il crollo dell’Unione Sovietica. Sensibilità, politica e culturale, che evidenziava soprattutto nella dimensione nazionale, cercando di cogliere le ragioni vere della stagione terribile e incandescente del terrorismo politico che da ministro dell’Interno aveva combattuto con estrema durezza e senza quartiere.
Lei crede che fu davvero un Presidente così in avanti?
Non ho dubbi, mi creda. Secondo me, anche in questo è andato oltre. Da Presidente della Repubblica, nel 1991, propose di concedere la grazia a Renato Curcio, l’ideologo delle Brigate Rosse, come forma di comprensione per chiudere quella stagione feroce. Un acceso dibattito si sviluppò nel Paese, allora e dopo. All’epoca Indro Montanelli, gambizzato nel 1977, si dichiarò d’accordo. Giancarlo Caselli, nel 2020, contestava ancora a Cossiga di aver intrattenuto rapporti epistolari con i terroristi.
Professore mi racconta un Cossiga inedito?
Avevo con lui un rapporto di grande affinità intellettuale. Quando pubblicai nel 2000 un mio saggio sulla rivista del SISDE “Per Aspera ad Veritatem”, creata dal compianto Carlo Mosca, in cui affrontavo il rapporto tra comunicazione istituzionale e intelligence, mi telefonò per dirmi: “Non sapevo che ti occupavi di queste cose: siamo in due in Italia”. Da allora i nostri contatti sono stati costanti. Volle pubblicare con Rubbettino il suo testo sui Servizi dal titolo “Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente comune”, chiedendomi di scrivere la prefazione che titolai “Nome in codice Cesare”, che era il nome con il quale veniva indicato dall’intelligence di una importante nazione amica. Quando nel 2004 ebbi la notizia di avere superato il concorso di professore associato feci cinque telefonate: la prima a lui. Mi diede gli auguri e mi disse: “Adesso devi pensare a diventare ordinario”. Ancora non sapevo quando avrei preso servizio come professore associato e lui già pensava al passo successivo. Guardava sempre avanti e per questo capiva prima degli altri.
È vero che fu proprio Cossiga a insistere perché lei desse vita ad un master sull’intelligence?
Nel 2007 mi sollecitò ad avviare il primo Master in Intelligence nelle università italiane e accettò di diventare il presidente del Comitato scientifico. Ci sentivamo spesso. Nel 2009 mi telefonò per dirmi di andare a trovarlo. Presi l’aereo e andai a Roma a casa sua in Via Ennio Quirino Visconti 77. Quando arrivai mi donò una sua foto con una dedica molto affettuosa, che conservo tra i miei ricordi più cari. Sono stato onorato della sua amicizia e ancora oggi rappresenta per me un punto di riferimento umano, politico e culturale: mi ha aperto la mente e mi ha fatto vedere il mondo con occhi diversi.
-Come va letto questo desiderio forte di Cossiga verso il mondo dell’eversione, che era stato il suo principale nemico?
È semplice. Ciò che muoveva il Presidente era la comprensione dei motivi profondi del diffuso disagio sociale di una generazione, per cogliere le ragioni degli “invisibili”, dei “nemici inconfessabili” come li definirono Oreste Scalzone e Paolo Persichetti, che dedicarono a Cossiga parole molto attente.
-Non è esagerata questa analisi?
Secondo me no. Perché Cossiga voleva capire, davvero, le ragioni delle ingiustizie sociali all’origine di contestazioni estreme, criminali, ingiustificabili. Ragioni che non sono erano state affatto state tutte rimosse con l’arresto dei terroristi. Infatti, ancora oggi, in una certa misura, quelle ragioni legate a profonde e più sottili ingiustizie sociali ancora permangono.
Oggi come ieri, o meglio di ieri?
Il disagio sociale potrebbe, attualmente, rappresentare un problema di sicurezza nazionale, qualora si superassero i livelli di guardia. Quindi sostengo che sia d’interesse dei nostri Servizi, al pari – come già detto – della disinformazione, emergenza educativa e democratica di questo tempo, a cui si collega la guerra normativa che già prima di scendere in campo decide chi vince e chi perde. Temi imprescindibili, che dovranno essere affrontati nella riforma dei Servizi che, mi spiegava il Presidente Cossiga, andrebbe fatta possibilmente all’inizio della legislatura e con larghissimo consenso.
Lei quest’anno ha assegnato un premio anche a Elisabetta Belloni.
Non mi stancherò mai di ripeterlo. Per la prima volta l’intelligence italiana ha al vertice una donna, che è stata anche la prima donna a dirigere la Farnesina. La sua profonda conoscenza dello scenario internazionale assicura ai nostri Servizi una visione consona agli interessi del nostro grande Paese. Non a caso è stato proposto anche il suo nome come possibile Presidente della Repubblica. In questi due anni alla guida del Dis, Elisabetta Belloni si è concretamente adoperata – insieme ai suoi collaboratori – per diffondere in Italia la cultura dell’intelligence fin dalle elementari, non come argomento specialistico ma di natura generale per garantire il benessere dei cittadini e la sicurezza delle istituzioni democratiche. Le pare poco?
Pino Nano – Già capo redattore centrale Rai