Beneamato Benjamin!

Spunti da Angelus Novus per una riflessione tra diritto, violenza e giustizia. Idee per governare la complessità dei problemi di oggi

Il richiamo a Montesquieu – con annessa citazione-  che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto nella sua prolusione di insediamento è stato accompagnato – per paradossale coincidenza- dai fatti avvenuti in seno alla Sapienza e, a seguire, da altri interventi delle forze di polizia sulla cui opportunità e correttezza si sono scatenate le polemiche degli avversari politici. Interventi tutti mirati a “restituire” l’Ordine, che, mi si permetta il gioco di parole, è la parola d’ordine da sempre del conservatorismo di destra.

Uomo d’ordine amava definirsi Carlo Emilio Gadda, conservatore dichiarato al punto da temere l’avvento del centro-sinistra per timore di perdere i propri risparmi faticosamente accumulati; ma in tutta la sua produzione saggistica, diaristica e narrativa, non fece altro che rappresentare, proiettandolo sulla lingua, il caos del mondo. Al suo don Ciccio Ingravallo, protagonista del Pasticciaccio, l’autore affida la “filosofia” dello gnommero (gomitolo inestricabile) delle cause, la teoria dell’irriducibilità del reale (umano, etico-politico e sociale ) a una logica deterministica e ordinata in senso sequenziale nella catena di causa ed effetto.

Le cause sono sempre molte e convergenti, i loro intrecci sono nodi difficili da sbrogliare e la verità resta un enigma irrisolto. In anticipo sui tempi e sugli studi di Edgar Morin, l’ingegnere fantasioso era costretto ad affermare la complessità come dato consustanziale alla fenomenologia del reale e, di conseguenza, la difficoltà a concepirne un’ermeneusi autentica e soddisfacente. La soluzione della spada di Gordio è dunque incompatibile con i problemi del mondo contemporaneo che esigono ben altri interventi, sia a livello individuale che collettivo.

Attualmente, invece, stiamo registrando nel nostro paese (pardon NAZIONE ) segnali di una visione delle cose arcaica, di una prospettiva manichea legittimata dal pragmatismo (la coperta per ogni dis-crimine) che fa parte della valigia di una destra altrettanto arcaica perché indifferente alla complessità del reale.

Negli anni Settanta -che appaiono lontani sotto il profilo delle costruzioni del pensiero, ma imprevedibilmente analoghi ai nostri per alcuni fenomeni di malessere sociale – Walter Benjamin nel suo Angelus novus affrontava il tema della critica della violenza in un discorso giuridico-filosofico sul rapporto di questa con il diritto e la giustizia. Premesso che per il primo dei due la violenza può essere cercata solo nel regno dei mezzi e non in quello dei fini, egli si chiede se- come tale- essa lo sia per fini giusti o ingiusti, osservando che la questione, posta così lascerebbe aperto il problema se sia morale la violenza in generale come principio, seppure usata per fini giusti.

Andando ben oltre Montesquieu- che già affrontava il problema del rapporto tra giusnaturalismo e leggi “positive” arbitrarie secondo un principio di giustizia e di equità- Benjamin focalizza la discussione sulla violenza, sulla sua legittimità o illegittimità e sull’equivoco del giusnaturalismo che distingueva la violenza con scopi giusti da quella con scopi ingiusti. Osserva che il diritto positivo richiede la sottomissione passiva, in linea di principio, ai suoi fini e che ogni violenza, come mezzo, è potere che pone o conserva il diritto, senza il quale rappresenta per esso una minaccia.

Allo stesso tempo rileva però che per quanto possa sembrare a prima vista paradossale, si può definire, in certe condizioni, come violenza, anche un contegno assunto nell’esercizio di un diritto (ad esempio l’opposizione con la violenza alla violenza degli scioperanti). La violenza che pone e la violenza che conserva il diritto, oltre che nella pena di morte, sono presenti in un’altra istituzione dello Stato, nella polizia, per la quale è soppressa la divisione tra le due. L’affermazione che gli scopi del potere della polizia sono sempre identici o comunque connessi a quelli del rimanente diritto è falsa, sostiene Benjamin. Anzi, il “diritto” della polizia segna proprio il punto in cui lo Stato, vuoi per impotenza, vuoi per le connessioni immanenti di ogni ordinamento giuridico, non è più in grado di garantirsi – con l’ordinamento giuridico -gli scopi empirici che intende raggiungere ad ogni costo. Diversamente dal diritto, il potere della polizia è informe, inafferrabile e diffuso nella vita degli stati civilizzati. Ed è proprio nelle democrazie- secondo Benjamin- molto più che nelle monarchie, che la sua presenza testimonia della massima degenerazione possibile della violenza.

Ad essa il grande pensatore berlinese contrappone “mezzi puri”, che sono sempre non immediati, ma mediati, quali la conversazione, la civile intesa; sottolinea poi che la sfera di questo intendersi tra uomo e uomo è la lingua, a tal punto non violenta da essere affatto inaccessibile alla violenza (non a caso si chiamano parlamenti le sedi idonee a farlo a livello istituzionale): non violenta a tal punto da ammettere originariamente anche la menzogna, l’inganno, che solo in seguito, con la penetrazione della “violenza giuridica” diventarono punibili.

Nella conclusione del suo micro-saggio, l’autore, dopo aver fatto un’escursione sulla violenza nei miti della civiltà pagana, asserisce categoricamente che riprovevole è pure la violenza che conserva il diritto, la violenza amministrata , che la serve.

Penso che la voce di Benjamin vada ancora oggi ascoltata e i suoi scritti letti o riletti per una profonda riflessione e non solo per gusto citazionistico. Abbiamo sempre più bisogno di essere confortati dalle idee, sostenuti dalla forza del pensiero critico dialettico, assicurati dalla capacità di problematizzare per cercare soluzioni condivisibili dalla coscienza umana e civile. Questi sono principi fondamentali e non possono diventare una concessione da parte del potere politico.

 

Caterina ValcheraDocente, filologa

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